venerdì 27 novembre 2009

Gli uomini di Fini ci riprovano alla Camera. In arrivo gli emendamenti su Irpef e affitti

La parola d’ordine è rispettare il lavoro di Baldassarri e dei colleghi del Senato. La sostanza è che i “finiani” ripresenteranno la contromanovra anche alla Camera. A partire dalla cedolare secca sugli affitti, fino al taglio dell’Irap e dell’Irpef per ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie. L’obiettivo dichiarato è quello di ribadire l’importanza e la validità di proposte su cui il governo è già impegnato attraverso un ordine del giorno approvato a Palazzo Madama. Ma è chiaro che se nel corso della discussione a Montecitorio si dovessero creare le condizioni favorevoli nessuno esclude di portare le proposte fino in fondo.
A firmare gli “emendamenti Baldassarri” sarà Marcello De Angelis, esponente della commissione Bilancio, ex An e finiano doc. Ma l’iniziativa non sarà solitaria. Anzi, spiega, i testi di modifica saranno sottoscritti da un robusto mix di ex An ed ex Forza Italia «proprio per evitare che la mossa venga vista come una provocazione o come il tentativo di scatenare una rissa». Eppure, tra i fedelissimi di Tremonti c’è chi ragiona su due circostanze, entrambe guarda caso riconducibili a Fini. La prima è il voto con le impronte digitali, che ha sconfitto i “pianisti”, ma ha anche «dato un potere d’interdizione molto più forte a piccoli gruppi organizzati visto l’impossibilità per la maggioranza, dove abbondano i doppi incarichi, ad essere sempre presente in massa durante le votazioni». L’altra è di ieri, il monito del presidente della Camera a non ripetere il giochino del Senato con la fiducia su un maxiemendamento che non recepisca in maniera pedissequa l’esito del dibattito in commissione. Questo significa, ragiona l’esponente del Pdl, «che la partita si giocherà sul filo del voto e non si possono escludere sorprese».
L’unica sorpresa, secondo De Angelis, «può essere costituita dal fatto che nel corso del dibattito il Tesoro scopra che ci sono un po’ di risorse per fare qualche passetto aggiuntivo, allora ben vengano le proposte ispirate dal Senato». Ma in caso contrario, assicura, «l’unico obiettivo è quello di impegnare il governo ad intervenire su quei temi e fare si che il lavoro di grande vitalità politica prodotto dal Senato non vada perduto». Del resto, conclude De Angelis, «ha già prodotto degli ottimi risultati sul piano del dialogo e del coordinamento interno al partito sulle linee economiche».
Insisteranno sulla questione Irap e Irpef anche i leghisti. I quali però, come spiega il capogruppo in commissione Finanze, Maurizio Fugatti, sono in «piena sintonia con il ministro Tremonti». Si tratterà, dunque, soltanto di proposte di bandiera che resteranno ferme sulla carta. Così come quelle per ridurre ancora le commissioni sul massimo scoperto e allentare gli studi di settore.
Dal presidente della commissione sugli Enti previdenziali, Giorgio Jannone, arriva invece la proposta di detassare gli investimenti pubblicitari per rilanciare i consumi e aiutare l’editoria. Ma qui la tagliola di Tremonti imporrà di trovare la necessaria copertura.
Tutto dovrà comunque avvenire in tempi molto stretti. La prossima settimana i lavori dell’aula si bloccheranno proprio per consentire alla commissione Bilancio l’esame della finanziaria. Il 9 dicembre si aprirà la discussione generale. Il 10 pomeriggio parte il voto in aula.

libero-news.it

Giulio non si spreca: «Darò soldi extra solo ai cassintegrati»

Quattro miliardi a disposizione e qualche spicciolo aggiuntivo, da raschiare nel deficit, per la cassa integrazione. Quanto al taglio alle tasse bisognerà aspettare, comunque dopo la Finanziaria. Per qualcuno dei deputati che hanno partecipato alla seduta, «già il fatto che Giulio Tremonti abbia speso 3-4 ore del suo tempo per illustrare la manovra alla Camera è un successo». E di questo, per ora, dovranno accontentarsi a Montecitorio. Del resto, spiega il ministro dell’Economia durante l’audizione davanti alla commissione Bilancio, «stiamo facendo la Legge di Stabilità, non una delle vecchie miracolose Finanziarie anni ’80». Dopo aver gelato ogni entusiasmo il ministro è passato anche al contrattacco. A suo modo. Per Brunetta c’è la battuta «sono un leguleio, non un economista». Per Scajola risposta in romanesco: rilanciare lo sviluppo con 1,5 miliardi presi dalla spesa pubblica? «Ma de che? Ci fai la birra!», dice Tremonti.
A chi, invece, invoca uno sforamento dei conti considerato che gli altri Paesi stanno aumentando il debito replica: «Mal comune mezzo gaudio? Gaudio un cavolo». Unica eccezione, il trattamento di cassa integrazione. Il governo presenterà un emendamento alla Finanziaria per potenziare gli ammortizzatori sociali anche ricorrendo, se necessario, all’indebitamento. Sul fronte, ristrettissimo, di quello che si può fare, il ministro inserisce al primo posto il Patto per la Salute. Arriverà poi il pacchetto lavoro. «Riproporremo l’emendamento sulla Banca del Sud e, vi prego», dice il ministro dell’Economia ai deputati, «votatelo, perché non c’è mai stato uno strumento così forte per il Mezzogiorno». Poi le risorse «per l’università e la ricerca, la scuola, il 5 per mille e altre domande sociali». Niente riforma fiscale: «Ne parleremo dopo la Finanziaria, anche con le parti sociali». E niente pensioni: «Di una nuova riforma non c’è bisogno».
Quindi un appello alla Commissione sui lavori della Finanziaria: «Tutti, maggioranza e opposizione, abbiamo un vincolo: l’articolo 81 della Costituzione», vale a dire l’obbligo di proporre misure che siano coperte sotto il profilo finanziario e dunque «faccio un invito al presidente della commissione Bilancio affinché esso sia rispettato». Sull’economia, infine, Tremonti ribadisce l’ottimismo e la possibilità di risalire da quel -6% di Pil cumulato tra il 2008 e il 2009.
Non si fa attendere la risposta di Brunetta, intervenuto nel pomeriggio al congresso dei consulenti del lavoro. «Credo», spiega il ministro della Pa, «che il rigore non possa e non debba nascondere il conservatorismo». I due, però, si sarebbero riappacificati durante la riunione dell’ufficio di presidenza del PdL con un abbraccio simbolico.
In serata, ad Anno Zero, si è scontrato con Pier Luigi Bersani. Il ministro: «Il nostro Paese nella crisi è uscito bene o meglio di altri Paesi». Niente affatto, ha replicato il segretario del Pd: «Non è un temporale passeggero, sarà una crisi lunga», il governo «venga in Parlamento a dire: “Ragazzi c’è un problema, bisogna che facciamo uno sforzo». Tremonti: «Cosa vuol dire fare uno sforzo da parte del governo per reperire 8-9 miliardi? Dove li troveresti i soldi e dove li metteresti?». E poi: «Sono stato tutto oggi in Parlamento, non ho visto un emendamento dell’opposizione». Bersani lo ha rimproverato di aver tolto alcune norme contro l’evasione fiscale. Tremonti: «Se fossero rimaste, chi va a comprare un paio di scarpe che costano 100 euro dovrebbe usare assegno o una carta di credito, il nostro impegno è per ridurre le tasse». Bersani: «Stai dicendo balle colossali». Tremonti: «Ti stai suicidando in diretta».
Intanto alla Camera si fa avanti il “gruppo dell’esercito”: 600 eletti con il Popolo della Libertà. Il primo dicembre a Montecitorio si presenterà. L’idea è di Filippo Ascierto, deputato del PdL. Con lui Gianfranco Paglia, Edmondo Cirielli, Roberto Speciale, Filippo Saltamartini, Luigi Ramponi. «Creeremo una rete di esperti in materia di sicurezza, persone che hanno indossato un’uniforme e adesso svolgono funzioni amministrative e istituzionali». Sei parlamentari, un consigliere regionale e poi sindaci, consiglieri provinciali e comunali. Obiettivi? Uno è già stato raggiunto ieri in Senato, con il riconoscimento della specificità di chi indossa una divisa rispetto al resto del pubblico impiego. La prossima battaglia della guarnigione azzurra riguarda la Finanziaria. È pronto un documento per chiedere un ulteriore sforzo per forze dell’ordine e forze armate».

