Il patto della flat tax. A poche ore dalla scadenza del periodo di “riflessione” che il Capo dello Stato si è concesso prima di decidere i prossimi passi, quel segnale che Sergio Mattarella aspettava potrebbe essere arrivato. Un segnale sui contenuti, che segue e rafforza le dichiarazioni di Luigi Di Maio sulla «affidabilità» di Matteo Salvini e apre, per la prima volta, uno spiraglio concreto sulla possibilità di un’intesa tra il Carroccio e i pentastellati. Al centro della convergenza c’è il taglio delle tasse. Un tema troppo caro al leader leghista e all’intera coalizione di centrodestra per pensare che il battibecco a distanza tra il senatore Nicola Morra, vicino al grillino Roberto Fico, e il capogruppo M5S, Danilo Toninelli, sia casuale ed estemporaneo. «La tassa unica dimentica i poveri», ha detto il primo, replicando all’ennesimo proclama di Salvini sulla bontà della flat tax. «Se c’è un meccanismo per cui la flat tax è costituzionale e non svantaggia i poveri, noi siamo d’accordo», lo ha zittito a stretto giro il secondo.
Al principio fu creato l'universo. Questo fatto ha sconcertato non poche persone ed è stato considerato dai più come una cattiva mossa. (Douglas Adams)
lunedì 23 aprile 2018
I Parlamentari lavorano solo per aumentare le ferie
Chi l’ha detto che il parlamento non sta lavorando? Certo, i tempi sono dilatati, le commissioni (tranne quella speciale per gli affari urgenti) non ci sono, la maggioranza neanche, poi ci sono le solenni celebrazioni per la liberazione, quelle altrettanto imperdibili per il primo maggio, i fine settimana per tornare a curare il proprio collegio. Ma mentre i leader dei partiti usciti vincitori dalle urne stanno faticosamente cercando di trovare la quadra, tra una consultazione al Colle, una scappata in Molise e un giretto tra gli stand del Vinitaly o del Salone del mobile, deputati e senatori si sono comunque rimboccati le maniche e hanno iniziato a produrre succose proposte di legge.
domenica 22 aprile 2018
Quindici province tirano l'Italia. Le altre si fanno mantenere
Meccanica, metalli, gomma, materie plastiche. Ma anche tessile, apparecchi elettrici e prodotti farmaceutici. Nel mondo ci sono oltre 15 miliardi di euro di prodotti made in Bergamo. Un business che nel 2017 è cresciuto del 6,7% (in linea con la media nazionale del 7,4% e regionale del 7,5%) e che si è ripercosso positivamente su tutta l’economia della provincia orobica, che ha un pil procapite più alto della media nazionale (24mila euro) di oltre mille euro e un tasso di occupazione al 65,3%, tre punti sopra quello italiano.
Patrimoniale? Ne abbiamo già 14. E ci costano 45,5 miliardi l'anno
All’Italia serve una patrimoniale. Gli organismi internazionali non smettono di dircelo. Lo ripete incessantemente la Commissione europea, ce lo ricorda l’Ocse, lo ribadisce l’Fmi. Peccato che la patrimoniale in Italia ci sia già. Anzi, ce ne sono addirittura 14. E il conto per i contribuenti non smette mai di crescere.
Secondo le rilevazioni effettuate dalla Cgia di Mestre, in poco più di 25 anni l’incidenza sul Pil delle imposte sulla proprietà è letteralmente raddoppiata, mentre in termini assoluti il gettito è aumentato di cinque volte.
Secondo le rilevazioni effettuate dalla Cgia di Mestre, in poco più di 25 anni l’incidenza sul Pil delle imposte sulla proprietà è letteralmente raddoppiata, mentre in termini assoluti il gettito è aumentato di cinque volte.
sabato 21 aprile 2018
La Bce smaschera gli istituti italiani: hanno riempito i clienti di titoli tossici
La lezione non è servita. Non sono bastati gli oltre 400 milioni di euro di obbligazioni subordinate messe in tasca ai piccoli clienti di Banca Carife, Carichieti, Banca Marche ed Etruria, i 200 milioni di Pop Vicenza e Veneto Banca, i 2,1 miliardi di Mps.
Ad ogni fallimento bancario tutti i principali istituti si sono affrettati a promettere che i loro sportelli avrebbero tenuto i risparmiatori alla larga dai prodotti di investimento più rischiosi. Quelli che finiscono in fumo per primi quando la banca va a gambe all’aria e che costringono lo Stato ad intervenire con i soldi dei contribuenti.
Ad ogni fallimento bancario tutti i principali istituti si sono affrettati a promettere che i loro sportelli avrebbero tenuto i risparmiatori alla larga dai prodotti di investimento più rischiosi. Quelli che finiscono in fumo per primi quando la banca va a gambe all’aria e che costringono lo Stato ad intervenire con i soldi dei contribuenti.
venerdì 20 aprile 2018
Padoan non fa il ponte a fa scattare il rincaro dell'Iva
Mentre il Parlamento si prende una pausa il ministro dell’Economia uscente continua a lavorare. Forse sarebbe stato meglio il contrario. Già, perché l’attività a cui si sta dedicando in questi giorni Pier Carlo Padoan, insieme ai tecnici di Via XX Settembre, è il Documento di economia e finanza. Documento che, non essendoci un governo in carica, dovrà essere stilato, come ha suggerito l’Europa a legislazione vigente. Il che significa una stangata di 12,5 miliardi nel 2019 e di 19 nel 2020 grazie all’aumento dell’Iva automatico previsto dalle famigerate clausole di salvaguardia.
