L’ambiente non è proprio al centro del programma dei grillini. Scorrendo i 20 punti del programma del movimento, per trovare un riferimento all’ecologia bisogna scendere fino alla quindicesima posizione, dove si legge «Green economy: Italia 100% rinnovabile», con la promessa di 200mila posti di lavoro da economica del riciclo di rifiuti e di 17mila posti di lavoro per ogni miliardo investito in rinnovabili ed efficienza energetica.
Ma un generale dei carabinieri che ti dà la sua disponibilità non si trova tutti i giorni. E poi Luigi Di Maio doveva rimediare al più presto alla gaffe del Quirinale di qualche giorno fa, visita a sorpresa con cui sperava di avere la benedizione di Sergio Mattarella e che si è invece conclusa con il benservito del segretario generale Ugo Zampetti, senza neanche un saluto veloce al Capo dello Stato.
Al principio fu creato l'universo. Questo fatto ha sconcertato non poche persone ed è stato considerato dai più come una cattiva mossa. (Douglas Adams)
lunedì 26 febbraio 2018
Di Maio non sa più che fare e si inventa il ministro forestale
domenica 25 febbraio 2018
La sviolinata a Confindustria. Renzi aiuta solo i grandi. E lo dice pure
Che l’esecutivo targato Pd si sia fatto in quattro per accontentare la grande industria è un segreto solo per chi ha passato gli ultimi quattro anni in su qualche atollo sperduto del Pacifico. Incentivi, decontribuzioni, agevolazioni, ammortamenti, iperammortamenti: chi segue anche solo distrattamente l’economia del nostro Paese sa bene che gran parte degli interventi di sostegno introdotti dal governo sono stati pensati su misura per aziende con un numero di dipendenti e un giro d’affari ben più alti di quelli che caratterizzano il 98% del tessuto produttivo italiano, costituito da piccole e medie imprese.
sabato 24 febbraio 2018
La ricchezza italiana media è superiore alla loro. Ecco perché i tedeschi ci detestano
Quattromila e seicento miliardi di euro in immobili residenziali e tremila e duecento miliardi in depositi bancari, azioni, polizze e investimenti. È in queste due cifre che fotografano la ricchezza degli italiani, più che in raffinate analisi di politica economica e tributaria, che si nasconde il motivo dell’ossessiva insistenza con cui l’Europa germanocentrica ci chiede di tartassare la proprietà. Ci sono fior di studi che sostengono la maggiore efficacia ed equità dei sistemi fiscali che spostano il peso della tassazione dalle persone alle cose. Complicate equazioni che dimostrano la superiorità del balzello sul patrimonio rispetto a quello sul reddito. Ma quello che pensano a Berlino ha poco a che fare con le disquisizioni accademiche.
Qualche mese fa il rigoroso e impeccabile capo della Bundesbank, Jens Weidmann, tra una domanda e l’altra della nostra Lucia Annunziata si è lasciato sfuggire una riflessione che la dice lunga sul substrato scientifico in cui è maturata la profonda convinzione che l’Italia per sistemare i suoi conti pubblici debba al più presto tassare con più decisione la casa. «Sa», ha detto l’economista rivolto alla giornalista, «che è stata fatta una ricerca tra i paesi dell’area euro, nella quale si evidenzia che le famiglie italiane hanno più patrimonio delle famiglie tedesche? Non penso però che qualcuno auspichi un trasferimento di patrimoni dall’Italia alla Germania…».
Qualche mese fa il rigoroso e impeccabile capo della Bundesbank, Jens Weidmann, tra una domanda e l’altra della nostra Lucia Annunziata si è lasciato sfuggire una riflessione che la dice lunga sul substrato scientifico in cui è maturata la profonda convinzione che l’Italia per sistemare i suoi conti pubblici debba al più presto tassare con più decisione la casa. «Sa», ha detto l’economista rivolto alla giornalista, «che è stata fatta una ricerca tra i paesi dell’area euro, nella quale si evidenzia che le famiglie italiane hanno più patrimonio delle famiglie tedesche? Non penso però che qualcuno auspichi un trasferimento di patrimoni dall’Italia alla Germania…».