libero-news.it

giovedì 26 novembre 2009

Scajola scrive a Silvio: «Spendiamo di più». Ma Tremonti dice no

La fronda cresce. Dopo Renato Brunetta anche Claudio Scajola si arruola nel partito degli anti-Tremontiani. Con una bella lettera inviata direttamente a Silvio Berlusconi per «definire gli interventi sull’economia». Il ragionamento non fa una grinza. Visto che, come ha detto qualche giorno fa il sottosegretario Paolo Bonaiuti, la politica del rigore di Via XX Settembre è direttamente ispirata dal premier, allora è a lui che bisogna chiedere, scavalcando il superministro. Del resto, non è stato il Cavaliere a promuovere la cabina di regia sull’Economia?
Ed ecco allora un po’ di temi su cui discutere già oggi, quando l’organismo si riunirà per definire la linea da seguire nel passaggio della Finanziaria alla Camera. La missiva di Scajola contiene molti degli argomenti che da qualche mese animano il dibattito sulle misure necessarie per non restare appiedati nel dopo-crisi. È necessario investire sin da ora per dare vigore alla ripresa, sostiene il ministro, altrimenti il tasso di crescita sarà lento e rischiamo di perdere competitività rispetto agli altri Paesi. Nessun azzardo, visto che le risorse sono poche. Ma questo non significa che non si possa costruire, continua Scajola, una «scaletta delle priorità».
La lista della spesa
Ogni ministro, ha spiegato il titolare dello Sviluppo da Dubai, «fa la sua parte, individua delle priorità, ben conscio della difficoltà che ha Tremonti nel far quadrare i conti». Tali priorità, ha aggiunto Scajola, vanno quindi «conciliate con la visione di politica economica, che spetta all’Economia, ma con la regia del presidente del Consiglio, che deve essere conscio di tutti gli aspetti». Perché secondo il ministro dello Sviluppo, «non c’è un partito del rigore e uno della spesa». Ma «c’è una spesa improduttiva e una produttiva, come gli investimenti in ricerca e innovazione».
Parole chiare, che si scontrano però con il solito muro tremontiano. Non esistono «ricette magiche» e «c’è un tempo per gestire la crisi e un tempo per fare altro», ha ribadito ieri Tremonti dal palco dell’Unione industriale di Roma rivolto chiaramente a tutti quelli che scalpitano nella maggioranza e nel governo. Poi, rivolto a Brunetta seppure senza citarlo: «Sono uomo all’antica, preferisco discutere in Consiglio dei ministri».
Per quanto riguarda le tasse, la riforma fiscale a favore di famiglie e imprese si farà, ma non subito: «Entro la legislatura, e nel rispetto dei vincoli di bilancio». Di tagli alla spesa non se ne parla. Sono «difficili da fare», ha spiegato il ministro. «Ma davvero», ha detto, «pensate che si può dire ad un lavoratore: ti taglio l’Irpef ma ti taglio anche la sanità? Non ci sono ricette magiche e salvifiche» così come sarebbe «da irresponsabili prestare attenzione ai tanti dottor Stranamore».
Viva le Province
Stesso discorso sulle province: «Vuoi andare in tv e prenderti gli applausi? Allora vai a dire che vuoi tagliare le province, ma non è vero che tagliandole si risparmierebbero 8 miliardi perchè i costi politici sono di 2-300 milioni. Puoi tagliare i costi delle province ma non quelli delle strade o delle scuole». In ogni caso nella Finanziaria ci sarà «una norma molto forte sul numero degli assessori e dei consiglieri, sarà una norma malthusiana».
Il rigore (difeso in mattinata anche da Gianni Letta) resterà la stella polare, malgrado le buone notizie che potrebbero arrivare sul fronte dei conti. «Può essere», ha detto il ministro, «che chiudiamo il 2010 con un segno del Pil particolarmente positivo: 1% oppure di più. Ma la cosa importante è che partiamo da un -6%», da un calo cioè che nel 2008 è stato dell’1% e nel 2009 del 5% circa. Ragionamenti che non convincono affatto Scajola, che da Dubai ha replicato: «Per tornare ai valori del 2007 ci mettiamo 4 o 5 anni». Di qui le richieste contenute nella missiva, dove «la madre di tutte le battaglie» resta la riduzione del fisco. E sull’importanza di tornare a crescere insiste anche il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. «È arrivato il momento», ha detto all’assemblea Uir, «in cui il Paese deve cambiare marcia. Stare fermi, non è una soluzione».
Anche da Fitch, che ieri ha comunque definito «la situazione dell’Italia relativamente migliorata» è arrivato un invito ad accelerare sulle riforme. Mentre l’Ocse ha certificato una leggera diminuzione della pressione fiscale (dal 43,5% al 43,2% del Pil) nel 2008. Nello stesso periodo, però, il nostro Paese è salito al quarto posto della classifica dei più tartassati. Altre novità potrebbero arrivare oggi dal comitato per la stabilità finanziaria convocato dallo stesso Tremonti alla vigilia dell’inizio della discussione alla Camera sulla Finanziaria.

libero-news.it

Della Vedova becca Granata: «Niente ultrà sulle toghe»

Finiani giustizialisti? Benedetto Della Vedova non vuole saperne di finire gettato nel calderone degli ex An insofferenti per lo scontro tra PdL e magistratura. «Non siamo mica una caserma», dice ironicamente a Libero, rivendicando la sua storia da garantista doc, fatta di referendum sulla responsabilità civile delle toghe, di battaglie per la separazione delle carriere e per l’abolizione delle leggi sul pentitismo. Inevitabile, dunque, che la sortita del “finiano” Fabio Granata sia piaciuta poco. «Condivido assolutamente», spiega, «le preoccupazioni e le analisi sui rischi della contiguità tra mafia e politica, ma da questo non consegue che si debba arrivare ad una logica da tifoseria pro o contro la magistratura”.
Ma è vero che il PdL sta delegittimando il potere giudiziario?
«Se è per questo le toghe si delegittimano benissimo da sole. Basta guardare De Magistris. Non credo che condurre una limpida battaglia garantista significhi delegittimare la magistratura e resto convinto che l’armamentario dell’antimafia, dal concorso esterno al pentitismo, sia costituito da forzature che distruggono il sistema penale ma non la mafia».
Anche Cosentino è finito sotto la tagliola dei pentiti. Il suo garantismo arriva fino al punto da difenderne la candidatura?
«Qui non si tratta di garantismo, ma di opportunità politica. E concordo con Fini nel ritenere inopportuna una candidatura del sottosegretario. Trovo però doveroso che un grande partito difenda i propri uomini da accuse pesanti, ma tutt’altro che dimostrate».
E se Berlusconi venisse condannato in primo grado?
«Sul piano del garantismo resta innocente. Sul piano dell’opportunità dovrebbe restare al suo posto, perché l’accanimento giudiziario che va avanti da 15 anni ha assunto ormai caratteristiche statistiche che nessuno può negare».
Allora è vero che serve una riforma della giustizia anche per tutelare la politica?
«Non l’ho mai messo in dubbio. Credo che la strada del Lodo Alfano fosse corretta. Ora bisogna ripartire con un ddl costituzionale. Ma si deve andare avanti anche con il processo breve, che riguarda il premier ma realizza un segmento della riforma della giustizia nell’interesse dei cittadini».
Una battaglia garantista, dunque?
«Certo. I problemi sorgono quando il PdL si dimentica di esserlo. Non si possono indossare i galloni garantisti per replicare alla sinistra e poi svestirli quando c’è da compiacere l’alleato leghista che chiede di inserire un reato-manifesto di immigrazione clandestina tra le esclusioni del processo breve.».

libero-news.it

lunedì 23 novembre 2009

Bruxelles fa infuriare gli operai sardi

Dopo le manifestazioni di piazza, le occupazioni di fabbriche e palazzi comunali, le gru e financo il Colosseo, è arrivata pure la protesta col videomessaggio. Con tanto di operai incappucciati che annunciano il sequestro di un gruppo di dirigenti. A scatenare la rabbia dei lavoratori, come se non bastassero i problemi provocati dalla crisi, è stata la decisione della Commissione europea che, a conclusione di una lunga indagine, ha chiesto al gigante americano dell’alluminio Alcoa (che in Italia impiega circa 2.500 persone) di rimborsare gli aiuti di Stato illegittimi sulle tariffe elettriche. Dura la reazione della multinazionale, che ha annunciato il blocco della produzione. E durissima quella dei lavoratori, che hanno immediatamente proclamato lo stato di agitazione negli stabilimenti di Fusina (Veneto) e Portovesme (Sardegna).
Clamorosa e discutibile la protesta nel Sulcis Iglesiente, dove i dipendenti della fonderia hanno “sequestrato” fino a notte la sede dello stabilimento, compresi il direttore della fabbrica Marco Guerrini, il vice direttore Sergio Vittori e gli altri dirigenti. Tutti trattenuti in assemblea per chiedere “risposte immediate”. Solo a sera i dirigenti sono stati liberati dai lavoratori. Non contenti, alcuni operai avevano anche avuto la poco felice idea di indossare cappucci neri e farsi riprendere dalle telecamere per rivendicare l’occupazione. Bravata che ha ricevuto l’immediata solidarietà del segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero. Più morbide, invece, le iniziative degli operai veneti, che si sono limitati a scendere in strada a Marghera bloccando parzialmente la viabilità. Anche qui, in ogni caso, non è mancato il sostegno politico del sindaco di Venezia, Massimo Cacciari.
La vicenda finita nel mirino della Ue inizia nel 1995, quando l’Alcoa, la cui attività richiede un forte consumo di energia elettrica, concluse con l’Enel un contratto che gli assicurava tariffe fisse per una durata di dieci anni, fino al dicembre del 2005. La Commissione Europea aveva all’epoca autorizzato ciò che aveva assimilato a una «operazione commerciale ordinaria conclusa alle condizioni del mercato». Dal 2006, però, Alcoa ha continuato a beneficiare di tariffe privilegiate, secondo un diverso dispositivo: acquista elettricità dall’Enel a prezzo normale, poi lo Stato italiano rimborsa la differenza con la tariffa storica. È questa pratica che, secondo Bruxelles, si configura come «un aiuto pubblico illegale». L’elettricità fornita a prezzi inferiori a quelli di mercato, infatti, «riduce i costi operativi ordinari del beneficiario e gli consente di vendere i suoi prodotti ad un prezzo più basso oppure realizzando un margine più elevato». L’Italia deve quindi porre fine alla tariffa preferenziale e recuperare gli aiuti già concessi. Integralmente quelli del Veneto. Parzialmente, viste le circostanze specifiche del caso, quelli della Sardegna. L’ammontare da restituire, complessivamente, si aggirerebbe sui 270 milioni. Ma il vero problema è il futuro. Senza le tariffe agevolate, spiegano dall’Alcoa, «diventa difficile sostenere il consumo di elettricità delle due grandi fonderie». I costi aggiuntivi sarebbero di 10 milioni al mese.
Per ora la situazione è in fase di stallo. Dagli States hanno fatto sapere che l’Alcoa si impegna a non intraprendere azioni negative nei confronti degli operai e dello stabilimento di Portovesme, dove la tensione è più forte, per i prossimi 15 giorni. Il 26 novembre ci sarà un nuovo incontro tra Alcoa e rappresentanze sindacali al ministero dello Sviluppo economico. Il governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci, ha invitato tutti «al massimo senso di responsabilità». Mentre l’ex presidente, ora deputato del Pdl, Mauro Pili, si è scagliato contro «l’indisponibilità della Commissione e del monopolio elettrico di Enel e di E.On che rischia di mettere in ginocchio l’intera regione».

libero-news.it

venerdì 20 novembre 2009

Regalo di Natale ai signori dei telefoni

Più che un “gratta e vinci” sarà un “telefona e vinci”. È questa, secondo le ultime indiscrezioni che arrivano da Via XX Settembre, l’ipotesi cui stanno lavorando i tecnici di Giulio Tremonti. La sortita dell’onorevole Giorgio Jannone, con tanto di proposta di legge ispirata alla Cina e annuncio di emendamento alla Finanziaria, era, a quanto pare, uno sorta di specchietto per le allodole. Tanto per vedere l’effetto che fa.

Il progetto di abbinare allo scontrino fiscale una lotteria istantanea è infatti da prima dell’estate sulla scrivania del ministro dell’Economia. E l’idea non nasce dalla Cina, dove comunque il meccanismo è da tempo utilizzato con successo, ma dai servizi telefonici via sms. Gli stessi con cui già adesso vengono realizzati moltissimi giochi a premi legati a quiz televisivi o a prodotti alimentari. Il classico tappo, per intenderci, con il suo bel codice sotto da spedire via messaggino per verificare l’esito dell’estrazione.

