lunedì 23 aprile 2018

M5S comincia a cedere: sì alla flat tax di Salvini

Il patto della flat tax. A poche ore dalla scadenza del periodo di “riflessione” che il Capo dello Stato si è concesso prima di decidere i prossimi passi, quel segnale che Sergio Mattarella aspettava potrebbe essere arrivato. Un segnale sui contenuti, che segue e rafforza le dichiarazioni di Luigi Di Maio sulla «affidabilità» di Matteo Salvini e apre, per la prima volta, uno spiraglio concreto sulla possibilità di un’intesa tra il Carroccio e i pentastellati. Al centro della convergenza c’è il taglio delle tasse. Un tema troppo caro al leader leghista e all’intera coalizione di centrodestra per pensare che il battibecco a distanza tra il senatore Nicola Morra, vicino al grillino Roberto Fico, e il capogruppo M5S, Danilo Toninelli, sia casuale ed estemporaneo. «La tassa unica dimentica i poveri», ha detto il primo, replicando all’ennesimo proclama di Salvini sulla bontà della flat tax. «Se c’è un meccanismo per cui la flat tax è costituzionale e non svantaggia i poveri, noi siamo d’accordo», lo ha zittito a stretto giro il secondo.

I Parlamentari lavorano solo per aumentare le ferie

Chi l’ha detto che il parlamento non sta lavorando? Certo, i tempi sono dilatati, le commissioni (tranne quella speciale per gli affari urgenti) non ci sono, la maggioranza neanche, poi ci sono le solenni celebrazioni per la liberazione, quelle altrettanto imperdibili per il primo maggio, i fine settimana per tornare a curare il proprio collegio. Ma mentre i leader dei partiti usciti vincitori dalle urne stanno faticosamente cercando di trovare la quadra, tra una consultazione al Colle, una scappata in Molise e un giretto tra gli stand del Vinitaly o del Salone del mobile, deputati e senatori si sono comunque rimboccati le maniche e hanno iniziato a produrre succose proposte di legge.

domenica 22 aprile 2018

Quindici province tirano l'Italia. Le altre si fanno mantenere

Meccanica, metalli, gomma, materie plastiche. Ma anche tessile, apparecchi elettrici e prodotti farmaceutici. Nel mondo ci sono oltre 15 miliardi di euro di prodotti made in Bergamo. Un business che nel 2017 è cresciuto del 6,7% (in linea con la media nazionale del 7,4% e regionale del 7,5%) e che si è ripercosso positivamente su tutta l’economia della provincia orobica, che ha un pil procapite più alto della media nazionale (24mila euro) di oltre mille euro e un tasso di occupazione al 65,3%, tre punti sopra quello italiano.

Patrimoniale? Ne abbiamo già 14. E ci costano 45,5 miliardi l'anno

All’Italia serve una patrimoniale. Gli organismi internazionali non smettono di dircelo. Lo ripete incessantemente la Commissione europea, ce lo ricorda l’Ocse, lo ribadisce l’Fmi. Peccato che la patrimoniale in Italia ci sia già. Anzi, ce ne sono addirittura 14. E il conto per i contribuenti non smette mai di crescere.
Secondo le rilevazioni effettuate dalla Cgia di Mestre, in poco più di 25 anni l’incidenza sul Pil delle imposte sulla proprietà è letteralmente raddoppiata, mentre in termini assoluti il gettito è aumentato di cinque volte.

sabato 21 aprile 2018

La Bce smaschera gli istituti italiani: hanno riempito i clienti di titoli tossici

La lezione non è servita. Non sono bastati gli oltre 400 milioni di euro di obbligazioni subordinate messe in tasca ai piccoli clienti di Banca Carife, Carichieti, Banca Marche ed Etruria, i 200 milioni di Pop Vicenza e Veneto Banca, i 2,1 miliardi di Mps.
Ad ogni fallimento bancario tutti i principali istituti si sono affrettati a promettere che i loro sportelli avrebbero tenuto i risparmiatori alla larga dai prodotti di investimento più rischiosi. Quelli che finiscono in fumo per primi quando la banca va a gambe all’aria e che costringono lo Stato ad intervenire con i soldi dei contribuenti.


venerdì 20 aprile 2018

Padoan non fa il ponte a fa scattare il rincaro dell'Iva

Mentre il Parlamento si prende una pausa il ministro dell’Economia uscente continua a lavorare. Forse sarebbe stato meglio il contrario. Già, perché l’attività a cui si sta dedicando in questi giorni Pier Carlo Padoan, insieme ai tecnici di Via XX Settembre, è il Documento di economia e finanza. Documento che, non essendoci un governo in carica, dovrà essere stilato, come ha suggerito l’Europa a legislazione vigente. Il che significa una stangata di 12,5 miliardi nel 2019 e di 19 nel 2020 grazie all’aumento dell’Iva automatico previsto dalle famigerate clausole di salvaguardia.

Tim , tra francesi e americani volano gli stracci

C’era una volta Enrico Cuccia, che ogni mattina percorreva a piedi la strada che separava la sua casa dalla piazzetta che ora porta il suo nome senza aprire mai bocca, seppure incalzato dai numerosi giornalisti che tentavano di carpire una briciola dei suoi segreti. I tanto criticati salotti di Mediobanca, stanze felpate dove si chiudevano operazioni con i controfiocchi senza inutili clamori, sono stati sostituiti dal mercato del pesce, dagli insulti a cielo aperto, dagli sganassoni mediatici.
C’è chi sostiene che questo sia il prezzo da pagare per la trasparenza, per la fine degli accordi sottobanco, dei patti riservati. C’è chi, invece, rimpiange il cosiddetto capitalismo di relazione, con tutti i suoi limiti e i suoi difetti. Certo è che lo scontro pubblico tra francesi (peraltro profondi conoscitori dello stile Mediobanca) e americani per il controllo di Tim ha raggiunto livelli che raramente si vedono financo nelle campagne elettorali.

mercoledì 11 aprile 2018

Bastonata della Bce

Altro che impatto soft. Quando la Bce, lo scorso marzo, ha ripresentato il suo «addendum» alle line guida sui crediti deteriorati, spiegando che le banche dovranno svalutare integralmente entro due anni i prestiti non garantiti ed entro sette quelli coperti da garanzie, qualcuno ha quasi festeggiato. Rispetto alla versione di fine anno, ha detto il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, che è stato in prima fila nel contestare la severità delle nuove regole, «il testo sembra tenere conto delle nostre perplessità».
Certo, le norme non sono più vincolanti, gli istituti avranno tre anni di tempo per arrivare al 40% di copertura minima dei crediti non garantiti. Francofrorte terrà, inoltre, conto di situazione specifiche e valuterà con indulgenza le «inadempienza probabili».

