sabato 3 marzo 2018

Il governo risolve il caso Embraco. Lavoratori in salvo coi soldi nostri

La Embraco va via, ma i lavoratori restano. E a pagargli gli stipendi, con tutta probabilità, saranno i contribuenti italiani. Non è stato difficile per il governo disinnescare la bomba che rischiava di esplodere a poche ore dalle elezioni. L’uovo di Colombo, manco a dirlo, sono i soldi pubblici. Quelli inseriti due giorni fa nel cosiddetto Fondo anti-delocalizzazioni, con il via libera del Cipe ad una dotazione iniziale di 200 milioni. A gestire i quattrini sarà Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa controllata dal ministero dell’Economia.
È solo grazie all’entrata in campo della partecipata che il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, è riuscito a sciogliere la matassa. Fino a qualche settimana fa, infatti, la controllata della multinazionale Usa Whirlpool sembrava tutt’altro che intenzionata a mollare sul piano di delocalizzazione in Slovacchia. E nessuno, ovviamente, sembrava disposto a rilevare l’impianto di Riva presso Chieri (Torino) permettendo ai 497 dipendenti di restare al proprio posto.

Le reindustrializzazione di uno stabilimento dismesso è costosa. Se a questo si aggiunge che il nuovo investitore si trova già sul groppone un costo del lavoro bloccato dall’organico preesistente,si capisce come non sia facile trovare pretendenti. A sbloccare la situazione ci ha pensato il governo, assicurando che se nessuno si farà avanti, l’incombenza se la prenderà Invitalia, che si farà carico pure di eventuali esuberi se l’operazione non dovesse andare in porto. Tanto è bastato ad Embraco, che ora potrà uscire senza traumi e, forse, anche con il ricavato della vendita dell’impianto, per accettare un congelamento dei licenziamenti per tutto il 2018, con la garanzia dello stipendio pieno fino alla fine dell’accordo. La società ha «escluso la possibilità di mantenimento delle attuali lavorazioni» (nel sito si producono compressori per frigoriferi, ndr) confermando quindi l'intenzione di uscire dal sito, ma ha dato «rassicurazione sulla possibilità di favorire concretamente nuovi insediamenti produttivi presso il proprio stabilimento».
L’intesa è stata accolta molto positivamente dai sindacati, che si sono affrettati a rivendicare l’importanza della propria battaglia, disinteressandosi di chi pagherà il conto. «Le lotte che ci sono state», ha affermato la segretaria generale della Fiom, Francesca Re David, «hanno consentito che non ci siano licenziamenti il 26 marzo e questo è sicuramente un dato positivo perché apre un ulteriore spazio di trattativa».
Festeggiamenti anche dalle parti del governo e di tutto lo schieramento di sinistra, dove è stata sottolineata l’abilità con cui l’esecutivo ha condotto la trattativa. Come se tutte le future crisi aziendali si potessero risolvere tirando fuori 200 milioni di denaro pubblico.

© Libero