Un meccanismo molto simile è quello che si sta studiando per lo scontrino fiscale anti-evasione che il ministro vuole inserire in Finanziaria o comunque approvare entro l’anno. Ogni ricevuta di pagamento sarà corredata da un numero che bisognerà poi verificare tramite sms. Le conseguenze della novità sono evidenti. L’obiettivo principale resta quello di incoraggiare i clienti a richiedere sempre lo scontrino, abbattendo così sensibilmente la quota di evasione ed elusione legata alla mancata emissione. Ma è chiaro che l’utilizzo dell’sms permetterebbe alle compagnie telefoniche di intercettare l’immenso traffico che un’iniziativa simile sicuramente genererà. Già oggi gli operatori devono una bella fetta dei loro ricavi ai vari giochi dove si rende necessario l’utilizzo del telefonino. Con la trovata dello scontrino le società di tlc si troverebbero senza colpo ferire a poter gestire un vero e proprio esercito di consumatori impegnati a spedire milioni messaggini. Le modalità tecniche sono ancora da definire. Ma è chiaro che per le compagnie telefoniche ci sarà comunque da guadagnare. Anche nell’eventualità il Tesoro decidesse di attivare un numero gratuito per la verifica della vincita, qualcuno, o lo Stato o il gestore della lotteria istantanea, dovrebbe in ogni caso farsi carico del servizio. Tremonti avrebbe già sondato la disponibilità di alcuni grandi operatori. Ma non è difficile intuire chi è che ha già messo in frigo lo champagne. Basta dare uno sguardo alle quote di mercato, che vedono ancora la Tim primeggiare con una percentuale che si aggira poco sotto il 40% dell’intero mercato. Ma anche Vodafone (33%) e Wind (19%) non dovrebbero disdegnare la cosa.

Buone notizie pure per la grande distribuzione. Le grosse catene di supermercati, infatti, non solo sono già costrette, per via del tipo di servizio offerto, ad emettere regolarmente gli scontrini, ma da qualche anno a questa parte sono anche entrate nel campo della telefonia attraverso i cosiddetti operatori virtuali. È il caso, ad esempio, dei colossi Coop, Carrefour e Auchan. Anche per loro cavalcare il nuovo scontrino sarebbe un gioco ad altissimo rendimento. In barba, ovviamente, a piccoli commercianti, artigiani e professionisti, che dalla novità avrebbero solo da perdere.

Il nodo vero che resta da sciogliere è quella della copertura iniziale. I costi dello scontrino “telefona e vinci” sarebbero ampiamente compensati dal gettito aggiuntivo, ma si dovrà comunque individuare una voce di bilancio che, al momento, ancora non c’è. Così come non ci sono quelle per far fronte a tutte le richieste arrivate dai vari ministeri per la finanziaria: un elenco di 27 miliardi.

Le speranze di Tremonti sono, ovviamente, tutte rivolte al fisco. Non a caso la Gdf è ventre a terra da diversi mesi. E i risultati non mancano. La lotta all’evasione fiscale internazionale, secondo i dati delle Fiamme Gialle, dall’inizio dell’anno al 31 ottobre ha prodotto rilievi verbalizzati per 5,1 miliardi di euro.

libero-news.it

In Italia un euro su due se ne va in tasse. E per pagarle l’azienda perde 334 ore

Non solo alte, pure complicate. Mentre i Commercialisti ci spiegano che per ogni euro guadagnato la metà se ne va in tasse, dalla Banca mondiale ci fanno sapere che i balzelli italiani per le imprese sono tra i più difficili e lunghi da pagare dell’intero pianeta. La buona notizia? Nell’ultimo anno le cose non sono peggiorate. L’Italia, secondo quanto risulta dal rapporto Payng Taxes realizzato dalla PricewaterhouseCoopers in collaborazione con la World Bank, è stabile al 136esimo posto su 183 Paesi. Il che significa, in soldoni, che da noi per pagare tutte le tasse un’impresa di medie dimensioni impiega normalmente 334 ore, mentre la media della Ue è di 232, in riduzione rispetto alle 257 dell’anno precedente. Anche la media mondiale, di 286 ore, è ben più bassa della nostra.

Le cose non vanno meglio sugli altri indicatori. In particolare, l’Italia risulta al 166mo posto nella classifica del total tax rate, che sarebbe il peso complessivo degli oneri tributari e previdenziali sul conto economico di un’impresa. Ebbene, a fronte di una media mondiale del 48,3% ed europea del 44,5%, nel nostro Paese la percentuale è del 68,4%.

Per quanto riguarda il numero dei pagamenti siamo un pochino più alti, al 48esimo posto. In Italia le imprese devono fare i conti in media con 15 balzelli, contro i 9,5 del resto del mondo e gli 11 della Ue.

Malgrado la cattiva performance gli esperti non hanno perso completamente la fiducia. Anzi. «Il governo italiano attuale», spiega Fabrizio Acerbis, Tax Leader PwC Italia, «ha identificato nella semplificazione normativa e nell’alleggerimento della burocrazia uno dei punti del proprio programma di governo». Alcune misure sono già state introdotte, prosegue, «ma i risultati in termini di benefici per i contribuenti imprese, dovranno essere valutati una volta entrate a regime». Se anche altre iniziative, quale la possibile riduzione dell’Irap, dovessero andare in porto, Acerbis non esclude un «miglioramento complessivo del ranking dell’Italia».

Meno ottimismo c’è dalle parti dei dottori commercialisti, secondo i quali la pressione fiscale reale nel 2008 non si attesta al già alto livello del 42,8%, come da stime ufficiali, ma al 50,6%, scavalcando tutte le classifiche europee.

Il dato sul peso delle tasse va infatti misurato, dicono i professionisti del fisco, depurando il dato del Pil dalla quota di economia sommersa che comunque viene inserita nei calcoli ufficiali. «Fisco leggero e sanzioni pesanti», questa la richiesta arrivata ieri dal presidente nazionale dei Commercialisti, Claudio Siciliotti, durante la relazione annuale dell’associazione. Sulla stessa linea d’onda l’allarme lanciato da Giuseppe Morandini, rappresentante dei “piccoli” di Confindustria, che ha parlato di «carico fiscale ormai arrivato a livelli insopportabili». Nel mirino, ovviamente, l’Irap di cui tanto si discute in queste settimane. «È un’imposta ingiusta e la sua riduzione non può essere accantonata», ha detto Siciliotti. «Si può studiare una exit strategy per superarla, un percorso graduale per abolirla, sostituendola con altri tributi», ha proseguito il presidente dei Commercialisti, che giudica la riduzione degli acconti Irpef solo «una misura parziale». Tra le altre richieste avanzate da Siciliotti: il rilancio dell’accertamento sintetico e del redditometro; l’integrale deducibilità dei costi per la formazione obbligatoria; la detraibiltà dell’Irpef dei costi per le compensazioni Iva.

libero-news.it

giovedì 19 novembre 2009

Eni al lavoro per evitare la multa della Ue sul tubo

Maxi multa (si parla di qualcosa come 500 milioni di euro) e cessione della proprietà dei tubi. Sono queste le due mazzate che rischiano di abbattersi sull’Eni se Bruxelles dovesse decidere che la gestione del gasdotto Tag da parte del Cane a sei zampe ha violato le norme comunitarie sulla concorrenza. Il 27 novembre ci sarà un incontro tra il gruppo italiano e gli esperti della Commissione, ma le grandi manovre sono iniziate da tempo. L’ipotesi finora più gettonata per chiudere il contenzioso iniziato lo scorso marzo è quella di cedere ad investitori istituzionali italiani la quota dell’89% di Trans Austria Gasleitung, il gasdotto che parte dalla Russia e, attraverso l’Austria, arriva in Italia. Il trucco sarebbe quello di tenersi ben stretti i diritti di trasporto del gas, che rappresentano il cuore del business. La soluzione garantirebbe, forse, di accontentare formalmente la Commissione Ue e di non scontentare Palazzo Chigi, che ha più volte ribadito il valore strategico del gasdotto. A questo proposito il governo si sentirebbe più sicuro se i tubi finissero in pancia alla Cdp, operazione che rappresenterebbe anche il primo passo verso la società delle reti. I contatti tra Eni e Tesoro sono già stati numerosi, ma non tutti i nodi sono stati sciolti. Con l’avvicinarsi della scadenza la tensione sale. Da un paio di settimane Paolo Scaroni fa mostra di ottimismo, assicurando che alla fine tutto si risolverà in maniera incruenta. Il lavoro degli esperti sul dossier è però serrato. Anche ieri l’ad dell’Eni ha ribadito che il gruppo «sta studiando soluzioni alternative che possano andare bene alla Commissione e al governo». In caso di multa, però, Scaroni ha già fatto sapere che partirà subito il ricorso.

libero-news.it

Scajola stoppa i francesi «No al nucleare importato»

Lo stop ai francesi pigliatutto, stavolta, è chiaro come il sole. Il boccone del nucleare italiano non andrà ad ingrassare solo i cugini d’Oltralpe. Vogliamo avere, ha spiegato ieri Claudio Scajola, «un ruolo paritario» con i partner francesi e americani per la costruzione delle nuove centrali nucleari.
La precisazione era attesa da tempo, visto che da qualche mese sulla ripartenza dell’atomo si erano intensificate le manovre d’accerchiamento. A partire da quella di Gdf, che qualche settimana fa è sbarcata in Italia per annunciare l’alleanza con i tedeschi di E.On e lanciare la candidatura per il secondo consorzio (oltre a quello già costituito tra Enel ed Edf) che dovrà costruire altri 4 nuovi impianti. Mossa che ha destato più di un sospetto quando il presidente del gruppo Gerard Mestrallet ha dichiarato di preferire la tecnologia Epr a quella Ap1000. Non un semplice dettaglio tecnico ma una scelta di campo. Le due tecnologie sono infatti concorrenti nel settore della realizzazione dei reattori. E mentre la prima è utilizzata dalla francese Areva, la seconda è molto diffusa nel Nord Europa in Inghilterra e soprattutto negli Stati Uniti, dove viene utilizzata da Westinghouse. Se a questo si unisce il fatto che Gdf lavora nel mondo molto di più con l’Ap1000 che con l’Epr, il messaggio diventa ancora più chiaro. L’idea sarebbe, insomma, quella di appaltare tutti i nostri reattori agli uomini di Sarkozy, visto che Areva è già partner per il consorzio Enel-Edf.
Il tutto alla faccia della nostra Ansaldo Nucleare, che sarebbe beffata due volte. L’azienda controllata da Finmeccanica, infatti, ha siglato qualche mese fa negli Usa, alla presenza dello stesso Scajola, un protocollo di collaborazione con Westinghouse per il nucleare in Italia, ma all’occorrenza non avrebbe problemi a lavorare anche su reattori Epr, come fa da tempo in diverse parti del mondo. Il problema è che Areva non è molto collaborativa. Costruisce i reattori in Francia e li porta già fatti dove occorrono.
Di qui le parole precise pronunciate ieri dal ministro dello Sviluppo a Genova durante una visita agli stabilimenti di Ansaldo Energia. Punto primo: «Ho spiegato ad americani e francesi che noi non importiamo centrali fatte all’estero chiavi in mano, ma con loro vogliamo costruirle avendo un ruolo rilevante e paritario, non solo a livello edificativo ma anche tecnologico».
Punto secondo: «Noi siamo industrialmente deboli per le scelte sciagurate del passato, ma Finmeccanica ha il grande merito di avere avuto il coraggio di costituire di nuovo Ansaldo Nucleare mantenendo così un presidio industriale e tecnologico nel settore».
Considerazioni chiare, che non solo rilanciano il ruolo di Finmeccanica nella partita dell’atomo, ma aprono potenzialmente la strada a tutte le imprese italiane che hanno le competenze per poter essere coinvolte nella realizzazione delle future centrali. Già alla costruzione dell’Epr francese di Flamanville, tanto per fare un sempio, partecipano 32 nostri fornitori (quasi tutti al Nord), soprattutto di forgiati, apparecchiature meccaniche, cavi, tubi, ecc. Mentre nel progetto finlandese di Olkiluoto sono coinvolte circa 20 imprese italiane. Resta ora da capire fino a che punto potranno spingersi le pressioni del ministro sui francesi e, soprattutto, se serviranno a sbloccare le trattative. Quanto ai tempi, Scajola ha messo il piede sull’acceleratore. «La conclusione della mappatura» dei siti dove verranno costruite le nuove centrali nucleari, ha detto nel corso della trasmissione Mattino 5, «sarà fatta entro primavera, come abbiamo previsto dalla legge Sviluppo».