venerdì 23 febbraio 2018
Rifilare Alitalia alle Ferrovie dello Stato
Alla faccia della concorrenza. Dopo il trasporto su ferro e quello su gomma, le Fs potrebbero controllare anche quello nei cieli, pappandosi quel che resta di Alitalia. Se non ci fosse la Cassa depositi ad insidiargli il primato, il gruppo guidato da Renato Mazzoncini potrebbe essere considerato a buon diritto l’unico vero erede dell’Iri. Il colosso pubblico del trasporto è già stato usato dal governo per salvare le Ferrovie del Sud Est dalla bancarotta e per far uscire l’Anas dal perimetro della Pa, manovra necessaria per alleggerire i conti pubblici. Ma il suo nome ricorre ogni qualvolta c’è un problema sul tavolo. Le ferrovie concesse non hanno i soldi per rinnovare i binari? L’Anm di Napoli ha troppi debiti? L’Atac di Roma non ce la fa più a sostenere l’alto costo del lavoro? Alla fine, l’ipotesi di far scendere in campo le Ferrovie a qualcuno frulla sempre per la testa. E così è stato anche per l’Alitalia. L’idea era già circolata nel 2013, quando alla guida delle Fs c’era Mauro Moretti. Poi il governo optò per gli arabi di Etihad e non se ne fece più niente.
Capolavoro della sinistra, le aziende incassano di più ma assumono di meno
Più fatturato, meno occupati. È questo il capolavoro ottenuto dalla sinistra, che ieri si è avventata sui numeri snocciolati dall’Istat per rivendicare il gran lavoro fatto dal governo negli ultimi anni. «Alla facciaccia di chi dice che non abbiamo fatto niente», ha subito commentato Matteo Renzi, sostenendo che i dati sui ricavi dell’industria sono «il migliore spot per il Pd». Le cifre, in effetti, disegnano un quadro in netto miglioramento. Nel 2017, secondo le rilevazioni dell’Istat, il fatturato delle imprese corretto per gli effetti del calendario è aumentato del 5,1% e gli ordini del 6,6%. Si tratta del dato più alto dal 2011, quando la percentuale fu del 6,8%. Ancora più significativo il risultato di dicembre, con l’indice destagionalizzato che ha raggiunto il livello più elevato (110) da ottobre 2008.
giovedì 22 febbraio 2018
Carlo Calenda: da dove viene, chi è e dove va
«Non sono un uomo per tutte le stagioni», ha detto, con tono solenne, qualche giorno fa. Ma se per caso vi capita di andare in giro con lui, cappotto e costume da bagno potrebbero non bastarvi. Da quando, a soli 10 anni, il nonno Luigi Comencini, gli fece interpretare lo scolaro Enrico Bottini nello sceneggiato televisivo tratto dal libro Cuore, Carlo Calenda non si è più fermato. Dalla Ferrari a Confindustria, da Ntv a Monti, da Bersani a Renzi. E ora eccolo a battagliare contro le multinazionali straniere con il piglio di un vecchio sindacalista. È proprio allora, con quella prima e acerba performance sotto i riflettori, che forse l’attuale ministro dello Sviluppo economico ha capito che conoscere alla perfezione la parte non sempre è necessario. Spesso basta improvvisare.
Anzi, a volte è addirittura meglio. Basta essere rapidi e reattivi. Doti che Calenda ha sviluppato nel posto dove la velocità è il pane quotidiano. Dopo il liceo classico al Mamiani di Roma, la laurea in giurisprudenza e alcuni incarichi nella finanza, il ministro dello Sviluppo, 45 anni ad aprile, figlio dell’economista Fabio Calenda e della regista Cristina Comencini, nel 1998, a soli 25 anni, approda infatti alla Ferrari, dove rimane (tranne una parentesi in Sky) finché Luca Cordero di Montezemolo non lo porta in Confindustria, prima come assistente personale e poi come direttore dell’area strategica e affari internazionali.