giovedì 5 aprile 2018

Padoan se ne va e ci lascia nei guai

Bruxelles ha già fatto trapelare che potrebbe concedere all’Italia l’ennesimo sconticino, escludendo le spese per i salvataggi bancari dai saldi di finanza pubblica.
Ma la sostanza cambia poco. Il ministro dell’Economia uscente, Pier Carlo Padoan, ci aveva detto che si trattava di bruscolini, per di più caricati solo sul debito, e invece sono piovuti macigni sul deficit, che ridurranno sensibilmente gli spazi di manovra a disposizione del nuovo governo per riforme e tagli di imposte.

mercoledì 4 aprile 2018

Il salvataggio delle banche venete ci costerà quanto una manovra correttiva

La versione di Pier Carlo Padoan era di quelle che si raccontano ai bambini la sera, per farli addormentare: lo Stato ha speso 17 miliardi di euro dei contribuenti per salvare le banche venete, ma si tratta solo di garanzie e di quattrini anticipati che torneranno indietro. Insomma, alla fine ci si potrebbe pure guadagnare qualcosa.
Ci sono voluti quasi dieci mesi e gli esperti di Eurostat per smascherare le favole del ministro dell’Economia uscente (che ora rischia pure di firmare il Def) sull’operazione con cui il governo nel giugno dello scorso anno ha evitato il fallimento di Pop Vicenza e Veneto Banca, regalando la parte sana degli istituti a Intesa Sanpaolo e tenendosi in pancia i crediti marci.
Altro che prestiti, perdite potenziali, soldi presi dal fondo salva banche. La mossa del governo ci costerà uno 0,3% in più di deficit pil. Il che può significare diverse cose, una peggio dell’altra: dalla necessità di varare una manovra correttiva per rispettare gli impegni minimi presi con la Ue all’impossibilità di sterilizzare le clausole di salvaguardia che faranno scattare una stangata fiscale sull’Iva da 12 miliardi per il 2019 e di 20 a partire dal 2020.

sabato 31 marzo 2018

L'Inps paga le terme agli scrocconi

Nella Gestione degli interventi assistenziali dell’Inps, simpaticamente chiamata Gias, c’è di tutto: dagli interventi a sostegno della famiglia, agli sgravi contributivi, dalle coperture figurative agli assegni sociali, fino alle pensioni di invalidità e alla indennità di accompagno per i non autosufficienti. Rientrano in questo enorme e confuso calderone tutte le spese che non sono coperte dai contributi dei lavoratori e devono, quindi, essere finanziate dalla totalità degli italiani attraverso il prelievo fiscale. Per consentire le elargizioni dell’Inps, infatti, ogni anno lo Stato versa all’Inps oltre 100 miliardi di euro. Molti di questi soldi, tutti inspiegabilmente conteggiati dall’Istat (e di conseguenza da Eurostat) come spesa previdenziale, vanno a finire nei vari ammortizzatori sociali previsti dalla legge, altri vengono utilizzati per coprire i buchi delle varie gestioni in deficit e una bella fetta copre le spese per i vitalizi mensili di invalidi e indigenti. Quello che resta viene usato per mille scopi diversi, nessuno legato anche lontanamente al sistema pensionistico.

venerdì 30 marzo 2018

La bomba sui conti dell'Inps. Ecco perché sono sull'orlo del baratro

Certo, c’è il 70% dei trattamenti che è scivolato sotto la soglia dei 1.000 euro. Ci sono 11,1 milioni di pensioni, il 62,2% del totale, inferiori a 750 euro. E l’età media di uscita si è attestata, alla faccia della Fornero, a 63 anni e mezzo (rispetto ai 66,7 anni previsti per la vecchiaia). Ma quello che balza agli occhi sfogliando il rapporto sulle pensioni dei lavoratori privati diffuso ieri dall’Inps è il numero impressionante di assegni versati a chi non ha mai versato un contributo.
Le pensioni erogate dall’Inps con esclusione del settore pubblico e di quello dello spettacolo erano a inizio 2018 nel complesso 17,88 milioni per una spesa di 200,5 miliardi di euro (+1,57% sul 2016). All’interno di questa montagna di trattamenti, quelli relativi agli assegni sociali e all’invalidità, prestazioni di carattere puramente assistenziale, ovvero finanziate dai contribuenti, sono 3,9 milioni.

giovedì 29 marzo 2018

Boeri: quest'uomo paga chiunque tranne che i pensionati

Il reddito di cittadinanza c’è già. Va in gran parte al Sud. E a pagarlo sono i pensionati. È questo il messaggio inviato ieri da Tito Boeri ai partiti usciti vincitori dalle urne, che tra i nodi da sciogliere hanno anche quello di conciliare le promesse elettorali sui sussidi di povertà con la difficile situazione dei conti pubblici. Perché, ha suggerito il presidente dell’Inps presentando il primo bilancio del Reddito di inclusione (Rei), starsi ad arrovellare su dove trovare le risorse per interventi costosissimi quando una soluzione a basso costo è già pronta per l’uso?
L’idea di Boeri, che con una mano continua a chiedere austerità per gli assegni previdenziali e con l’altra continua ad elargire valanghe di bonus a chi non ha mai versato un contributo, è che il Rei sia qualcosa di molto vicino alla versione base del reddito minimo o di dignità proposto in forme diverse sia dai grillini sia dal centrodestra. «È un primo passo, ancora sottofinanziato, ma c’è», ha detto. Conti alla mano, l’economista della Bocconi voluto da Renzi alla guida dell’Inps ha spiegato che il costo del reddito di cittadinanza proposto dal M5S è «di 35-38 miliardi», mentre con il Rei «si potrebbe fare tantissimo già con 5-7 miliardi, raggiungendo tutte le persone in povertà assoluta».

sabato 24 marzo 2018

La precompilata è un rebus

Ernesto Maria Ruffini, qualche tempo fa, ha confessato che il termine «fisco amico» non gli piace: «Gli amici si scelgono, il fisco può essere al massimo un parente». Ma la semplificazione, su quella il direttore dell’Agenzia delle entrate non ha mai avuto dubbi. È una priorità, un obbligo morale, un dovere verso i contribuenti.
Del resto, fu proprio parlando di deregolamentazione e snellimento burocratico che il tributarista aveva folgorato l’ex premier Matteo Renzi, presentandosi alla Leopolda del 2010. E il tema è sempre nei suoi pensieri. Al punto che lo scorso novembre ha annunciato: «Entro 5 anni non si farà più la dichiarazione dei redditi».

venerdì 23 marzo 2018

Lavoratori beffati nel nome dell'austerity. L'Inps si tiene 2 anni il Tfr degli statali

