«Non sono un uomo per tutte le stagioni», ha detto, con tono solenne, qualche giorno fa. Ma se per caso vi capita di andare in giro con lui, cappotto e costume da bagno potrebbero non bastarvi. Da quando, a soli 10 anni, il nonno Luigi Comencini, gli fece interpretare lo scolaro Enrico Bottini nello sceneggiato televisivo tratto dal libro Cuore, Carlo Calenda non si è più fermato. Dalla Ferrari a Confindustria, da Ntv a Monti, da Bersani a Renzi. E ora eccolo a battagliare contro le multinazionali straniere con il piglio di un vecchio sindacalista. È proprio allora, con quella prima e acerba performance sotto i riflettori, che forse l’attuale ministro dello Sviluppo economico ha capito che conoscere alla perfezione la parte non sempre è necessario. Spesso basta improvvisare.
Anzi, a volte è addirittura meglio. Basta essere rapidi e reattivi. Doti che Calenda ha sviluppato nel posto dove la velocità è il pane quotidiano. Dopo il liceo classico al Mamiani di Roma, la laurea in giurisprudenza e alcuni incarichi nella finanza, il ministro dello Sviluppo, 45 anni ad aprile, figlio dell’economista Fabio Calenda e della regista Cristina Comencini, nel 1998, a soli 25 anni, approda infatti alla Ferrari, dove rimane (tranne una parentesi in Sky) finché Luca Cordero di Montezemolo non lo porta in Confindustria, prima come assistente personale e poi come direttore dell’area strategica e affari internazionali.
ITALIA FUTURA
Finita l’esperienza in Viale dell’Astronomia, Calenda transita immediatamente nel cda di Ntv. Dopo un paio di incarichi all’Interporto Campano, il manager decide che il suo futuro è altrove. L’opportunità arriva ancora una volta per mano di Montezemolo, che nel 2011 lo coinvolge in Italia Futura, think tank con ambizioni politiche. Di li l’ascesa è rapida. Neanche il clamoroso flop di Mario Monti nel 2013 riesce ad azzopparlo. Assiduo frequentatore dei salotti della Roma bene, con quarti di nobiltà nel sangue (grazie alla nonna principessa Giulia Grifeo di Partanna), Calenda si rialza dalla sconfitta di Scelta Civica con la rapidità di una Testarossa. Chiuse le urne e conteggiati i pochi voti presi nel collegio Lazio 1, che non gli permettono di approdare alla Camera, l’ex scolaro del libro Cuore sbarca comunque a Palazzo Chigi, come viceministro dello Sviluppo nel governo Letta. Con l’arrivo di Matteo Renzi, Calenda non si scompone. «Il Pd renziano ha assorbito il centro della società prima ancora che quello politico. Ha assorbito la base sociale ed elettorale di Scelta civica». Risultato: arriva una poltrona da sottosegretario allo Sviluppo economico.
Passano pochi mesi e nel giugno del 2014 l’ex manager di Montezemolo riconquista l’incarico di Viceministro. Due anni più tardi, dopo una breve trasferta a Bruxelles, arriva la grande occasione. Nella primavera del 2016 la sua vecchia collega di Confindustria, Federica Guidi, viene silurata dai magistrati lucani nell’inchiesta Tempa Rossa e lui, come al solito, si fa trovare pronto. Da ministro dello Sviluppo Calenda inizia ad oscillare come un pendolo all’interno delle varie anime della sinistra. Arrivando persino a flirtare con Pierluigi Bersani, che lo avrebbe solleticato con l’ipotesi di correre per Palazzo Chigi. Pensiero che si è infilato nella testa di Calenda e non è più uscito. Anche ora, che il quadro è completamente cambiato, c’è chi assicura che l’idea sia ancora lì, ben salda. Calenda, sopravvissuto come tecnico al ciclone referendario che ha defenestrato Renzi, adesso si dice «orgoglioso» di essere renziano e si dichiara strafedele al suo schieramento, ma, a differenza degli altri big del governo, si è ben guardato dall’accettare una candidatura: esperienza già fatta, e finita male.
L’ULTIMA BATTAGLIA
Ma la campagna elettorale, quella la fa eccome. Dichiarazioni, tweet, convegni, incontri. Non passa giorno senza che Calenda non lanci strali, non punti il dito, non polemizzi. Un po’ di qua, un po’ di là. L’ultima battaglia è quella contro la Whirlpool e la sua controllata Embraco, rea di aver intascato gli incentivi predisposti proprio dal ministro dello Sviluppo, che con la sua Industria 4.0 ha inondato i suoi amici imprenditori di quattrini e agevolazioni fiscali, e di voler ora scappare in Slovacchia, lasciando in mezzo alla strada 500 lavoratori. Quel «gentaglia» con cui ha apostrofato i manager della multinazionale è bastato alla sinistra e ai sindacati per portarlo in trionfo. Consenso prezioso per Calenda, che da settimane, per chiudere il cerchio sul fronte opposto, lavora quotidianamente ai fianchi leghisti e grillini. Per Matteo Salvini l’accusa più gentile è quella avere una «doppia personalità» e di dire cose «deliranti». Quanto al M5S, le carinerie sono tutte per Virginia Raggi, accusata di «incapacità» e «arroganza». C’è chi pensa che gli attacchi siano il preludio di una candidatura a sindaco di Roma. Ma chi lo conosce bene è convinto che Calenda punti a qualcosa di più. Soprattutto se nessuno, come sembra ormai certo, avrà da solo i numeri per governare. I continui riferimenti all’importanza del programma e alla lezione tedesca la dicono lunga. Certo, lui continua a sostenere Gentiloni come futuro premier. Ma l’attenzione con cui evita di entrare in conflitto diretto con Berlusconi sembra, per ora, l’indicazione più chiara di cosa voglia fare da grande.
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