libero-news.it

Tremonti si gioca il Gratta&Vinci contro l’evasione

Altro che Guardia di Finanza. L’evasione fiscale si combatterà col Gratta&Vinci. La trovata può sembrare bizzarra, ma se si considerà la voracità con cui gli italiani consumano i bigliettini da raschiare gli effetti potrebbero non essere così trascurabili. Ne è convinto Giorgio Jannone, deputato bergamasco del Pdl, che da qualche mese sta ragionando sulla questione ed ora vuole portare la proposta in finanziaria. L’idea è semplice. Si tratta di unire la lotteria istantanea allo scontrino. In altre parole, si va al bar, si prende il cappuccino, si paga e, se si è fortunati, ci scappa una bella vincita. L’obiettivo è ovviamente quello di stimolare il cliente a pretendere la ricevuta per ogni acquisto di beni o servizi. L’incentivo è già in vigore da tempo in Cina, dove l’estensione del territorio, l’arretratezza di molte regioni e la quantità spropositata di abitanti rendono praticamente impossibile effettuare controlli efficaci sull’evasione di esercenti, artigiani e professionisti. Ebbene, spiega Jannone, «da quando i clienti hanno il vantaggio di poter vincere un premio senza alcun esborso aggiuntivo pare richiedano lo scontrino in percentuali che si aggirano sul 98%».
In Italia basterebbe molto meno per gridare al miracolo. Basti pensare che su circa 320 miliardi di evasione ed elusione stimati, 6 sarebbero quelli che non arrivano all’erario per colpa della mancata emissione di scontrini, ricevute e fatture fiscali. Appare chiaro che sottraendo alla cifra una quota per distribuire di tanto in tanto piccole vincite, il gettito aggiuntivo che resterebbe nelle casse dello Stato supererebbe quello dello scudo fiscale, con la differenza che si tratterebbe di entrate strutturali e non una tantum come quelle attese dal condono.
Tutti da definire tempi, modi e fattibilità. L’emendamento che Jannone presenterà in Finanzaria è ancora in fase di stesura. Ma una buona bozza è quella contenuta nella proposta di legge che lo stesso deputato ha presentato ad ottobre per l’istituzione dello scontrino fiscale “gratta e vinci” al fine di contrastare l’evasione fiscale. Nella sua parte posteriore, si legge nel testo, lo scontrino «è costituito da una parte argentata o dorata che nasconde l’eventuale combinazione vincente, espressa in simboli o in cifre, e l’indicazione del relativo premio in denaro». In alternativa, spiega Jannone, si può anche pensare «al rilascio di un tagliando Gratta & Vinci gratuito per ogni tot euro di spesa in abbinamento allo scontrino». A quel punto, «il consumatore potrà vincere una parte della somma spesa che verrà rimborsata direttamente dal commerciante, con la successiva copertura dello Stato».
Realizzabile o meno, la proposta non piacerà a commercianti, artigiani e professionisti, che invece di vedersi arrivare il tanto atteso (e promesso) taglio dell’Irap si troverebbero di fronte ad un’ennesima stretta del fisco. Che si andrebbe ad aggiungere a quella già operata qualche anno fa dall’ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, che portò nella prima fase di applicazione alla chiusura di migliaia di esercizi.
Tutt’altro, secondo Jannone, lo spirito dello scontrino Gratta&Vinci, che rappresenterebbe invece un modo «di incrementare gli introiti dello Stato senza ricorrere a politiche eccessivamente punitive e invasive». Sia come sia, l’idea ha tutte le caratteristiche per stuzzicare la fantasia di Giulio Tremonti, che ha già incaricato i tecnici del ministero di studiarne la fattibilità. Jannone, in effetti, spiega che quando, alcuni mesi fa, gli parlò della proposta il ministro sembrava molto interessato. E grande attenzione, secondo il deputato, ci sarebbe anche da parte della Lega, che avrebbe già espresso apprezzamento per l’idea. Il che farebbe pensare ad un asse che non dovrebbe avere grosse difficoltà a spingere la norma in Finanziaria.
La partita della manovra è comunque solo all’inizio. E tutto fa pensare che anche alla Camera lo scontro sarà serrato.
L’esame del provvedimento parte giovedì in commissione Bilancio. Dalle prime voci che circolano il pacchetto Baldassarri e gli emendamenti dei finiani bocciati al senato non sembrano essere tra le priorità del governo. Il viceministro dell’Economia, Giuseppe Vegas, ha già fatto retromarcia sull’Irap ventilando piuttosto la possibilità di un qualche alleggerimento non meglio specificato sull’Irpef, come un aumento delle detrazioni per i redditi da lavoro o da pensione o di quelle per i figli. Sul fronte delle entrate si parla invece di ulteriori balzelli a carico di banche e gruppi petroliferi. Confusa la situazione sulla banca del Sud, saltata al senato per problemi tecnici. «È un progetto a cui teniamo moltissimo», ha detto ieri il ministro del Welfare Maurizio Sacconi. «Sono sempre stato abbastanza scettico, non riesco a capire cosa sia», ha replicato il sottosegretario alla Presidenza, Gianfranco Miccichè.

libero-news.it

lunedì 16 novembre 2009

Gasparri prepara l’assalto a Tremonti su affitti e sicurezza

Coordinamento stretto con Cicchitto, vertice con i capigruppo della Camera e i relatori del Senato, convocazione della cabina di regia sull’economia. Maurizio Gasparri giura che dietro il “gioco” delle astensioni sugli emendamenti alla Finanziaria, non ci sia alcuna fronda, né manovre dei finiani. «Si è trattato solo», spiega il presidente dei senatori del Pdl a Libero, «di qualche mal di pancia che ha trovato sfogo». Ma la sensazione è che in molti a Palazzo Madama siano rimasti con l’amaro in bocca. Compreso lo stesso Gasparri, già al lavoro per evitare un secondo passaggio a vuoto a Montecitorio. «Ho già parlato con Cicchitto. Ci incontereremo la prossima settimana coi deputati della commissione Bilancio, i capigruppo della maggioranza, i relatori al Senato e il presidente Azzolini per confrontarci col governo», spiega.
Per quanto riguarda Giulio Tremonti, l’intenzione è quella di «chiedere la convocazione della cabina di regia». Gasparri assicura che col ministro dell’Economia non ci sono attriti: «Ieri sera (venerdì, ndr) ci siamo visti e abbiamo discusso dei temi che dovranno essere affrontati durante il passaggio alla Camera. Tenuto conto che nel frattempo dovrebbero anche essere arrivati un po’ di dati sullo scudo fiscale, credo che a Montecitorio Tremonti riesca a mantenere gli impegni». Troppo facile ricordare al senatore che la stessa cosa aveva detto al termine del vertice a Palazzo Madama. «Non nascondo che mi aspettavo di più. Abbiamo trovato i fondi importantissimi per sicurezza e giustizia, ma sarei stato più soddisfatto se la Finanziaria fosse uscita dall’aula con la cedolare secca sugli affitti e la Banca del Sud». Non è un caso che proprio sulla detassazione delle locazioni sia arrivata la sua astensione. Non un modo per annacquare i voti dei finiani, «ma un tratto di evidenziatore per far capire che il tema dovrà essere affrontato». Oltre a questo, Gasparri si aspetta che alla Camera tornino sul tavolo «altri fondi per la sicurezza, la copertura del 5 per mille, la riduzione delle tasse, i finanziamenti per le scuole paritarie e 3-400 milioni per l’Università».
la cabina di regia
Di carne al fuoco ce n’è molta, ma il viceministro dell’Economia, Giuseppe Vegas, ha già detto che le coperture non ci sono e che il taglio all’Irap dovrà aspettare. «Sappiamo tutti che siamo seduti sopra un debito pubblico enorme. Bisogna mettersi intorno a un tavolo e capire in base all’andamento dei conti quanto sono stretti gli spazi di manovra. A quel punto si decide insieme su cosa intervenire e cosa rinviare», spiega Gasparri. Il ministro, però, dovrà essere più presente. Perché il fatto che «non sia mai venuto al Senato durante la discussione della Finanziaria non mi è piaciuto. Serve più confronto». E più sangue freddo, forse, per evitare quello che è successo all’ultimo Consiglio dei ministri tra Tremonti e i colleghi Brunetta e Prestigiacomo. «Se è vero quello che hanno scritto», dice, «non va bene. Il ministro offre sempre argomenti di cui discutere, ma deve essere più paziente». Di pazienza ne servirà molta. Se Gasparri prepara l’assedio con vertici e controvertici, infatti, anche i finiani stanno scaldando i muscoli per il secondo round. E il pacchetto Baldassarri alla Camera potrebbe trovare un sostegno ancora più robusto, visto che oltre al presidente di Montecitorio può contare anche sul 70%, secondo un calcolo fatto alcuni giorni fa dal Foglio, dei 92 deputati ex An. Una truppa che si presenterà agguerrita nel chiedere almeno un primo passo verso la riduzione delle imposte.
«ricercatori, nessun taglio»
In attesa dello sbarco a Montecitorio, intanto, iniziano a circolare le possibili misure da inserire nel solito maximendamento. Risorse fresche potrebbero arrivare dagli “scontrini gratta e vinci”, che avrebbero anche l’effetto di combattere l’evasione fiscale. Soldi arriverebbero anche dalle banche che, nel caso in cui ottengano aiuti pubblici, sarebbero tenute ad una sorta di assicurazione obbligatoria. La tassa sarebbe meno pesante per gli istituti che invece di aumentare gli utili decidessero di reinvestirli. Una nuova Robin tax, infine, colpirebbe i petrolieri: chi non adegua i listini sarebbe colpito con rincari che, si dice, sarebbero dell’1,5% in più ogni 9 giorni di ritardo. Una bufala, invece, sarebbero i tagli alla ricerca. Non è vero nulla, ha detto il ministro Gelmini, la quale ha assicurato che «entro dicembre saremo in grado di approvare e selezionare diversi progetti e quindi di distribuire le risorse previste ai ricercatori».

