mercoledì 14 febbraio 2018

"Il debito italiano è al limite: basta spese inutili o esploderà"

Il totalizzatore è inesorabile. Per quanto possa correre il tuo Italo o il tuo Frecciarossa, se parti da Roma quando arrivi a Milano il valore è più alto di circa 115 milioni.
Le cifre impazzite che ogni viaggiatore potrà vedere da oggi fino al giorno del voto sui grandi maxi schermi posti nelle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina non indicano il jackpot di una lotteria e neppure il numero di passeggeri transitati nell’ultima settimana. È semplicemente il nostro debito pubblico, che lievita ogni secondo che passa. Mentre scriviamo il tabellone ideato dall’Istituto Bruno Leoni segna 2.281 miliardi, ben 6 in più della rilevazione effettuata da Bankitalia (i dati utilizzati per il calcolo sono proprio quelli di Via Nazionale) per lo scorso novembre. Poca roba se si pensa che nel 2016 era a 2.217 miliardi e nel 2013 a 2.070, addirittura 211 miliardi in meno rispetto ad oggi.

ASCESA SENZA SOSTA
Ma non c’era il fiscal compact, che dal 2013 impone ad ogni Paese con un debito eccessivo di ridurlo ogni anno di una quota pari ad un ventesimo della parte eccedente il 60% del pil? L’Italia se n’è fatta allegramente beffe. Il debito è salito dal 123,4% del pil del 2012 al 129% del 2013, poi è passato al 131,8% nel 2014. Un leggero calo nel 2015, al 131,5%, e subito di nuovo su al 132% nel 2016. Per lo scorso anno il Def prevede una flessione al 131,6%. Ma ci credono in pochi. Di sicuro non la Commissione europea, che stima un debito per il 2017 in ulteriore crescita al 132,1%.
STRADA PRECLUSA
Che la bomba sia pronta ad esplodere lo ha spiegato chiaramente ieri la Corte dei Conti, che ha invitato il governo a non abbassare la guardia, perché «l’uscita dalla recessione e la ripresa non pongono ancora termine alle difficoltà quotidiane delle famiglie». Secondo il neo presidente Angelo Buscema, che si è insediato in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, «il quadro attuale della finanza pubblica ci indica come non più praticabile il percorso che, per assicurare i necessari livelli di servizi alla collettività, faccia ricorso a un’ulteriore crescita del debito pubblico». È una via, secondo il magistrato, «preclusa non tanto dagli obblighi che ci provengono dall’esterno, dagli accordi europei, quanto piuttosto dal rispetto di un maggior equilibrio intergenerazionale nella ripartizione degli oneri».

E per farlo non si potranno più usare i trucchetti del passato, che hanno peraltro prodotti scarsi risultati. Se è vero, infatti, che c’è stata «una progressiva inversione di tendenza nel processo di riequilibrio dei conti pubblici», ha spiegato la Corte dei Conti, questa è stata ottenuta «anche per effetto del congelamento della dinamica dei redditi del pubblico impiego e con una compressione della spesa per investimenti talmente forte da creare preoccupazione per lo stesso mantenimento del capitale fisso a disposizione del sistema».
A descrivere nel dettaglio il percorso ad ostacoli che il prossimo esecutivo si troverà davanti ci ha pensato, sempre ieri, l’Ufficio parlamentare di bilancio nel Focus “Situazione e prospettive della finanza pubblica».
Per l’authority di controllo con l’accelerazione della ripresa «attenzione torna a focalizzarsi sui fattori di maggior vulnerabilità che affliggono l’Italia, in particolare l’elevato livello del debito pubblico (132% in rapporto al Pil nel 2016 a fronte di una media dell’area euro dell’81,4%) e la necessità di ridurlo». Il problema è come. Secondo il Documento programmatico di bilancio (Dpb) 2018, infatti, la riduzione cumulata del debito rispetto al pil nel periodo 2018-2020 (123,9% del pil ipotizzato a fine periodo) fa leva, «oltreché su un quadro macroeconomico favorevole, su rilevanti avanzi primari di bilancio, che nel 2019-2020 sono resi possibili soprattutto dall’aumento di Iva e accise previsto dalle clausole di salvaguardia». Il che significa che senza la stangata fiscale sarà difficile raggiungere gli obiettivi. Non solo, il quadro è soggetto anche a numerosi fattori «di incertezza e indeterminatezza», dalla spesa per interessi alla lotta all’evasione, fino alle risorse necessarie per i rinnovi dei contratti degli statali.
Su tutto pesa, poi, la richiesta europea di uno sforzo aggiuntivo, che secondo l’Upb, è tutt’altro che improbabile. Anzi, la «possibilità» di una manovra correttiva «sarebbe presumibilmente rafforzata qualora il consuntivo 2017 confermasse ex post deviazioni significative per le regole sul saldo strutturale e sulla spesa». Ipotesi naturalmente smentita in tempo reale dal Mef: «Nessuna manovra aggiuntiva, gli obiettivi di bilancio verranno centrati».

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