Anzi, a volte è addirittura meglio. Basta essere rapidi e reattivi. Doti che Calenda ha sviluppato nel posto dove la velocità è il pane quotidiano. Dopo il liceo classico al Mamiani di Roma, la laurea in giurisprudenza e alcuni incarichi nella finanza, il ministro dello Sviluppo, 45 anni ad aprile, figlio dell’economista Fabio Calenda e della regista Cristina Comencini, nel 1998, a soli 25 anni, approda infatti alla Ferrari, dove rimane (tranne una parentesi in Sky) finché Luca Cordero di Montezemolo non lo porta in Confindustria, prima come assistente personale e poi come direttore dell’area strategica e affari internazionali.
sabato 17 febbraio 2018
L'Inps aumenta i contributi ai precari
Continuare ad elargire sussidi e prebende (pensioni sociali, sostegni al reddito, bonus bebé, bonus mamma, ecc.) a chi non ha mai versato un contributo costa. E per far tornare i conti, oltre ad incassare ogni anno oltre 100 miliardi di quattrini pubblici, l’Inps di tanto in tanto ha bisogno anche di spremere un po’ chi i contributi li paga regolarmente su ogni euro che guadagna.
Il caso, o forse no, ha voluto che a beccarsi l’ultima legnata sia stato proprio l’anello debole della catena, gli iscritti all’istituto meno tutelati, ovvero i lavoratori parasubordinati della gestione separata, meglio conosciuti come co.co.co.
Il caso, o forse no, ha voluto che a beccarsi l’ultima legnata sia stato proprio l’anello debole della catena, gli iscritti all’istituto meno tutelati, ovvero i lavoratori parasubordinati della gestione separata, meglio conosciuti come co.co.co.
venerdì 16 febbraio 2018
Guardate i primatisti mondiali del debito:riescono a perdere 100 milioni al giorno
Cento milioni al giorno di nuovo debito e 24 milioni al giorno di nuove tasse. Il calcolo può sembrare pretestuoso. Ma è l’unico modo per rendere concreta l’idea di quello che accaduto ai conti pubblici italiani nell’ultimo anno. I dati aggregati sono quelli snocciolati ieri da Bankitalia. Al 31 dicembre del 2017 il debito delle amministrazioni pubbliche è stato di 2.256,1 miliardi. A fine 2016 il debito ammontava a 2.219,5 miliardi. Il che significa che in un solo anno si è registrato un aumento di 36,6 miliardi. Una cifra enorme, difficile persino da visualizzare. Se dividiamo quei 36,6 miliardi per i giorni dell’anno, festività comprese, scopriamo, però, che ogni 24 ore il debito pubblico che pesa sulle spalle di ogni contribuente è aumentato di oltre 98 milioni di euro. Così riusciamo quasi a contarli.
Affondo dell'Antitrust. La Gdf indaga sulle bollette gonfiate
La partita sulle bollette gonfiate è solo all’inizio. Dopo circa un anno di schermaglie con le compagnie telefoniche l’Antitrust è passata alle maniere forti. Ieri il nucleo speciale della Guardia di Finanza a disposizione dell’authority ha effettuato una serie di perquisizioni a tappeto presso le sedi di tutti i principali operatori di telefonia fissa e mobile, da Tim a Fastweb fino a Vodafone e Wind 3. Accertamenti e controlli anche presso l’Assotelecomunicazioni, l’associazione che rappresenta le imprese che si occupano di servizi di tlc. Nel mirino ci sono le ormai famigerate bollette a 28 giorni, che a dicembre, dopo un lungo duello partito lo scorso marzo, sono state definitivamente dichiarate fuorilegge sia con una delibera Antitrust sia con il decreto fiscale di fine anno, che ha concesso alle compagnie fino al 4 aprile per mettersi in regola.
mercoledì 14 febbraio 2018
"Il debito italiano è al limite: basta spese inutili o esploderà"
Il totalizzatore è inesorabile. Per quanto possa correre il tuo Italo o il tuo Frecciarossa, se parti da Roma quando arrivi a Milano il valore è più alto di circa 115 milioni.