libero-news.it

sabato 14 novembre 2009

Già finita la tregua fra Tremonti e il Pdl

Sul luogo del delitto si torna sempre. E così ha fatto Giulio Tremonti, che ieri si è ripresentato a Palazzo Chigi per una riunione lampo del Consiglio dei ministri convocata per approvare la variazione di bilancio dopo il passaggio della Finanziaria al Senato. Tutto è filato liscio visto che era lo stesso ministro dell’Economia a presiedere la riunione, insieme a Gianni Letta. Solo 24 ore prima, però, in quelle stesse stanze lo “spigoloso” Tremonti, come lo definì qualche tempo fa Claudio Scajola, aveva sfiorato la rissa con i colleghi di governo. «Non ti avvicinare o ti prendo a calci», ha detto rivolto a Renato Brunetta. «Vado via sennò gli alzo le mani», è stata la reazione di Stefania Prestigiacomo. Alla fine i pugni non sono volati, ma di parole, secondo quanto raccontano i partecipanti, ne sono state sparate parecchie. E non di quelle che rientrano sotto la voce “confronto costruttivo”. Una giornata storta? Macché, la realtà è che la tregua di Arcore è già finita. E per la cabina di regia si stanno attrezzando con i guantoni. L’insofferenza per le “spigolosità” tremontiane, infatti, cresce a vista d’occhio. Storica quella di Brunetta, cui si è rapidamente aggiunta quella di Fitto, della Prestigiacomo, di Maroni, di Romani e, in ultimo, anche di Scajola. Chi frequenta Palazzo Grazioli sostiene che pure il Cavaliere stia pian piano colmando la misura. E anche volendo, tra un po’ le file degli scontenti saranno così grosse che non sarà più possibile tenerle. Il superministro dell’Economia, però, non sembra avere alcuna intenzione di cambiare un percorso che lo sta portando verso l’isolamento totale. Anzi, stuzzica e provoca a più non posso. Prima abbassa la testa, finge la resa, promette concessioni al Senato sull’Irap e sulla detassazione degli affitti. Poi manda il sottosegretario Giuseppe Vegas a dire ai senatori che senza scudo non si taglia. Prima fa circolare la voce di un rinvio degli acconti Irap e Ires per dare un po’ di ossigeno alle imprese, poi arriva in Consiglio dei ministri, punta i piedi, cancella l’ordine del giorno e rinvia l’Irpef per le partite Iva. Ieri pomeriggio, al termine della seduta che ha lasciato il Senato a bocca asciutta, ha diffuso una nota dal sapore beffardo: «Il ministro dell’Economia ringrazia i senatori della maggioranza per lo straordinario e responsabile lavoro fatto in questi giorni».
La verità è che Tremonti riesce a giocare con i saldi di bilancio come pochi sanno fare. E finché crisi e dopo-crisi continueranno a tenere banco, la sua abilità nel tenere in equilibrio i conti è come un randello pronto ad essere roteato. Non è un caso che la sua prima uscita pubblica dopo il chiarimento con il Pdl sia stata quella fatta da Bruxelles qualche giorno fa. Forte del via libera della Commissione al “suo” piano di rientro dal deficit il ministro se ne uscito con il diktat: «O io o le pensioni». Roba già detta, ma non sotto forma di ultimatum, come a ribadire che i suoi muscoli, malgrado l’assedio del partito, sono tonici e guizzanti. E sbaglia chi pensa di sconfiggerlo sul suo stesso terreno. Il debito brucia un record negativo ogni mese? Basta sfogliare il bollettino di Bankitalia per accorgersi che sono le entrate a scendere e non la spesa corrente ad esplodere. Se poi la notizia arriva nel giorno in cui l’Istat certifica la ripartenza dell’Italia, sembra chiaro che per mandarlo a casa ci vorrà qualcosa di più dell’antipatia. Per quanto forte possa essere.

libero-news.it

Brunetta mette fine alle molestie degli statali

Per Renato Brunetta le imprese risparmieranno circa 5 miliardi. Per Roberto Calderoli soltanto uno. Ma al di là delle cifre, quella portata a casa dal ministro della Funzione pubblica è senz’altro una spallata al sistema. «Da oggi», ha detto Brunetta, «diciamo stop alle molestie della pubblica amministrazione nei confronti dei cittadini».
La nuova Pa è disegnata nel ddl approvato ieri mattina dal Consiglio dei ministri. Un provvedimento collegato alla Finanziaria composto da tre titoli e 35 articoli. Nel testo, che comprende anche la delega al governo per l’emanazione della Carta dei doveri della pubblica amministrazione, sono contenute norme concordate con i ministri della Giustizia, degli Esteri, della Gioventù e della Semplificazione. Tra le novità c’è il giuramento per i dipendenti neo assunti della pubblica amministrazione, a pena di licenziamento, di fedeltà alla Repubblica e di leale osservanza della Costituzione e delle leggi. Ci sono poi le sanzioni per la mancata comunicazione delle assenze per malattia da parte della Pa al Dipartimento della funzione pubblica. Le norme, ha detto il ministro, garantiscono maggiore «semplificazione e ammodermanento» oltre che «minor peso» della burocrazia e «più dignità». Per il cittadino ci sarà invece la possibilità di effettuare il cambio di residenza senza recarsi fisicamente allo sportello (sarà infatti possibile effettuarlo online), mentre la carta d’identità sarà rilasciata a partire dai dieci anni anziché gli attuali quindici. Tutte le prescrizioni farmaceutiche e specialistiche, infine, saranno scritte su un supporto elettronico, fermo restando il diritto del cittadino ad ottenere copia cartacea del contenuto della prescrizione.
Per quanto riguarda le aziende sono invece in arrivo la semplificazione della tenuta dei libri sociali e del conferimento dei poteri di rappresentanza degli imprenditori, la comunicazione unica al registro delle imprese per gli artigiani, lo sportello unico per l’edilizia. L’insieme delle misure approvate dovrebbe tradursi, entro il 2012, in risparmi derivanti dalla riduzione degli oneri amministrativi gravanti sulle imprese, pari a circa 5 miliardi. Secondo Brunetta il via libera al Ddl rappresenta «un buon giorno dal punto di vista della semplificazione, della trasparenza, dell’ammodernamento, della gentilezza, della cortesia, dell’effettività dei diritti dei cittadini». La nuova normativa punta tra l’altro alla definizione di un meccanismo più agile e snello per l’accesso al Fondo di sostegno per l’occupazione e l’imprenditoria giovanile. Tra le minori spese stimate dal ministero per la Pubblica amministrazione figurano anche i 30 milioni che, a regime, scuole e università potranno accumulare grazie alle pagelle e ai certificati elettronici.
Entra nel dettaglio dei risparmi, anche il ministro della Semplificazione. «Molte», ha sottolineato Calderoli, «le agevolazioni alle imprese: la tenuta dei libri sociali, il cui obbligo passerà da trimestrale ad annuale, con un risparmio complessivo di circa 750 milioni di euro l’anno; le gestioni delle strutture ricettive saranno informatizzate, per un risparmio di 49 milioni di euro». Inoltre, «saranno libere, ossia non più soggette a Dia, una serie di piccole attività edilizie, purchè», ha spiegato, «conformi agli strumenti urbanistici comunali e nel rispetto delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio igienico-sanitarie, nonchè di quelle ambientali». Per via telematica e senza spese in più per il cittadino, si potrà inoltre comunicare la cessione di fabbricati, «con un risparmio di oltre 93 milioni di euro». Importanti e dettagliati, ha concluso, «anche gli interventi che riguardano il welfare, dalla semplificazione della denuncia d’infortunio o malattia, così come ci sono buone notizie anche per i lavoratori dello spettacolo».
La prima rivoluzione, in vista del Natale, saranno gli auguri via mail. Brunetta ha infatti firmato una circolare con la quale invita le amministrazioni pubbliche a utilizzare la posta elettronica per lo scambio dei messaggi di buone feste. Le mail, si legge nel documento, «consentono di scambiare informazioni e contenuti istituzionali tra gli uffici con maggiore celerità e minori costi rispetto a quanto è, sino ad ora, avvenuto attraverso i mezzi basati sull’inoltro cartaceo di documenti». Nulla impedisce dunque che possano essere utilizzati i pc anche per i tradizionali auguri.

libero-news.it

Tasse, slitta l'acconto Irpef

Prima l’Irap. Poi l’Irpef. Non c’è pace sulle tasse. Anche sul mini-rinvio il governo è riuscito a confondere le carte. Fino a mercoledì sera, il decreto annunciato al vaglio del Consiglio dei ministri prevedeva «Disposizioni in materia di differimento del versamento dell’acconto dell’Iras e dell’Irep». Di fatto si trattava di una riduzione, secondo le attese del 3%, dell’acconto sulle tasse solo per grandi imprese e società di capitale. Ipotesi che ancora nella mattinata di ieri veniva data per buona. Tanto che le associazioni dei “piccoli” avevano aperto il fuoco di fila, sostenendo di essere state escluse senza motivo dalla boccata di ossigeno. Del resto, anche nell’ordine del giorno della seduta si parlava espressamente di Irap e Ires. In sostanza, sembrava che si volesse concedere più tempo alle imprese che entro il 30 novembre devono versare il 60% dell’imposta, dopo aver sborsato a luglio il 40 per cento.
Nel pomeriggio lo scenario si ribalta. Irap e Ires escono di gioco. E l’aiutino arriva solo per l’Irpef. I piccoli festeggiano e i grandi restano a bocca asciutta. A trarre beneficio dal provvedimento, sempre che questa sia la versione definitiva, saranno dunque i professionisti, i piccoli negozianti e gli artigiani, ovvero il popolo delle partite Iva. Insieme alle società di capitali, resteranno invece fuori anche i dipendenti, che non pagano l’acconto al Fisco.
«Con esattezza», ha spiegato il sottosegretario alla Presidenza, Paolo Bonaiuti, «si tratta del taglio dell’Irpef, cioè dell’imposta sulle persone fisiche, per un valore di tre miliardi e seicento milioni. Una cifra importante perché riducendo gli acconti che i cittadini devono pagare entro la fine di novembre si lascia più liquidità nelle tasche della gente». Per essere ancora più precisi, il decreto legge approvato ieri dal Consiglio dei ministri riduce l’acconto Irpef da versare entro il prossimo 30 novembre di 20 punti percentuali, dal 99% al 79 per cento.
A provocare il cambio di marcia sarebbe stato, inutile dirlo, Giulio Tremonti. In particolare l’ostilità del ministro dell’Economia sarebbe stata suscitata proprio dall’ipotesi di intervenire sull’Irap, la tassa su cui si è combattuto il recente duello con il Pdl e con lo stesso Silvio Berlusconi. Il titolare di Via XX Settembre ha così preteso simulazioni e approfondimenti dei tecnici del ministero, che si sono risolti con l’eliminazione dal provvedimento dell’intervento sulle due imposte relative alle società e alle attività produttive. A sbloccare definitivamente la situazione, riferiscono fonti di Palazzo Chigi, sarebbe però stato un vertice a latere del Cdm tra Berlusconi, Tremonti e Gianni Letta.
La cifra finale dell’operazione dovrebbe essere di 3,8 miliardi e verrà coperta con le risorse provenienti dallo scudo fiscale. Le imposte saranno ugualmente dovute con il saldo a giugno e luglio del 2010. Il giochino consentirà dunque al governo di spostare di fatto i proventi dello scudo all’anno successivo. Cosa che darà un po’ di sollievo ai conti pubblici. Questo non toglie che ci sarà un beneficio temporaneo per l’economia, e i contribuenti. Complessivamente le partite Iva avranno in tasca 3,8 miliardi di euro di liquidità in più per spingere i consumi, nel periodo caldo delle compere natalizie, e affrontare con meno difficoltà le criticità provocate dalla crisi.
La misura non riguarda però i lavoratori dipendenti, che hanno trattenute in busta paga e quindi non avranno benefici. Ma anche loro, seppure di striscio, saranno toccati dalla misura: se hanno ad esempio altri redditi che dichiarano con Unico o con il 730 (collaborazioni, seconde case, affitti). Un beneficio ci sarà anche per coloro che hanno redditi assimilati a quelli di lavoratori dipendenti: è il caso dei separati e dei divorziati che ricevono l’assegno di mantenimento.
Positive, ovviamente, le reazioni delle associazioni di categoria. Anche se il presidente di Confapi, Paolo Galassi, ricorda «che queste misure da sole non bastano. All’economia italiana serve la misura delle misure, cioè l’eliminazione dell’Irap». Su quest’ultimo punto il confronto tra Parlamento e Governo è ancora aperto. Anche se la sensazione è che la mossa di ieri allontani ancora di più la speranza del taglio atteso in Finanziaria.

