giovedì 1 marzo 2018

Alle Ferrovie si scusano, ma nessuno si dimette

«Sono stati commessi degli errori, che non ripeteremo. E dobbiamo delle scuse ai passeggeri». Renato Mazzoncini, manager che Matteo Renzi ha fortemente voluto alla guida delle Ferrovie dello Stato, ha deciso di affidare la sua versione alle pagine di Repubblica. L’ad ha spiegato che a Roma ci sono 600 scambi, di cui solo 150 attrezzati con le scaldiglie (le resistenze elettriche che permettono di sbloccare i deviatori), che ci si è messa pure la sfortuna per un guasto ad un treno Italo, che negli ultimi 6 anni la circolazione è passata da 16 milioni di treni per chilometro a 33, che se avessero bloccato tutto il servizio questo non succedeva.

Ma alla fine, di fronte alla debaclè totale delle Ferrovie nel fronteggiare un’emergenza provocata da pochi centimetri di neve, ai ritardi di 7 ore alla cancellazione del 50% dei treni e ai disagi mostruosi arrecati a migliaia di viaggiatori, la risposta di Mazzoncini resta: tante scuse, non succederà più. Come un bambino che viene beccato a salire con le scarpe sul divano.
A differenza del bambino, a cui bisogna credere sulla parola, il manager, che guida un gruppo da oltre 8 miliardi di fatturato con 70mila dipendenti, spiega nel dettaglio come farà ad evitare il bis: «Abbiamo deciso di inserire nel contratto di programma tra ministero ed Rfi l’attrezzaggio di tutta la rete laziale con i sistemi antineve e antighiaccio, con un investimento di 100 milioni a regime». In questo modo, ha concluso, «metteremo la rete in condizioni di parità con il resto del Paese».

Bisogna sapere che il contratto che lo Stato sigla con le Fs dal 1987 per garantire un’adeguata infrastruttura ferroviaria nel Paese è un accordo enorme, che riguarda un corrispettivo per i servizi e uno per gli investimenti. Per avere un’idea delle dimensioni del finanziamento pubblico vale la pena ricordare l’entità dell’ultimo contratto firmato lo scorso agosto, che sul fronte degli investimenti nel periodo 2017-2021 ha messo sul piatto risorse per 13 miliardi di euro. Adesso Mazzoncini ci viene a dire che per risolvere tutto ed evitare problemi per il futuro basterà un esborso di 100 milioni.
Possibile che nessuno abbia pensato prima ad utilizzare una briciola dei quattrini che arrivano dallo Stato per prevenire un tale disastro? Siamo davvero sicuri che con 100 milioni si sarebbe evitato quello che è successo e sta ancora succedendo, con i treni che continuano a a sparire dai tabelloni (Trenitalia ha annunciato anche per oggi una circolazione tra il 50% del regionale e l’80% dell’alta velocità) malgrado la neve a Roma non cada più dalle 8.30 di lunedi mattina?

In entrambi i casi, le scuse servono a poco. E tra chi dovrebbe assumersi qualche responsabilità in più ci sono anche i politici che nel dicembre del 2015 hanno deciso di mandare a casa l’ad Michele Mario Elia e il presidente Marcello Messori, arrivati solo un anno prima. Motivo? Non si mettevano d’accordo sulla privatizzazione delle Fs, che per il governo sembrava una priorità assoluta. Soprattutto per questo fu chiamato Mazzoncini, che però, appena seduto sulla poltrona, spiegò che ci voleva molto tempo. Tanto che solo qualche settimana fa l’ad ha detto chiaramente che le Fs non hanno alcun bisogno di quotarsi perché possono tranquillamente finanziarsi con le obbligazioni.
Malgrado la missione incompiuta, il governo, ora guidato da Paolo Gentiloni, a Camere sciolte, ha deciso di soffiare la scelta dei vertici Fs al nuovo esecutivo, utilizzando la fusione con l’Anas, per rinnovare in anticipo il mandato di Mazzoncini (che scadeva ad aprile) per altri tre anni.
Giusto il tempo per mettere un po’ di scaldiglie nel nodo di Roma.

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