Ventisette mesi per ricevere la prima rata. E altri due anni per avere il saldo. Chi lavora per lo Stato e decide di utilizzare la liquidazione per togliersi un sfizio, per aiutare i figli, per fare un regalo ai nipoti o semplicemente, come sempre più spesso accade, per sopravvivere, avrà una brutta sorpresa. Le misure introdotte a partire dal 2012 per fronteggiare l’emergenza dei conti pubblici, che hanno dilazionato a dismisura il pagamento dei trattamenti di fine servizio, sono, infatti, ancora lì. E nessuno sembra intenzionato a cancellarle. Almeno con le buone.
Lo Stato non ha i soldi e non può più pagare le liquidazioni nei tempi previsti. È questo, in estrema sintesi, il motivo che ha spinto il governo Monti prima e quello Letta poi, a scippare la liquidazione agli statali.

giovedì 22 marzo 2018

Sette miliardi nostri buttati nel cesso del Montepaschi

Alla presidenza del Senato andrà Paolo Romani o Anna Maria Bernini? Alla Camera toccherà a Roberto Fico o a Riccardo Fraccaro? Mentre i partiti usciti vincitori dalle urne sono alacremente impegnati a riscuotere il bottino, piazzando i fedelissimi ed occupando le prime poltrone, ieri il Monte dei Paschi di Siena ha perso un altro 3% in Borsa, toccando i nuovi minimi storici.
Certo, la politica c’entra poco, o almeno così dovrebbe essere, con Piazza Affari. Ma questa volta dietro ogni decimale in meno che la banca senese si ritrova sul titolo ci sono un po’ di soldi che se ne vanno dalle nostre tasche.
Già, perché l’unico modo che il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, hanno trovato per salvare la banca mandata a picco dalla malagestio degli amministratori scelti dai boss locali della politica, è stato quello di far acquistare l’istituto dai contribuenti. Per giunta, non a prezzo di favore, ma ad un costo completamente fuori mercato. Per avere un’idea, le azioni sono state comprate a 6,49 euro, mentre le quote in mano ai possessori di bond a 8,65 euro. Oggi il titolo, dopo un crollo del 39% da quando è stato riammesso in Borsa (il 25 ottobre scorso), vale 2,78 euro.

sabato 17 marzo 2018

L'Inps taglia le pensioni ai vecchi ed elargisce ferie agli ex statali

Il più intrigante sembra la “Spagna caliente”. Ma ci sono anche il “Tour della Russia” e il “Gran tour del Portogallo”. E poi la Grecia, la Francia, una crociera nel mediterraneo, decine di resort, villaggi, hotel in ogni parte d’Italia e del mondo. Insomma, per i pensionati che vogliono fare una bella vacanza c’è solo l’imbarazzo della scelta. Una volta deciso, si prenota e si parte. Paga l’Inps.
Possibile che l’istituto guidato da Tito Boeri, che ogni anno deve chiedere oltre 100 miliardi di euro allo Stato per far tornare i conti della spesa assistenziale, che con l’ultima legge di stabilità ha ricevuto circa 30 miliardi in dono e che si prepara a chiudere il bilancio 2018, secondo le previsioni certificate qualche giorno fa dal Civ, con un disavanzo di 7,5 miliardi, possa regalare viaggi ai pensionati?

venerdì 16 marzo 2018

Debito pubblico da suicidio grazie a economisti del piffero

Certo, il reddito di cittadinanza e la flat tax possono anche non piacere. Le proposte economiche del centrodestra o quelle dei grillini possono anche essere considerate astruse, irrealizzabili o, addirittura, dannose per il Paese. Ma accettare lezioni o, peggio ancora, legittimazioni da chi non si è limitato ai proclami e alle promesse, ma ha messo alla prova sul campo la sua abilità, diventa sempre più difficile, ogni giorno che passa.
Anche perché ogni giorno che passa c’è un numero che ci riporta sotto gli occhi il fallimento delle politiche messe in atto dai governi Renzi e Gentiloni sotto la sapiente regia del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.

martedì 13 marzo 2018

Con la sinistra al governo i poveri sono al massimo storico

Difficile capire se la notizia arrivata ieri da Bankitalia dipende dal fatto che il Pd sia stato al governo fino a ieri oppure, con un po’ di malizia, dal fatto che non ci sia più. Sta di fatto che appena si è chiusa la stagione della sinistra da Via Nazionale ci hanno comunicato che in Italia non ci sono mai stati così tanti poveri.
Nel 2016, infatti, per quanto il reddito medio equivalente sia tornato ad aumentare, il rischio povertà è salito al 23% (era 19,6% nel 2006), il massimo storico mai toccato prima. Ma non è tutto. Manco a farlo apposta, anche la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi è aumentata, accentuando ancora di più una dinamica ben nota secondo cui un’esigua elite di Paperoni da sola continua a detenere una grossa fetta del patrimonio complessivo (nessuno ricorda mai che la stessa elité è quella che ogni anno riempie, quasi da sola, le casse dell’erario).

Zitta zitta l'Europa sta facendo di tutto per alzarci l'Iva

Non è uno sconto, purtroppo, quello che si sta prospettando a Bruxelles sui conti pubblici italiani, ma una vera e propria trappola per le tasche dei contribuenti. Che potrebbe far scattare una tagliola da oltre 12 miliardi di tasse già dal 2019.
Qualche giorno fa la Commissione Ue, tra sorrisi ed espressioni rassicuranti, ha comunicato all’Italia che per la formazione del governo non c’è alcuna fretta. Certo, ci sarebbe una correzione dello 0,2% di deficit che manca, circa 3,4 miliardi, ma i conti veri si faranno a maggio, con le previsioni di primavera, e in ogni caso non c’è bisogno che se ne occupi l’esecutivo uscente, intervenendo sul Documento di economia e finanza da presentare entro il 10 aprile. È una questione, hanno lasciato intendere gli euroburocrati, che si potrà anche affrontare a settembre con la nota di aggiornamento al Def.

giovedì 8 marzo 2018

L'Europa ci fa lo sconticino

Gli «squilibri macroeconomici significativi» persistono per il quinto anno successivo. La crescita è troppo «debole». E il debito pubblico «molto elevato» resta «la maggiore vulnerabilità del Paese». Il che, tradotto dall’europolitichese, significa che l’Italia ha bisogno dell’ennesima stangata fiscale per raddrizzare i conti.
A salvare le tasche dei contribuenti ci pensa, per ora, lo stallo post elettorale. Malgrado la voglia, apertamente dichiarata, del ministro dell’Economia uscente Pier Carlo Padoan di vergare ad aprile  il Documento di economia e finanza che traccerà il percorso dei conti pubblici per i prossimi tre anni, il neo senatore del Pd non potrà mettere le mani nel bilancio dello Stato. Padoan, di fatto «licenziato» da Bruxelles, dovrà limitarsi a fotografare l’andamento macroeconomico del Paese e a ripresentare l’impegni già presi. In altre parole, dovrà fare un bel copia e incolla dell’ultima legge di stabililità.