libero-news.it

Quel film che non piace né a Segio né ai parenti delle vittime

Vuoi vedere che alla fine il principale sostenitore del film sulle “gesta” di Sergio Segio sarà proprio Sandro Bondi? Già, perché al di là delle consuete polemiche sulla «destra arrogante» e «senza cultura», dalla conferenza stampa seguita alla proiezione del film è emerso con chiarezza che “La Prima Linea” non è proprio piaciuto a tutti. Anzi. I parenti delle vittime (i figli dei giudici Alessandrini e Galli, uccisi da Segio, in testa) ne hanno contestato duramente l’impostazione: un’altra storia raccontata con gli occhi dei terroristi, un’altra occasione persa per esprimere il punto di vista di chi è caduto sotto i colpi delle bande armate. Ma è piaciuto poco anche allo stesso ex leader di Prima Linea, che del film è stato ispiratore attraverso la sua autobiografia “Miccia Corta”. «Assai liberamente ispirato al mio libro», spiega Segio, «ne tradisce una caratteristica fondamentale: quella che riassume l’albero genealogico, i riferimenti ideologici, culturali, le famiglie di provenienza, le motivazioni, le aspirazioni, per quanto infine pervertite dalle pratiche». L’ex terrorista avrebbe preferito un racconto romantico, pieno di ideali, di sogni e di belle speranze. Ma avrebbe anche voluto, forse, che nel film si intravedessero con maggiore chiarezza i lineamenti del nemico, di quello Stato così terribile e infingardo che rendeva gloriosa e un po’ giusta ogni battaglia, anche la più spregevole. Perché, spiega Segio, «noi armati abbiamo avuto torto, tragicamente torto, terribilmente torto. Ma Loro non avevano ragione». Chi sono? «Gli apparati statali compromessi con lo stragismo, il sistema capitalistico di intenso sfruttamento e delle stragi sul lavoro, i rappresentanti politici di governo, gli uomini di partito che hanno alimentato la strategia della tensione, che hanno tramato per costruire svolte autoritarie e golpiste in Italia, dalla Rosa dei Venti alla P2». È lui, che chiede scusa ma non rinnega, che si pente ma poi, dopo trent’anni, ancora punta il dito sul «volto opaco della democrazia italiana», su chi «è stato complice omertoso» del mai fuori moda “doppio Stato”, l’eroe del film di Renato De Maria.
Ed è forse per questo che anche la Commissione che concede i finanziamenti al cinema ha avanzato più di una perplessità in fase di visione della sceneggiatura e poi dello stesso film. E a storcere il naso, qualche tempo fa, è stato anche il presidente della Repubblica. «Non so se lo vedrò. Altri mi diranno, lo giudicheranno. Poi deciderò», ha spiegato gelido Giorgio Napolitano.
Alla fine, come si diceva, le parole di sostegno più decise sono state quelle di Sandro Bondi. «Una narrazione attenta ai fatti, cruda, che non costituisce, a mio avviso, un’apologia del terrorismo, ma anzi contiene una netta condanna delle responsabilità di chi si è macchiato di orrendi delitti in nome di un’ideologia criminale», ha detto il ministro dei Beni culturali, che è stato però sommerso dalle critiche per aver aggiunto un suggerimento agli esperti che dovranno valutare la pellicola per il finanziamento. «Il rispetto alla memoria di tutte le vittime del terrorismo», ha spiegato Bondi, «imporrebbe di non usare fondi pubblici per finanziare questo genere di film».
I soldi. Ecco il problema. Il verdetto finale dei tecnici del ministero deve ancora essere emesso, ma a sorpresa la LuckyRed di Andrea Occhipinti ha annunciato di non volere più il contributo pubblico. Avrebbe «inquinato» la produzione, è stato detto durante la conferenza stampa di ieri. Ma allora perché non rinunciare subito? Il sospetto è che sia stato proprio l’affondo di Segio ad imporre la retromarcia. Quelle accuse di maccartismo rivolte a regista e sceneggiatore, che a suo dire avrebbero accettato le condizioni e i paletti imposti dalla censura di governo. Quelle allusioni neanche tanto velate al fatto che il film sia stato «scritto e girato a comando, con la libertà artistica legata al guinzaglio». Una cosa è certa: al ministero il rifiuto di Occhipinti è stato accolto con un gran sospiro di sollievo. A prescindere dall’esito della decisione, la bufera era assicurata.

libero-news.it

Slitta il taglio Irap al Senato

«Si poteva fare di più», dice sconsolato il relatore Maurizio Saia. «L’iter della Finanziaria non finisce qui» gli risponde il viceministro all’Economia, Giuseppe Vegas. Traduzione: il taglio all’Irap può attendere. La detassazione degli affitti pure. Questo, di là dalle chiacchiere, l’esito della battaglia al Senato sulla manovra di bilancio. Partita che dovrebbe essere stata chiusa con due emendamenti presentati ieri in serata dallo stesso Saia.
Tra le novità contenute nel primo emendamento, lo stanziamento di 100 milioni per la sicurezza e la vendita di 3000 immobili confiscati alla mafia i cui proventi vengono destinati per il 50% al ministero della Giustizia e per il 50% al ministero dell’Interno. Previsti anche alcuni interventi per l’agricoltura: tra questi, la proroga degli sgravi dei contributi agricoli ( circa 40milioni di euro) e il rifinanziamento del fondo di solidarietà per il settore. Il secondo emendamento invece contiene le norme relative alla Banca del Sud (nuove emissioni di bond tassati al 5%), contenute in un precedente disegno di legge del governo. All’ultim’ora è spuntato pure il copyright (con tanto di multe da mille a 5mila euro per chi li viola) sui simboli delle Forze armate, compresi Carabinieri e Guardia di finanza.
Per il resto, il ritornello è che si dovrà attendere una quantificazione delle risorse derivanti dallo scudo fiscale per poter inserire qualche misura di rilievo nella Finanziaria che, a quel punto, sarà alla Camera. Sul taglio dell’Irap e la cedolare secca al 20% sugli affitti Saia ha chiesto «l’impegno forte del governo ad intervenire, nell’altra ala del Parlamento, nel momento in cui questo “benedetto” scudo fiscale darà risposte in tal senso». Detto questo, ha concluso Saia, «mi ritiro e leggo i pareri sugli emendamenti con molta... non dico rassegnazione, ma sicuramente senza grande entusiasmo». Ipotesi non esclusa dalle parole di Vegas. «La finanziaria non finisce qui, né oggi né domani. Ha un iter», ha detto il viceministro, aggiungendo che se qualcuno «intendesse la manovra come qualcosa di simile a un bancomat, ci sarebbero dei problemi molto gravi e seri». Detto questo, Vegas ha confermato la buona volontà del governo: «Vedremo se sarà possibile trovare le coperture, per far fronte a problemi più urgenti». Che non riguardano solo le imprese. Perché l’Irap, ha spiegato, «è un’imposta non simpatica ma c’è anche il problema dei dipendenti, dei pensionati e dei lavoratori con basso reddito».
Buone notizie dal ddl collegato alla Finanziaria che arriva oggi al Consiglio dei ministri. Oltre al taglia-oneri, che prevede risparmi per 5,3 miliardi a regime per le aziende, il testo che approderà a palazzo Chigi contempla anche una serie di misure concrete che messe a punto dai ministri Brunetta e Calderoli. Sempre dal Cdm dovrebbe anche arrivare la riduzione dell’ordine del 2-3% degli acconti fiscali Ires e Irap di novembre, come fu fatto nel 2008. Un po’ di ossigeno per le imprese quantificabile in circa 2 miliardi di minor tasse, che dovranno comunque essere versate a luglio 2010.