Le cifre impazzite che ogni viaggiatore potrà vedere da oggi fino al giorno del voto sui grandi maxi schermi posti nelle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina non indicano il jackpot di una lotteria e neppure il numero di passeggeri transitati nell’ultima settimana. È semplicemente il nostro debito pubblico, che lievita ogni secondo che passa. Mentre scriviamo il tabellone ideato dall’Istituto Bruno Leoni segna 2.281 miliardi, ben 6 in più della rilevazione effettuata da Bankitalia (i dati utilizzati per il calcolo sono proprio quelli di Via Nazionale) per lo scorso novembre. Poca roba se si pensa che nel 2016 era a 2.217 miliardi e nel 2013 a 2.070, addirittura 211 miliardi in meno rispetto ad oggi.
Le cifre impazzite che ogni viaggiatore potrà vedere da oggi fino al giorno del voto sui grandi maxi schermi posti nelle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina non indicano il jackpot di una lotteria e neppure il numero di passeggeri transitati nell’ultima settimana. È semplicemente il nostro debito pubblico, che lievita ogni secondo che passa. Mentre scriviamo il tabellone ideato dall’Istituto Bruno Leoni segna 2.281 miliardi, ben 6 in più della rilevazione effettuata da Bankitalia (i dati utilizzati per il calcolo sono proprio quelli di Via Nazionale) per lo scorso novembre. Poca roba se si pensa che nel 2016 era a 2.217 miliardi e nel 2013 a 2.070, addirittura 211 miliardi in meno rispetto ad oggi.
Ma i partiti promettono più deficit
L’iniziativa dell’Istituto Bruno Leoni, che ha piazzato il suo totalizzatore del debito pubblico nelle stazioni ferroviarie di Roma e Milano, è un chiaro monito agli italiani in vista delle elezioni. «Oltre 2mila miliardi che pagherai anche tu. Pensaci, ogni promessa è debito», si legge, con un voluto gioco di parole che rimanda direttamente alle proposte che in questi giorni fioccano da ogni dove. Tasse, pensioni, sussidi, bonus. La pioggia di quattrini che, stando ai programmi illustrati dai partiti, pioverebbe sugli italiani una volta chiuse le urne sarebbe senza fine. Le stime ufficiali fanno solitamente a pugni con quelle degli esperti, ma da qualunque punto la si voglia vedere si tratta di decine e decine di miliardi che sarebbero recuperati grazie alla congiuntura economica, all’aumento spontaneo della basa imponibile, alla lotta all’evasione o alla razionalizzazione delle spesa pubblica.Tutti terreni impervi su cui nel corso degli ultimi decenni la politica si è cimentata con clamorosi insuccessi.
venerdì 2 febbraio 2018
Brunetta prevede catastrofi fiscali entro la primavera
Certo, la flat tax ci lascerà un sacco di soldi in tasca per rilanciare i consumi e rimettere in moto l’economia, l’eliminazione della giungla di detrazioni e deduzioni fiscali rivoluzionerà il nostro modo di pagare le tasse, i pensionati avranno un assegno più alto e i poveri potranno usufruire di un sostegno concreto grazie all’imposta negativa sul reddito. Ma nell’immediato l’ottimismo di Renato Brunetta si traforma in qualcosa di più simile ad un temporale che spunta all’orizzone. Per il responsabile economico di Forza Italia, che in questi giorni sta lavorando a testa bassa al programma, la sorpresina che chiunque vinca le elezioni si troverà subito sul tavolo di Palazzo Chigi sarà una bella manovra correttiva. Il che significa, a seconda dei calcoli e delle stime, una stangata per i contribuenti dai 3 ai 5 miliardi di euro.
giovedì 1 febbraio 2018
Il fisco spierà i conti correnti per scovare i finti nullatenenti
Un algoritmo valuterà automaticamente la «congruità» tra i nostri soldi in banca e le tasse dichiarate. È l’ultimo strumento del fisco per scovare gli evasori. Per ora partirà una fase sperimentale. Ma se il meccanismo funziona, c’è da scommettere che il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, non si lascerà sfuggire l’occasione di avere a disposizione un’altra arma per incastrare i contribuenti infedeli.
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