mercoledì 7 marzo 2018

L'Italia continuerà a crescere alla faccia di questa politica

Il quadro è talmente positivo che la Cgil si è addirittura lanciata in una proposta di aumento degli stipendi. «C’è lo spazio per il miglioramento del valore delle retribuzioni», sostengono dalla federazione guidata da Susanna Camusso. A scatenare l’ottimismo del sindacato rosso è la nota mensile dell’Istat sull’andamento dell’economia italiana, da cui emerge un Paese che senza un esecutivo dotato di pieni poteri sembra aver finalmente ingranato la marcia. E continuerà a correre anche nei prossimi mesi, malgrado lo scenario di stallo politico scaturito dal voto.
Un po’ di anni fa l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, diceva spesso che non sono i governi a decidere le sorti dell’economia. A molti adesso viene il sospetto che non siano solo ininfluenti, ma addirittura deleteri. Dopo i casi di Spagna, Germania e Olanda, che hanno passato mesi con esecutivi di transizione senza alcuna ripercussione, ora anche l’Italia sembra confermare il teorema: l’assenza di iniziativa politica fa bene al Paese.

martedì 6 marzo 2018

Padoan non si è accorto della batosta e sta già preparando un'altra tassa

Sono passate solo poche ore dalla pesantissima batosta presa dal governo e dal suo azionista di maggioranza. Ma per il ministro dell’Economia uscente, e ora pure sfiduciato, Pier Carlo Padoan, che ha già annunciato di voler anche scrivere il Documento di economia e finanza nelle more delle trattative per la formazione del nuovo esecutivo, è una giornata come un’altra. Lui, del resto, il  suo seggio con il Pd a Siena se l’è preso. E poco importa se dietro quei pochi voti che gli hanno permesso di superare l’economista della Lega, Claudio Borghi, (36,2% contro 32,5%) ci siano anche i miliardi dei contribuenti utilizzati per salvare Mps.

I guai col fisco affossano i conti di De Benedetti

Gedi ha chiuso il 2017 con ricavi in crescita dell’8,2% a 633,7 milioni e un ebitda di 53,2 milioni significativamente maggiore rispetto al 2016 (43,7 milioni), anche a perimetro equivalente (46,1 milioni) . Sale anche il risultato operativo consolidato, a quota 28,7 milioni (era di 22,4 milioni l’anno scorso). A pesare sui conti sono, però, i guai col fisco. Il gruppo ha infatti dovuto pagare un vecchio conto con Agenzia delle Entrate, che ha portato in perdita il risultato netto per 123,3 milioni, a fronte di un utile di 10,4 milioni nel 2016.

sabato 3 marzo 2018

Il governo risolve il caso Embraco. Lavoratori in salvo coi soldi nostri

La Embraco va via, ma i lavoratori restano. E a pagargli gli stipendi, con tutta probabilità, saranno i contribuenti italiani. Non è stato difficile per il governo disinnescare la bomba che rischiava di esplodere a poche ore dalle elezioni. L’uovo di Colombo, manco a dirlo, sono i soldi pubblici. Quelli inseriti due giorni fa nel cosiddetto Fondo anti-delocalizzazioni, con il via libera del Cipe ad una dotazione iniziale di 200 milioni. A gestire i quattrini sarà Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa controllata dal ministero dell’Economia.
È solo grazie all’entrata in campo della partecipata che il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, è riuscito a sciogliere la matassa. Fino a qualche settimana fa, infatti, la controllata della multinazionale Usa Whirlpool sembrava tutt’altro che intenzionata a mollare sul piano di delocalizzazione in Slovacchia. E nessuno, ovviamente, sembrava disposto a rilevare l’impianto di Riva presso Chieri (Torino) permettendo ai 497 dipendenti di restare al proprio posto.

giovedì 1 marzo 2018

Alle Ferrovie si scusano, ma nessuno si dimette

«Sono stati commessi degli errori, che non ripeteremo. E dobbiamo delle scuse ai passeggeri». Renato Mazzoncini, manager che Matteo Renzi ha fortemente voluto alla guida delle Ferrovie dello Stato, ha deciso di affidare la sua versione alle pagine di Repubblica. L’ad ha spiegato che a Roma ci sono 600 scambi, di cui solo 150 attrezzati con le scaldiglie (le resistenze elettriche che permettono di sbloccare i deviatori), che ci si è messa pure la sfortuna per un guasto ad un treno Italo, che negli ultimi 6 anni la circolazione è passata da 16 milioni di treni per chilometro a 33, che se avessero bloccato tutto il servizio questo non succedeva.

lunedì 26 febbraio 2018

Di Maio non sa più che fare e si inventa il ministro forestale

L’ambiente non è proprio al centro del programma dei grillini. Scorrendo i 20 punti del programma del movimento, per trovare un riferimento all’ecologia bisogna scendere fino alla quindicesima posizione, dove si legge «Green economy: Italia 100% rinnovabile», con la promessa di 200mila posti di lavoro da economica del riciclo di rifiuti e di 17mila posti di lavoro per ogni miliardo investito in rinnovabili ed efficienza energetica.
Ma un generale dei carabinieri che ti dà la sua disponibilità non si trova tutti i giorni. E poi Luigi Di Maio doveva rimediare al più presto alla gaffe del Quirinale di qualche giorno fa, visita a sorpresa con cui sperava di avere la benedizione di Sergio Mattarella e che si è invece conclusa con il benservito del segretario generale Ugo Zampetti, senza neanche un saluto veloce al Capo dello Stato.

domenica 25 febbraio 2018

La sviolinata a Confindustria. Renzi aiuta solo i grandi. E lo dice pure

Che l’esecutivo targato Pd si sia fatto in quattro per accontentare la grande industria è un segreto solo per chi ha passato gli ultimi quattro anni in su qualche atollo sperduto del Pacifico. Incentivi, decontribuzioni, agevolazioni, ammortamenti, iperammortamenti: chi segue anche solo distrattamente l’economia del nostro Paese sa bene che gran parte degli interventi di sostegno introdotti dal governo sono stati pensati su misura per aziende con un numero di dipendenti e un giro d’affari ben più alti di quelli che caratterizzano il 98% del tessuto produttivo italiano, costituito da piccole e medie imprese.

sabato 24 febbraio 2018

La ricchezza italiana media è superiore alla loro. Ecco perché i tedeschi ci detestano

Quattromila e seicento miliardi di euro in immobili residenziali e tremila e duecento miliardi in depositi bancari, azioni, polizze e investimenti. È in queste due cifre che fotografano la ricchezza degli italiani, più che in raffinate analisi di politica economica e tributaria, che si nasconde il motivo dell’ossessiva insistenza con cui l’Europa germanocentrica ci chiede di tartassare la proprietà. Ci sono fior di studi che sostengono la maggiore efficacia ed equità dei sistemi fiscali che spostano il peso della tassazione dalle persone alle cose. Complicate equazioni che dimostrano la superiorità del balzello sul patrimonio rispetto a quello sul reddito. Ma quello che pensano a Berlino ha poco a che fare con le disquisizioni accademiche.
Qualche mese fa il rigoroso e impeccabile capo della Bundesbank, Jens Weidmann, tra una domanda e l’altra della nostra Lucia Annunziata si è lasciato sfuggire una riflessione che la dice lunga sul substrato scientifico in cui è maturata la profonda convinzione che l’Italia per sistemare i suoi conti pubblici debba al più presto tassare con più decisione la casa. «Sa», ha detto l’economista rivolto alla giornalista, «che è stata fatta una ricerca tra i paesi dell’area euro, nella quale si evidenzia che le famiglie italiane hanno più patrimonio delle famiglie tedesche? Non penso però che qualcuno auspichi un trasferimento di patrimoni dall’Italia alla Germania…».