libero-news.it

mercoledì 11 novembre 2009

«O io o le pensioni». Tremonti frena la riforma

Le pensioni non si toccano. La Finanzaria neppure. Altro che cabina di regia. Sfuggito all’assedio dei finiani, sgattaiolato via dalla morsa del partito e uscito dall’angolo in cui l’aveva spinto il Cavaliere, Giulio Tremonti ha colto l’Ecofin al balzo ed è tornato a far sentire la sua voce. La musica non sembra affatto cambiata. Anzi, se mai era possibile, il ministro dell’Economia da Bruxelles è stato ancora più chiaro del solito. Certo, c’è la comunità internazionale da rassicurare alla vigilia della bacchettata della Commissione Ue sullo sforamento del nostro deficit, ma il messaggio arriva forte e chiaro soprattutto in Italia.
Di sforbiciate alla spesa sociale non se ne parla. «Se la parola è tagli alle pensioni», ha tuonato Tremonti, «mai fino a quando ci sarò io». Perché, ha spiegato, «qualsiasi manovra sul sociale va fatta lasciando i soldi al sociale, non si prendono dalle pensioni per fare altre cose». Toccare la previdenza, «come diceva l’ex cancelliere tedesco Schroeder, non è come cambiare l’Rc auto». E comunque, a giudizio del ministro, non c’è alcun motivo di intervenire. Il sistema, ha spiegato, tiene grazie ad importanti riforme già varate, dalla legge Amato del 1992 fino al nuovo intervento contenuto nella manovra estiva.
E se sulle pensioni il no è secco, anche sul resto non è che ci sia molto da discutere. I margini di manovra per un mini-taglio delle tasse erano e restano strettissimi. Il pertugio è reso sottilissimo da quel «non dobbiamo e non possiamo fare di più» con cui Tremonti sintetizza l’approvazione da parte di Bruxelles del piano triennale di rientro dal deficit. «Non servono nuove manovre», ha spiegato il ministro, «l’Europa ci chiede solo di confermare la Finanziaria che già c’è». Il che è già un risultato straordinario. «Non pensavo andasse così bene», ha chiosato. Questo implica che ogni passo che porta fuori dal percorso va soppesato con cautela. Anche perché, come ha ricordato non casualmente il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, «Bruxelles ha lodato l’oculatezza della gestione delle finanze pubbliche italiane in questo periodo di crisi». Così, dopo una metafora sanitaria ad affetto in tempi di influenza A («tutti dobbiamo prendere la medicina, a noi è stata data la possibilità di curarci prima e di prenderla in minime dosi»), Tremonti ha gioco facile nel liquidare la questione Irap: «Intanto è stato approvato dall’Europa il bilancio su tre anni, questo è il presupposto di tutto, poi vedremo». Quel “vedremo”, secondo la traduzione di Maurizio Gasparri, significa «che il ministro dell’Economia chiede di attendere gli esiti dello scudo fiscale» e quindi «una riflessione sui tempi». Difficile che questi tempi siano quelli fissati per il via libera del Senato alla Finanziaria, previsto al massimo per sabato. Oggi, con il voto sull’articolo 2, la discussione in aula entra nel vivo. Ma appare improbabile che si vada oltre il “contentino”, come un primo taglietto fiscale sugli affitti. Ieri, in serata, si è comunque tenuto l’ennesimo vertice tra governo e maggioranza. Tra le ipotesi sul tavolo c’è anche quella del maxiemendamento, che potrebbe contenere alcune delle proposte avanzate nei giorni scorsi dai senatori del Pdl.

libero-news.it

Saras dimezzata. Meno dividendi da girare all’Inter

Massimo Moratti non ha fatto neanche in tempo a riprendersi dalle delusioni di San Siro. A due giorni dallo stop imposto dalla Roma di Claudio Ranieri alla sua Inter, il petroliere si è visto arrivare anche una mazzata dalla trimestrale del gruppo. Ben più pesante del pari rimediato domenica sul campo.
Nel terzo trimestre la Saras dei fratelli Moratti ha portato a casa una perdita netta di 49,6 milioni, in flessione del 152% rispetto allo stesso periodo del 2008. In picchiata anche i ricavi, scesi del 43% a 1,416 miliardi, mentre l’ebitda è diminuito addirittura del 127%. Non vanno meglio le cose sui nove mesi, con i ricavi netti a 3,75 miliardi (-46%) e un utile netto di 67,4 milioni (-78%). Il margine operativo lordo è sceso del 48% a 275,4 milioni e il risultato operativo del 67% a 136,8 milioni, mentre la posizione finanziaria netta, sempre da gennaio a settembre, è passata da un rosso di 221 milioni a un passivo di 464 milioni.
La stangata si ripercuoterà immediatamente sugli investimenti. Saras, si legge in una nota, ha deciso di rivede il piano 2008-2011 dal momento che «l’attuale scenario è notevolmente diverso dalle ipotesi originali su cui era stato basato». In sostanza, tutti i principali progetti di «crescita» a partire dal 2010 in poi verranno spostati in avanti di circa 12-18 mesi.
L’andamento del mercato non ha di sicuro favorito la società dei Moratti. Nel terzo trimestre del 2008 il diesel veniva scambiato in media a 1.078 dollari per tonnellata, nello stesso periodo del 2009 la valutazione è scesa a 567 dollari. E sui conti hanno pesato pure elementi di natura straordinaria come un tragico incidente in una raffineria e una serie di imprevisti che hanno causato dei rallentamenti e appesantimenti della catena produttiva della società. Ma è un dato di fatto che malgrado il potenziamento degli impianti e della capacità di conversione, il margine di raffinazione del gruppo petrolifero è stato di 2,2 dollari a barile, in discesa del 75% rispetto a quello dei primi mesi del 2008.
Qualcosa, insomma, non ha funzionato. E potrebbe continuare a non funzionare, visto che lo slittamento del piano è finalizzato oltre che ad «allineare gli investimenti con l’attuale scenario depresso del mercato» anche ad «ottenere i migliori ritorni possibili per gli azionisti». In altre parole, si tagliano le spese in tecnologia per salvaguardare i dividendi. Il motivo non è tanto la crisi, quanto la principale fonte di sperpero della famiglia Moratti, che risponde al nome di Internazionale Football Club. Nei bilanci chiusi il 30 giugno 2008 la società di Massimo Moratti ha dichiarato una perdita netta di 148,27 milioni, su un giro d’affari che, escludendo le plusvalenze su cessione calciatori (pari a 8 milioni), è stato di 197 milioni. Nessuna novità. Negli undici bilanci che vanno dalla stagione 1995/96 al 2005/06, l’Inter ha accumulato 661 milioni di passivo e Moratti ha provveduto personalmente a versare 400 milioni nelle casse. I soldi, finora, sono sempre arrivati dalla Saras. Qualche volta, stando ad alcune inchieste della magistratura, anche in maniera non del tutto trasparente. Ora il cerchio si sta chiudendo. Rinviare gli investimenti per garantire il dividendo potrà tamponare l’emergenza. Ma è chiaro che alla fine Massimo e suo fratello Gian Marco dovranno scegliere una volta per tutte in quali pozzi investire: quelli che buttano greggio e denaro o quello senza fondo a strisce nere e azzurre. La decisione, secondo indiscrezioni, sarebbe matura. Ma non ditelo a Mourinho.

libero-news.it

martedì 10 novembre 2009

Arriva la stangatina sui biglietti aerei

Viaggiare in aereo vi sembra caro? Dal primo gennaio lo sarà di più. Il tanto atteso (dai gestori aeroportuali) e discusso (dai consumatori e dalle compagnie) aumento delle tasse d’imbarco sembra ormai cosa fatta. Una decisione in controtendenza mentre al Senato si cercano i soldi per ridurre la pressione fiscale.
Il primo via libera al provvedimento messo a punto dal ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, è arrivato ieri dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica). Gli incrementi (a carico dei vettori e, a cascata, dei viaggatori) saranno modulati sulle dimensioni degli scali. Per i piccoli aeroporti, ma il testo può ancora subire modifiche, l’aumento sarà di 1 euro a passeggero, salirà a 2 per quelli che hanno un traffico di oltre 5 milioni di viaggiatori e a 3 euro per quelli che superano i 10 milioni.
I soldi andranno a finire dritti dritti nelle tasche delle società che gestiscono gli aeroporti, le stesse che ci costringono a stare ore ed ore davanti ai nastri trasportatori per aspettare bagagli che a volte neanche arrivano. La contropartita sarà quella degli investimenti. Ma il meccanismo è poco chiaro. Nessuno, spiegano da Assaereo, «ha definito in maniera inequivocabile quale destinazione sarà data alle somme incassate dagli aeroporti non essendo definiti obblighi precisi e contratti». Insomma, gli aumenti arrivano prima che le società abbiano effettivamente sborsato i soldi per migliorare i servizi e le infrastrutture. Praticamente sulla fiducia. Certo, come ha detto Matteoli, le nostre tariffe sono tra le più basse d’Europa. Nessuno ha però spiegato che in Italia sono basse semplicemente perché lo sono gli investimenti. Basti pensare che nel 2007 a Fiumicino hanno investito 2,2 euro per passeggero, a Milano 2,3 mentre la media europea è di 7,6 euro. Sta di fatto che l’aumento della tassa porterà nelle casse degli aeroporti qualcosa come 300 milioni l’anno. Circa 60 andranno all’Adr dei Benetton (Roma), altri 40 alla Sea (Milano). Per gli scali più piccoli si stimano 5-7 milioni.
La partita è comunque ancora aperta. Prima dell’ok definitivo servirà un’altra riunione del Cipe. Nel frattempo le associazioni dei consumatori si preparano a ricorrere al Tar. Il decreto sarebbe infatti in contrasto con la direttiva europea dello scorso marzo, che per la definizione delle tariffe prevede, tra l’altro, precisi criteri di trasparenza, consultazioni con tutti i soggetti interessati e un’authority di vigilanza. Niente di ciò sembra finora essersi visto.

libero-news.it

Da Repubblica a Epifani. Sconfitti i catastrofisti

Non ci voleva proprio questa sortita dell’Ocse. Per chi da mesi continua a battere i tasti del catastrofismo, per chi fino a ieri si è impegnato a smascherare le frottole di Berlusconi, per chi si è sgolato nel tentativo di dissipare il fumo venduto dal governo, il colpo di reni dell’Italia certificato dall’organismo internazionale è davvero una brutta sorpresa.
Una doccia gelata per Guglielmo Epifani, che solo un paio di giorni fa, sulle colonne dell’Unità, si chiedeva: «Perché non si vuole parlare della crisi, perché si vuole tacere la realtà, perché la si relega ai margini dell’attenzione dell’opinione pubblica, e perché questo avviene solo in Italia?»
Scontata la risposta del segretario della Cgil: «Se Berlusconi ha detto alcuni mesi fa che il peggio era passato e oggi afferma che la crisi è già finita, evidentemente i giornali e le tv più sensibili agli interessi del governo non possono raffigurare quello che sta avvenendo nel Paese, preferiscono parlare d’altro».
E che dire di Tiziano Treu, che l’economia la conosce e la mastica da tempo? Anche lui si è impegnato con forza. «Svelate le bugie del presidente del Consiglio», ha tuonato qualche settimana fa alle agenzie di stampa il senatore del Pd. Ancora una volta, denunciava l’ex ministro del Lavoro del primo governo Prodi, «le informazioni vere sulle condizioni del Paese le apprendiamo da Bankitalia mentre il governo continua a sottovalutare la gravità della crisi e in particolare quella dell’occupazione».
Il consiglio? «Prendere atto di questa situazione, come hanno fatto gli altri Paesi, anziché limitarsi a galleggiare come fa l’esecutivo».
Ma i dati dell’Ocse hanno colto alla sprovvista anche gli osservatori più acuti. Pensate a Cesare Damiano, anche lui ex ministro del Lavoro, ma del secondo governo Prodi, che a settembre commentava: «I dati dell’Istat indicano un drastico calo di ordini e di fatturato. I timidi segnali di ripresa tanto enfatizzati dal governo sono miseramente smentiti». Simile a quello di Treu l’invito rivolto a Palazzo Chigi: «È ora che il governo se ne renda conto.
La delusione più grande sarà però quella dei colleghi di Repubblica, che non hanno mai smesso, tra una domanda e l’altra, di rassicurarci che dalla crisi, checché ne dica il Cavaliere, ne usciremo forse nel 3020. «C’è un governo», spiegava alla fine di ottobre il vicedirettore del quotidiano, con un’ottima formazione economica, Massimo Giannini, «che, a parte i rifiuti a Napoli e l’avvio della ricostruzione a L’Aquila, giace inerte di fronte alla più grave recessione del dopoguerra».
Un governo, proseguiva, «che non ha fatto nulla per le famiglie, e quasi nulla per le imprese». Ed ecco il punto, lo smascheramento delle bugie: «In questi venti mesi di galleggiamento, ci ha raccontato un alibi e una favola. Il primo: non possiamo far molto, il rigore dei conti pubblici ci impedisce grandi manovre. La seconda: reagiamo meglio alla crisi, e ne usciremo più forti di altri».
Alla mazzata dell’Ocse si può comunque sopravvivere. C’è chi non si è perso d’animo e c’è anche chi ha già ritrovato il piglio giusto. «Ci sono o no 100 miliardi in più di debito pubblico realizzati da questo governo nell’ultimo anno? Ci sono o no centinaia di migliaia di disoccupati?», si è chiesto ieri l’onorevole del Pd Francesco Boccia. «Le stime dell’Ocse», ha spiegato, «non parlano di tutto questo: i ministri che festeggiano l’uscita dal tunnel della crisi non conoscono i problemi degli italiani, delle nostre imprese e delle nostre famiglie».