Tim , tra francesi e americani volano gli stracci
C’era una volta Enrico Cuccia, che ogni mattina percorreva a piedi la strada che separava la sua casa dalla piazzetta che ora porta il suo nome senza aprire mai bocca, seppure incalzato dai numerosi giornalisti che tentavano di carpire una briciola dei suoi segreti. I tanto criticati salotti di Mediobanca, stanze felpate dove si chiudevano operazioni con i controfiocchi senza inutili clamori, sono stati sostituiti dal mercato del pesce, dagli insulti a cielo aperto, dagli sganassoni mediatici.
C’è chi sostiene che questo sia il prezzo da pagare per la trasparenza, per la fine degli accordi sottobanco, dei patti riservati. C’è chi, invece, rimpiange il cosiddetto capitalismo di relazione, con tutti i suoi limiti e i suoi difetti. Certo è che lo scontro pubblico tra francesi (peraltro profondi conoscitori dello stile Mediobanca) e americani per il controllo di Tim ha raggiunto livelli che raramente si vedono financo nelle campagne elettorali.
C’è chi sostiene che questo sia il prezzo da pagare per la trasparenza, per la fine degli accordi sottobanco, dei patti riservati. C’è chi, invece, rimpiange il cosiddetto capitalismo di relazione, con tutti i suoi limiti e i suoi difetti. Certo è che lo scontro pubblico tra francesi (peraltro profondi conoscitori dello stile Mediobanca) e americani per il controllo di Tim ha raggiunto livelli che raramente si vedono financo nelle campagne elettorali.
mercoledì 11 aprile 2018
Bastonata della Bce
Altro che impatto soft. Quando la Bce, lo scorso marzo, ha ripresentato il suo «addendum» alle line guida sui crediti deteriorati, spiegando che le banche dovranno svalutare integralmente entro due anni i prestiti non garantiti ed entro sette quelli coperti da garanzie, qualcuno ha quasi festeggiato. Rispetto alla versione di fine anno, ha detto il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, che è stato in prima fila nel contestare la severità delle nuove regole, «il testo sembra tenere conto delle nostre perplessità».
Certo, le norme non sono più vincolanti, gli istituti avranno tre anni di tempo per arrivare al 40% di copertura minima dei crediti non garantiti. Francofrorte terrà, inoltre, conto di situazione specifiche e valuterà con indulgenza le «inadempienza probabili».
Certo, le norme non sono più vincolanti, gli istituti avranno tre anni di tempo per arrivare al 40% di copertura minima dei crediti non garantiti. Francofrorte terrà, inoltre, conto di situazione specifiche e valuterà con indulgenza le «inadempienza probabili».
giovedì 5 aprile 2018
Padoan se ne va e ci lascia nei guai
Bruxelles ha già fatto trapelare che potrebbe concedere all’Italia l’ennesimo sconticino, escludendo le spese per i salvataggi bancari dai saldi di finanza pubblica.
Ma la sostanza cambia poco. Il ministro dell’Economia uscente, Pier Carlo Padoan, ci aveva detto che si trattava di bruscolini, per di più caricati solo sul debito, e invece sono piovuti macigni sul deficit, che ridurranno sensibilmente gli spazi di manovra a disposizione del nuovo governo per riforme e tagli di imposte.
Ma la sostanza cambia poco. Il ministro dell’Economia uscente, Pier Carlo Padoan, ci aveva detto che si trattava di bruscolini, per di più caricati solo sul debito, e invece sono piovuti macigni sul deficit, che ridurranno sensibilmente gli spazi di manovra a disposizione del nuovo governo per riforme e tagli di imposte.
mercoledì 4 aprile 2018
Il salvataggio delle banche venete ci costerà quanto una manovra correttiva
La versione di Pier Carlo Padoan era di quelle che si raccontano ai bambini la sera, per farli addormentare: lo Stato ha speso 17 miliardi di euro dei contribuenti per salvare le banche venete, ma si tratta solo di garanzie e di quattrini anticipati che torneranno indietro. Insomma, alla fine ci si potrebbe pure guadagnare qualcosa.
Ci sono voluti quasi dieci mesi e gli esperti di Eurostat per smascherare le favole del ministro dell’Economia uscente (che ora rischia pure di firmare il Def) sull’operazione con cui il governo nel giugno dello scorso anno ha evitato il fallimento di Pop Vicenza e Veneto Banca, regalando la parte sana degli istituti a Intesa Sanpaolo e tenendosi in pancia i crediti marci.
Altro che prestiti, perdite potenziali, soldi presi dal fondo salva banche. La mossa del governo ci costerà uno 0,3% in più di deficit pil. Il che può significare diverse cose, una peggio dell’altra: dalla necessità di varare una manovra correttiva per rispettare gli impegni minimi presi con la Ue all’impossibilità di sterilizzare le clausole di salvaguardia che faranno scattare una stangata fiscale sull’Iva da 12 miliardi per il 2019 e di 20 a partire dal 2020.
Ci sono voluti quasi dieci mesi e gli esperti di Eurostat per smascherare le favole del ministro dell’Economia uscente (che ora rischia pure di firmare il Def) sull’operazione con cui il governo nel giugno dello scorso anno ha evitato il fallimento di Pop Vicenza e Veneto Banca, regalando la parte sana degli istituti a Intesa Sanpaolo e tenendosi in pancia i crediti marci.
Altro che prestiti, perdite potenziali, soldi presi dal fondo salva banche. La mossa del governo ci costerà uno 0,3% in più di deficit pil. Il che può significare diverse cose, una peggio dell’altra: dalla necessità di varare una manovra correttiva per rispettare gli impegni minimi presi con la Ue all’impossibilità di sterilizzare le clausole di salvaguardia che faranno scattare una stangata fiscale sull’Iva da 12 miliardi per il 2019 e di 20 a partire dal 2020.
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