venerdì 23 febbraio 2018

Rifilare Alitalia alle Ferrovie dello Stato

Alla faccia della concorrenza. Dopo il trasporto su ferro e quello su gomma, le Fs potrebbero controllare anche quello nei cieli, pappandosi quel che resta di Alitalia. Se non ci fosse la Cassa depositi ad insidiargli il primato, il gruppo guidato da Renato Mazzoncini potrebbe essere considerato a buon diritto l’unico vero erede dell’Iri. Il colosso pubblico del trasporto è già stato usato dal governo per salvare le Ferrovie del Sud Est dalla bancarotta e per far uscire l’Anas dal perimetro della Pa, manovra necessaria per alleggerire i conti pubblici. Ma il suo nome ricorre ogni qualvolta c’è un problema sul tavolo. Le ferrovie concesse non hanno i soldi per rinnovare i binari? L’Anm di Napoli ha troppi debiti? L’Atac di Roma non ce la fa più a sostenere l’alto costo del lavoro? Alla fine, l’ipotesi di far scendere in campo le Ferrovie a qualcuno frulla sempre per la testa. E così è stato anche per l’Alitalia. L’idea era già circolata nel 2013, quando alla guida delle Fs c’era Mauro Moretti. Poi il governo optò per gli arabi di Etihad e non se ne fece più niente.

Capolavoro della sinistra, le aziende incassano di più ma assumono di meno

Più fatturato, meno occupati. È questo il capolavoro ottenuto dalla sinistra, che ieri si è avventata sui numeri snocciolati dall’Istat per rivendicare il gran lavoro fatto dal governo negli ultimi anni. «Alla facciaccia di chi dice che non abbiamo fatto niente», ha subito commentato Matteo Renzi, sostenendo che i dati sui ricavi dell’industria sono «il migliore spot per il Pd». Le cifre, in effetti, disegnano un quadro in netto miglioramento. Nel 2017, secondo le rilevazioni dell’Istat, il fatturato delle imprese corretto per gli effetti del calendario è aumentato del 5,1% e gli ordini del 6,6%. Si tratta del dato più alto dal 2011, quando la percentuale fu del 6,8%. Ancora più significativo il risultato di dicembre, con l’indice destagionalizzato che ha raggiunto il livello più elevato (110) da ottobre 2008.

giovedì 22 febbraio 2018

Carlo Calenda: da dove viene, chi è e dove va

«Non sono un uomo per tutte le stagioni», ha detto, con tono solenne, qualche giorno fa. Ma se per caso vi capita di andare in giro con lui, cappotto e costume da bagno potrebbero non bastarvi. Da quando, a soli 10 anni, il nonno Luigi Comencini, gli fece interpretare lo scolaro Enrico Bottini nello sceneggiato televisivo tratto dal libro Cuore, Carlo Calenda non si è più fermato. Dalla Ferrari a Confindustria, da Ntv a Monti, da Bersani a Renzi. E ora eccolo a battagliare contro le multinazionali straniere con il piglio di un vecchio sindacalista. È proprio allora, con quella prima e acerba performance sotto i riflettori, che forse l’attuale ministro dello Sviluppo economico ha capito che conoscere alla perfezione la parte non sempre è necessario. Spesso basta improvvisare.
Anzi, a volte è addirittura meglio. Basta essere rapidi e reattivi. Doti che Calenda ha sviluppato nel posto dove la velocità è il pane quotidiano. Dopo il liceo classico al Mamiani di Roma, la laurea in giurisprudenza e alcuni incarichi nella finanza, il ministro dello Sviluppo, 45 anni ad aprile, figlio dell’economista Fabio Calenda e della regista Cristina Comencini, nel 1998, a soli 25 anni, approda infatti alla Ferrari, dove rimane (tranne una parentesi in Sky) finché Luca Cordero di Montezemolo non lo porta in Confindustria, prima come assistente personale e poi come direttore dell’area strategica e affari internazionali.

sabato 17 febbraio 2018

L'Inps aumenta i contributi ai precari

Continuare ad elargire sussidi e prebende (pensioni sociali, sostegni al reddito, bonus bebé, bonus mamma, ecc.) a chi non ha mai versato un contributo costa. E per far tornare i conti, oltre ad incassare ogni anno oltre 100 miliardi di quattrini pubblici, l’Inps di tanto in tanto ha bisogno anche di spremere un po’ chi i contributi li paga regolarmente su ogni euro che guadagna.
Il caso, o forse no, ha voluto che a beccarsi l’ultima legnata sia stato proprio l’anello debole della catena, gli iscritti all’istituto meno tutelati, ovvero i lavoratori parasubordinati della gestione separata, meglio conosciuti come co.co.co.

venerdì 16 febbraio 2018

Guardate i primatisti mondiali del debito:riescono a perdere 100 milioni al giorno

Cento milioni al giorno di nuovo debito e 24 milioni al giorno di nuove tasse. Il calcolo può sembrare pretestuoso. Ma è l’unico modo per rendere concreta l’idea di quello che accaduto ai conti pubblici italiani nell’ultimo anno. I dati aggregati sono quelli snocciolati ieri da Bankitalia. Al 31 dicembre del 2017 il debito delle amministrazioni pubbliche è stato di 2.256,1 miliardi. A fine 2016 il debito ammontava a 2.219,5 miliardi. Il che significa che in un solo anno si è registrato un aumento di 36,6 miliardi. Una cifra enorme, difficile persino da visualizzare. Se dividiamo quei 36,6 miliardi per i giorni dell’anno, festività comprese, scopriamo, però, che ogni 24 ore il debito pubblico che pesa sulle spalle di ogni contribuente è aumentato di oltre 98 milioni di euro. Così riusciamo quasi a contarli.

Affondo dell'Antitrust. La Gdf indaga sulle bollette gonfiate

La partita sulle bollette gonfiate è solo all’inizio. Dopo circa un anno di schermaglie con le compagnie telefoniche l’Antitrust è passata alle maniere forti. Ieri il nucleo speciale della Guardia di Finanza a disposizione dell’authority ha effettuato una serie di perquisizioni a tappeto presso le sedi di tutti i principali operatori di telefonia fissa e mobile, da Tim a Fastweb fino a Vodafone e Wind 3. Accertamenti e controlli anche presso l’Assotelecomunicazioni, l’associazione che rappresenta le imprese che si occupano di servizi di tlc. Nel mirino ci sono le ormai famigerate bollette a 28 giorni, che a dicembre, dopo un lungo duello partito lo scorso marzo, sono state definitivamente dichiarate fuorilegge sia con una delibera Antitrust sia con il decreto fiscale di fine anno, che ha concesso alle compagnie fino al 4 aprile per mettersi in regola.

mercoledì 14 febbraio 2018

"Il debito italiano è al limite: basta spese inutili o esploderà"

Il totalizzatore è inesorabile. Per quanto possa correre il tuo Italo o il tuo Frecciarossa, se parti da Roma quando arrivi a Milano il valore è più alto di circa 115 milioni.
Le cifre impazzite che ogni viaggiatore potrà vedere da oggi fino al giorno del voto sui grandi maxi schermi posti nelle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina non indicano il jackpot di una lotteria e neppure il numero di passeggeri transitati nell’ultima settimana. È semplicemente il nostro debito pubblico, che lievita ogni secondo che passa. Mentre scriviamo il tabellone ideato dall’Istituto Bruno Leoni segna 2.281 miliardi, ben 6 in più della rilevazione effettuata da Bankitalia (i dati utilizzati per il calcolo sono proprio quelli di Via Nazionale) per lo scorso novembre. Poca roba se si pensa che nel 2016 era a 2.217 miliardi e nel 2013 a 2.070, addirittura 211 miliardi in meno rispetto ad oggi.

Ma i partiti promettono più deficit

L’iniziativa dell’Istituto Bruno Leoni, che ha piazzato il suo totalizzatore del debito pubblico nelle stazioni ferroviarie di Roma e Milano, è un chiaro  monito agli italiani in vista delle elezioni. «Oltre 2mila miliardi che pagherai anche tu. Pensaci, ogni promessa è debito», si legge, con un voluto gioco di parole che rimanda direttamente alle proposte che in questi giorni fioccano da ogni dove. Tasse, pensioni, sussidi, bonus. La pioggia di quattrini che, stando ai programmi illustrati dai partiti, pioverebbe sugli italiani una volta chiuse le urne sarebbe senza fine. Le stime ufficiali fanno solitamente a pugni con quelle degli esperti, ma da qualunque punto la si voglia vedere si tratta di decine e decine di miliardi che sarebbero recuperati grazie alla congiuntura economica, all’aumento spontaneo della basa imponibile, alla lotta all’evasione o alla razionalizzazione delle spesa pubblica.Tutti terreni impervi su cui nel corso degli ultimi decenni la politica si è cimentata con clamorosi insuccessi.

venerdì 2 febbraio 2018

Brunetta prevede catastrofi fiscali entro la primavera

Certo, la flat tax ci lascerà un sacco di soldi in tasca per rilanciare i consumi e rimettere in moto l’economia, l’eliminazione della giungla di detrazioni e deduzioni fiscali rivoluzionerà il nostro modo di pagare le tasse, i pensionati avranno un assegno più alto e i poveri potranno usufruire di un sostegno concreto grazie all’imposta negativa sul reddito. Ma nell’immediato l’ottimismo di Renato Brunetta si traforma in qualcosa di più simile ad un temporale che spunta all’orizzone. Per il responsabile economico di Forza Italia, che in questi giorni sta lavorando a testa bassa al programma, la sorpresina che chiunque vinca le elezioni si troverà subito sul tavolo di Palazzo Chigi sarà una bella manovra correttiva. Il che significa, a seconda dei calcoli e delle stime, una stangata per i contribuenti dai 3 ai 5 miliardi di euro.

giovedì 1 febbraio 2018

Il fisco spierà i conti correnti per scovare i finti nullatenenti

Un algoritmo valuterà automaticamente la «congruità» tra i nostri soldi in banca e le tasse dichiarate. È l’ultimo strumento del fisco per scovare gli evasori. Per ora partirà una fase sperimentale. Ma se il meccanismo funziona, c’è da scommettere che il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, non si lascerà sfuggire l’occasione di avere a disposizione un’altra arma per incastrare i contribuenti infedeli.

mercoledì 31 gennaio 2018

La trovata del Pd per salvare le banche: sarà lo Stato a smaltire i crediti marci

C’è un po’ di Nazareno, molto fumo preelettorale e nessun tentativo di fare un po’ di chiarezza sui crac bancari che hanno bruciato decine di miliardi nella relazione approvata ieri dalla commissione d’inchiesta. Tutto, in fondo, si è chiuso com’era iniziato. Con un voto a maggioranza è stato nominato il presidente Pier Ferdinando Casini e con un voto a maggioranza è arrivato ieri il via libera del documento finale. Daniele Capezzone e Andrea Augello, entrambi non ricandidati nel centrodestra, hanno puntato il dito su Forza Italia, sostenendo che se non ci fossero state alcune assenze strategiche (quattro) ad abbassare il quorum i 19 voti favorevoli (dem e centristi) non sarebbero bastati a far passare il testo.

Truffati all'assalto degli istituti sani

«Noi non abbiamo acquistato le Banche Venete ma solo alcuni asset, come avviene nel caso di un fallimento o liquidazione. Siamo assolutamente fiduciosi che nelle sedi adeguate i tentativi di coinvolgerci verranno respinti». Gian Maria Gros-Pietro, interplellato sui rischi di un possibile coinvolgimento dell’istituto come responsabile civile nei procedimenti giudiziari a carico di Veneto Banca, ha ribadito con forza che Banca Intesa non ha alcuna intenzione di farsi carico dei danni subiti dai risparmiatori in seguito ai dissesti. «È comprensibile che chi ha perso i propri soldi cerchi di riaverli», ha proseguito il presidente dell’istituto, «ma non è comprensibile che gli azionisti delle Banche Venete chiedano di essere risarciti da quelli di Intesa Sanpaolo».

sabato 27 gennaio 2018

La Madia si ricorda delle forze dell'ordine solo in vista del voto

La corsa a tappe forzate del governo per tentare di far arrivare l’aumento in tasca agli oltre 3 milioni di statali prima del voto prosegue. Ieri, dopo i 270mila ministeriali, all’elenco si sono aggiunti anche i 450mila lavoratori del comparto sicurezza e difesa. Un settore che raramente, negli anni scorsi, ha ricevuto le attenzioni di Palazzo Chigi. «Sono nove anni che non si faceva un contratto. Questo è un risultato importante», ha festeggiato la ministra della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, tralasciando di ricordare che è stata la Corte costituzionale, con una sentenza che ha ormai più di due anni, a costringere il governo a rimettersi al tavolo della trattativa. Gli aumenti saranno di 125 euro circa per le forze armate, 136 per la guardia di finanza, 134 per i carabinieri, 132 per la polizia, 126 polizia penitenziaria. Questo si aggiungerà agli arretrati annuali, circa 556 euro per i corpi di polizia, 516 per le forze armate. Siccome il contratto è stato firmato nel 2016, sono due gli anni da recuperare con l’una tantum che arriverà non appena partiranno gli scatti.

L'Inps regala case ai poveri con i soldi dei pensionati

Il centro vacanze a Lido Alberoni (Venezia), la colonia Italia a Riccione, la casa di soggiorno climatica a Giulianova (Teramo), il comprensorio di Via Carlo Spinola a Roma, l’ex Convitto Femminile di Spoleto, Villa Marina a Pesaro. Sono alcuni degli immobili che l’Inps intende destinare al progetto senior house, un vecchio pallino di Tito Boeri, ieri rilanciato in occasione della celebrazione dei 120 anni della previdenza sociale.

venerdì 26 gennaio 2018

Un terzo degli incidenti dovuto a scarsa manutenzione

Il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, assicura che «gli investimenti, in sicurezza, messi a disposizione da Rfi e dal governo, sono aumentati del 340% in questi 3 anni». Ammesso che sia vero, cosa difficile da dimostrare perché i dati disaggregati sulle spese in sicurezza non sono disponibili, resta anche da capire quanti di questi quattrini siano stati destinati alla rete ferroviaria regionale e quanti sulla moderna e redditizia rete ad alta velocità.

giovedì 25 gennaio 2018

I dazi di Trump ci servirebbero tanto

Da una parte i balzelli, dall’altra la crescita. Da una parte il presidente del Fondo monetario, Christine Lagarde, che, tra gli applausi del Forum di Davos, suggerisce all’Europa di aumentare ulteriormente le tasse sui redditi più alti e sui patrimoni (leggi case) per aiutare i giovani. Dall’altra il segretario al Tesoro Usa, Stephen Mnuchin, che, guardato malissimo dai papaveri continentali del summit, parla dei «trilioni di dollari» che porterà agli Stati Uniti la riforma fiscale di Donald Trump e dei benefici che questo produrrà nel resto del mondo.
Tra le due visioni a confronto, Angela Merkel non ha alcuna dubbio su dove schierarsi. Il problema, per il Vecchio continente, sono i dazi del presidente Usa. «Oggi, 100 anni dopo la Grande Guerra», ha detto la Cancelliera rivolta a Trump, pur senza mai citarlo, «dobbiamo chiederci se abbiamo davvero imparato la lezione della storia, e a me pare di no. L’unica risposta è la cooperazione e il multilateralismo».

mercoledì 24 gennaio 2018

Le manovre del Pd per fermare l'aliquota unica

A Bruxelles si discute della futura governance del Vecchio continente, del superministro economico, del nuovo Fondo monetario europeo, della blindatura del fiscal compact nel diritto comunitario. Riforme che, manco a dirlo, finiranno per inguaiare un altro po’ l’Italia e su cui Francia e Germania si stanno già muovendo da tempo con drappelli di economisti ed esperti che sfornano proposte congiunte. C’è addirittura chi sostiene che, malgrado la scadenza del mandato sia fissata per ottobre 2019, nei corridoi dell’euroburocrazia sia già nel vivo la partita per la successione di Mario Draghi alla Bce, sui cui Berlino avrebbe pronta la candidatura forte del presidente della Bundesbank, Hans Weidmann.

sabato 20 gennaio 2018

Via libera al rinnovo per 270mila statali

La corsa contro il tempo ora è per far arrivare materialmente i soldi in tasca ai deipendenti entro febbraio. Qualche giorno prima del voto. Ma vista l’importanza della posta in gioco c’è da scommettere che il governo riuscirà nell’intento.

I banchieri dei crac iniziano a pagare. Ma a Zonin tolgono solo le briciole

La Consob, nel maggio dello scorso anno, ha multato gli ex vertici della Popolare di Vicenza per complessivi 9,1 milioni di euro. Un mese dopo, nel luglio 2017, anche Bankitalia ha disposto sanzioni amministrative ai manager in carica all’epoca del dissesto: 3,6 milioni di euro. Cifre tutto sommato irrisorie, se si pensa che i destinatari dei provvedimenti punitivi sono banchieri che hanno bruciato circa 6 miliardi di euro in mano a 120mila risparmiatori e sono usciti di scena con le tasche zeppe di soldi.

venerdì 19 gennaio 2018

Coi premier pd bruciati 160 miliardi

«Non è il momento di scardinare i pilastri del nostro sistema, dalle pensioni al fisco. Non è il tempo delle cicale, ma dell’investimento sul futuro». Il ragionamento di Paolo Gentiloni è chiaro. Non è il momento di sperperare, ma di mettere fieno in cascina. Anche perché la ripresina in atto potrebbe permettere un po’ di margini di manovra anche senza intaccare troppo i saldi di finanza pubblica. Giusto o meno che sia il suggerimento, c’è da chiedersi se lo stesso premier uscente, e i suoi predecessori del Pd, abbiano seguito la stessa strada.

Crescono i mantenuti a spese nostre

Niente lavoro, niente contributi, 453 al mese per 13 mensilità. La cuccagna dell’Inps finanziata dalla collettività continua a raccogliere adesioni. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istituto guidato da Tito Boeri i nuovi assegni sociali erogati nel 2017 sono aumentati del 17,7%, passando da 36.740 a 43.249.

giovedì 18 gennaio 2018

Gli avvoltoi del 2011 tornano a minacciarci e dirci chi votare

«Gli investitori sono più fiduciosi di un Paese che presenta una situazione di continuità». Ci risiamo. Standard & Poor’s torna a ficcare il naso nella politica italiana. Nel 2011 l’agenzia internazionale che giudica il rischio di fallimento di società e Stati sovrani è stata addirittura accusata dalla procura di Trani (inchiesta poi finita con l’assoluzione) di aver brigato con il rating per disarcionare Silvio Berlusconi dalla tolda di Palazzo Chigi. L’ipotesi dello zampino dell’agenzia di rating nelle vicende che portarono all’arrivo del governo di salute nazionale guidato da Mario Monti non sono state confermate.

Il nuovo capo della Consob seppellisce l'era Vegas: tutto da rifare

«La Consob che voglio presiedere dovrebbe passare sempre più da una azione ex post a una ex ante, perché nei mercati finanziari intervenire in ritardo serve a poco». Mario Nava ha premesso di non voler parlare, per delicatezza, della precedente gestione. Pur senza mai nominarlo, le stoccate a Giuseppe Vegas non sono, però, mancate. Anzi, tutta l’aduzione del neopresidente della Consob davanti alle commissioni Finanza di Camera e Senato è stata sostanzialmente una raffica di rasoiate al suo predecessore. Come quando ha spiegato che l’autorità ha funzionato «molto bene in passato», ma quando era guidata da Tommaso Padoa Schioppa e Luigi Spaventa. Ed è lì, ha detto, «che bisogna tornare, con una profonda azione di ristrutturazione». Quanto ai rapporti con le altre authority, la cui inefficienza è uscita platealmente allo scoperto nel corso dell’indagine della commissione banche, Nava ha detto che «è fondamentale una sinergia strettissima con Bankitalia», perché «indipendenza non vuol dire isolamento».

Patuelli resta presidente dell'Abi per aver difeso le banche dalla Ue

Non sarà stato tutto merito suo. Ma di certo il contributo di Antonio Patuelli nella battaglia che ha spinto la Vigilanza Bce a fare marcia indietro sul famoso addendum sugli Npl che avrebbe messo in ginocchio le banche italiane, è stato tutt’altro che irrilevante. Basti pensare al serrato lavoro diplomatico con cui il presidente dell’Abi è riuscito a portare al fianco del nostro Paese non solo la potente associazione bancaria francese, ma anche la federazione europea del credito, che in passato non si era mai mostrata troppo sensibile ai problemi degli istituti nostrani.

mercoledì 10 gennaio 2018

Padoan si fa raccomandare dall'Europa

Che qualcosa si stesse muovendo intorno a Pier Carlo Padoan lo si era capito già da un paio di giorni. L’ampia e dettagliata intervista al Corriere della Sera era eloquente. Più che a tracciare un bilancio del  lavoro fatto, ogni risposta era buona per gettare lo sguardo oltre la legislatura. Strade da proseguire, riforme da completare. E a domanda precisa il titolare di Via XX Settembre replica: «Candidarmi? Nessuno me lo ha chiesto e io non chiedo nulla, ma se me lo chiedessero, non lo escludo».

Persi 3 anni, ma il posto fisso non c'è

La sinistra e i sindacati hanno passato gli ultimi anni a riempirci la testa di discussioni sulle tutele crescenti, sull’articolo 18, sugli sgravi contributivi. Ad un certo punto è sembrato che il contratto a tempo determinato fosse rimasto l’unico modo possibile con cui un’azienda potesse assumere personale. Per un po’, l’inganno ha retto: disincentivi da una parte, incentivi dall’altra e una pioggia di sconti fiscali hanno prodotto una crescita robusta dei posti fissi. Dal dicembre 2014 al dicembre 2016 l’incremento è stato del 7%, pari a ben 700mila unità.

martedì 9 gennaio 2018

Tangenti Finmeccanica, innocenti tutti i capi

Una commessa da 556 milioni andata in fumo, la Lega trascinata nel fango per una mazzetta mai presa, lo Stato maggiore dell’aeronautica indiana coinvolto in una storia di corruzione internazionale con ripercussioni sulla vicenda dei marò, la reputazione di Finmeccanica (che non a caso oggi si chiama Leonardo) gettata in pasto ai giornali di mezzo mondo, Giuseppe Orsi defenestrato dall’azienda e tenuto in carcere per 84 giorni. L’elenco dei danni diretti e collaterali provocati dall’inchiesta nata da una «soffiata» dell’ex dirigente del gruppo Lorenzo Borgogni nella primavera del 2011 negli uffici napoletani dei pm Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli è incredibilmente lungo per una vicenda di cui «non vi è prova sufficiente che i fatti sussistano».

venerdì 5 gennaio 2018

L'allarme dell'Ivass. Polizze "dimenticate" per 200 miliardi

Oltre 200 miliardi di euro che rischiano di sparire nel nulla. O, meglio, di finire nel Fondo rapporti dormienti istituito presso la Consap se nessuno li reclamerà per tempo. Siano essi i sottoscrittori del contratto o i legittimi beneficiari.

giovedì 4 gennaio 2018

Cala il prezzo dell'energia, aumentano le bollette

È possibile pagare di più un prodotto quando il suo prezzo scende? Per quanto bizzarro possa sembrare, è esattamente quello che accade con la bolletta elettrica. Solo qualche giorno fa l’Autorità per l’energia ha diffuso le nuove tariffe per l’erogazione del servizio ai clienti in maggior tutela, quelli che non hanno scelto il mercato libero. Chiarissimo il verdetto: i costi per il prossimo trimestre saliranno del 5,3%. Neanche il tempo di ingoiare a fatica l’ennesima stangata, che il Gestore del mercato elettrico ha diffuso le periodiche rilevazioni sul prezzo dell’elettricità nell’ultima settimana del 2017, dal 25 al 31 dicembre. Ebbene, il prezzo medio di acquisto dell’energia nella borsa elettrica è sceso di 15,71 euro/MWh, in percentuale si tratta di un calo del 24,8%.

Caos sui sacchetti a pagamento. Ma è folle infuriarsi per un cent

Truffa, bufala, fake news? Sono bastati due giorni di applicazione e l’obbligo del sacchetto ecologico al banco dell’ortofrutta ha scatenato il primo polverone del 2018. In realtà, la beffa della sporta a pagamento nei supermercati risale al 2011. Da allora, grazie ad una solerte applicazione di una direttiva Ue, gli italiani hanno dovuto dire addio alle vecchie, gratuite e resistenti buste di plastica. Al loro posto sono arrivati i sacchetti biodegradabili, rigorosamente a pagamento e di carta velina. Buoni forse per l’ambiente, ma di sicuro non per contenere cibi più pesanti di una confezione di tovaglioli. Così, chi non vuole rincorrere per la strada barattoli di pelati o scatolette di tonno è costretto ad acquistare i borsoni messi generosamente a disposizione dai commercianti, più costosi e griffati, tanto per fare un po’ di pubblicità ai negozi a spese nostre.

mercoledì 3 gennaio 2018

Il Sud si pappa i sussidi di povertà. Richieste triple rispetto al Nord

È bastato poco più di un mese per avere un’idea abbastanza precisa delle strade che prenderanno gli 1,8 miliardi stanziati dal governo per il reddito di inclusione. Dei circa 1,8 milioni di persone che, secondo le stime del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, potranno accedere al nuovo sussidio di povertà, oltre 75mila hanno già fatto pervenire all’Inps, che eroga materialmente gli assegni, i moduli di richiesta. La mappa delle domande, com’era prevedibile, è disomogenea. Del resto, le statistiche sul rischio di povertà o di esclusione sociale periodicamente elaborate dall’Istat disegnano un Paese profondamente spaccato, con forbici percentuali che si differenziano di diversi punti tra le regioni più ricche del Nord e quelle meno abbienti del Sud.

Per pagare tasse e balzelli servono 238 ore all'anno

Quattordici pagamenti l’anno che portano via almeno 238 ore di tempo. Il tutto per pagare una mole di tasse, balzelli e contributi che si portano via il 48% dei profitti commerciali dell’impresa. È questa la drammatica fotografia del fisco italiano scattata dal consueto rapportone annuale Paying Taxes, stilato congiuntamente dalla Banca Mondiale da Pwc.