libero-news.it

venerdì 6 novembre 2009

Tremonti promette meno tasse ma i soldi dello scudo frenano

Mario Baldassarri si è presentato al vertice dei senatori del centrodestra con Giulio Tremonti carico di cifre e tabelle. L’economista finiano resta convinto che «degli oltre 800 miliardi di spesa pubblica almeno il 10%, vale a dire 80 miliardi, non ha nulla a che vedere con la giustizia sociale e con la crescita economica del Paese». Ma il ministro dell’Economia, raccontano i partecipanti all’incontro durato circa due ore, ieri era nelle vesti del poliziotto buono e non ha raccolto provocazioni. Anzi, ha cercato di rassicurare le anime scalpitanti della maggioranza che alla fine qualche spicciolo dalle casse del Tesoro arriverà. Forse già nel primo passaggio della manovra a Palazzo Madama.
«Al Senato qualcosa che arricchisca la Finanziaria ci potrà essere», ha detto il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri. «Il governo darà un segnale importante», ha aggiunto il relatore di maggioranza Maurizio Saia. E il viceministro dell’Economia, Giuseppe Vegas, che fino a l’altroieri vedeva l’Irap come fumo negli occhi, ieri ha invece spiegato che la tassa regionale sulle perdite delle piccole imprese «è una stortura» da correggere. Detto questo, i modi, le quantità (e, malgrado le promesse, anche i tempi) sono tutti da vedere. Lo stesso Vegas ha ribadito subito dopo che «il taglio delle tasse è importante ma bisogna vedere se ci sono le coperture».
E le coperture non potranno arrivare se non dal gettito, visto che, ha proseguito il viceministro, in un momento come quello attuale appare difficile «intervenire sulla spesa dei grandi comparti sociali».
Tutto, insomma, è appeso all’andamento delle entrate. Ma se per i dati dell’autotassazione di novembre bisogna ancora aspettare, qualcosa si inizia a intravedere sullo scudo. Il gettito atteso dovrebbe oscillare tra 3 e 4 miliardi. Questa la stima fatta dallo stesso Tremonti, a quanto si apprende da fonti parlamentari, nel corso dell’incontro e successivamente nell’ufficio di Presidenza del Pdl, dove ha illustrato una relazione sull’economia. Si tratterebbe, dunque, considerata l’aliquota al 5% di un’ipotesi di rientro dei capitali dall’estero tra i 60 e gli 80 miliardi. Un po’ al di sotto delle previsioni iniziale che si aggiravano sui 100 miliardi.
La cifra sarebbe comunque sufficiente a consentire mini interventi di spesa. Ne è convinto Gaetano Quagliariello, che pur con tutta la cautela possibile, si avventura nell’elenco dei capitoli. «C’è l’Irap, c’è la sicurezza, c’è la casa e c’è il Sud», ha detto il vicepresidente dei senatori del Pdl, aggiungendo che nel corso del vertice «c’è stata concordanza nella valutazione delle disponibilità complessive. Alcune cose potranno essere fatte in questo ramo del Parlamento, altre potranno essere fatte alla Camera, dopo che saranno state valutate altre variabili che ora non si conoscono». Nel dettaglio, si parla di un taglio dell’Irap, scomputando le perdite dalla base imponibile, dell’introduzione della cedolare secca al 20% per gli affitti in via graduale, dell’aliquota agevolata per i risparmi al Sud e di fondi aggiuntivi per sicurezza e università. Il percorso, ha spiegato Quagliariello, sarà definito durante «altri incontri», ma il senatore non ha comunque escluso che «qualche sorpresa» possa arrivare sotto forma di emendamenti nel corso del dibattito in Aula a Palazzo Madama.

libero-news.it

Tagli alla banda larga contro Telefonica

Sul tavolo c’erano la cessione di Hansenet, i conti dei novi mesi e il piano triennale. Ma a tenere banco ieri al cda di Telecom sono stati gli 800 milioni per la banda larga, cancellati dal governo in un colpo solo. Chi ha partecipato alla riunione racconta di discussioni molto animate. Il timore è che possa essere il primo atto di un’ostilità istituzionale che durerà finché gli spagnoli di Telefonica resteranno fra i soci di controllo del gruppo. Del resto, qualche mese fa, il sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani, aveva detto chiaramente che la presenza di Telefonica nell’azionariato rappresenta un serio problema. E non è un caso che gli 800 milioni fatti sparire sotto il naso facciano parte proprio del cosiddetto piano Romani da 1,47 miliardi per lo sviluppo della banda larga. A completare il quadro ci ha pensato in mattinata il presidente dell’Agcom, Corrado Calabrò, che, dopo aver premesso che si aspettava il taglio, ha voluto sottolineare che «l’intervento della Cassa depositi e prestiti resta prezioso». Il riferimento è ovviamente all’ipotesi della società delle reti gestita dalla Cdp. Il progetto è stato rilanciato anche recentemente dal presidente della Cassa Franco Bassanini che prevede, come passaggio obbligato, lo scorporo della rete fissa di Telecom.

libero-news.it

Piazza Affari si accende sui risultati di Telecom

Franco Bernabé va dritto per la sua strada, conferma gli obiettivi di redditività e promette che l’operazione Hansenet non avrà alcun effetto sui dividendi. Ma quando il dossier della controllata tedesca è arrivato sul tavolo del cda di ieri un po’ di tensione si è fatta sentire. La cessione della società a Telefonica è passata nel cda a maggioranza dei presenti, con l’assenza degli spagnoli Cesar Alierta, Julio Linares (prevista dalle norme sulle operazioni tra parti correlate) e con il mancato voto favorevole del consigliere indipendente Luigi Zingales. La vendita è stata chiusa per un importo di 900 milioni e l’ad ha spiegato che l’operazione non influirà sulla politica di distribuzione agli azionisti e permetterà di ridurre il livello di indebitamento. Ma l’impatto sui conti ci sarà, ha ammesso il numero uno di Telecom, visto che al momento dell’acquisto le condizioni del mercato erano completamente diverse. È proprio questo il punto che ha scatenato la forte polemica di Marco Fossati, che attraverso la Findim controlla il 5% di Telecom. Secondo l’ex patron della Star la controllata tedesca non poteva essere ceduta a un valore inferiore a 1,5 miliardi. In effetti, come ha detto lo stesso Bernabé, i primi nove mesi del 2009 vedono i ricavi del gruppo in calo del 6,2% a 20 miliardi e un utile netto a 1,1 miliardi (-33%) «principalmente per effetto della svalutazione dell’avviamento attribuito ad Hansenet per 540 milioni al fine di ricondurre il valore di carico di Hansenet al relativo valore stimato di vendita». Ma restare competitivi sul mercato tedesco, secondo il manager, avrebbe richiesto investimenti impegnativi a fronte di ritorni incerti. Ragionamento che deve aver convinto anche Roland Berger e Paolo Baratta, i due consiglieri indicati da Fossati, che malgrado le proteste dell’imprenditore hanno votato sì alla cessione
In ogni caso, la strategia di Telecom resta quella «di raggiungere gli obiettivi di redditività» e di rimanere «fedeli all’impegno di ridurre il debito e remunerare l’azionariato». La posizione finanziaria netta al 30 settembre di circa 35 miliardi dovrebbe scendere a 34 entro fine anno. Per quanto riguarda la redditività per il 2009 si prevede un margine operativo lordo organico a 9,9-10 miliardi per l’Italia e 3,6 miliardi di reais in Brasile, per il 2010 è prevista la stabilizzazione del mol mentre per il «2011 ci aspettiamo di ritornare a crescere». Sugli spagnoli non c’è alcuna perplessità. Bernabè ha fatto il punto sulle sinergie con Telefonica che al 30 settembre ammontavano a 250 milioni «in linea con il piano 2008-2010 che prevede 1,3 miliardi di sinergie». Parole e numeri che sono piaciuti ai mercati. I titoli Telecom, dopo essere arrivati a guadagnare il 6%, hanno infatti chiuso la seduta in rialzo del 2,14% a 1,143 euro. Il gruppo ha infine comunicato che nel corso del terzo trimestre Pirelli ha azzerato la sua partecipazione, vendendo tutte le azioni. Mentre dall’associazione dei piccoli azionisti, Asati, arrivano indiscrezioni relative ad una nuova struttura organizzativa allo studio in cui non troverebbe spazio Stefano Pileri, attuale direttore generale Technology & Operations, che avrebbe quindi rassegnato le dimissioni. Ma al momento le voci non trovano conferme.

libero-news.it

giovedì 5 novembre 2009

Fiat rilancia Chrysler coi soldi pubblici

Maglioncino blu d’ordinanza e sorriso delle grandi occasioni. Sergio Marchionne è stato accolto sul palco dal nuovo presidente di Chrysler Robert Kidder, che lo ha salutato come «l’uomo capace con il suo team di reinventare il marchio e farlo riemergere più forte di prima». Il manager, ha aggiunto, «sta reinventando il modello di business di Chrysler in uno con vere economie di scala globale, con una forte attenzione ai marchi». È iniziata così, in aria di beatificazione davanti ad una platea di 450 persone (tra cui John Elkann), la lunga giornata del manager in terra d’America.
Ventuno modelli entro il 2014 e tre piattaforme in condivisione con Fiat. Sono questi i due punti principali del piano quinquennale di rilancio della Chrysler presentato dall’ad nel quartier generale di Auburn Hills. Presenti analisti finanziari, rappresentanti dei sindacati e del governo (in qualità di azionisti del colosso di Detroit), autorità locali e giornalisti. Regina della kermesse una 500 azzurra come la maglia della nazionale di calcio, in mezzo a Jeep e Grand Cherokee.
«È una grandissima giornata per Chrysler e per la sua squadra, che sta lavorando con passione e spero che darà vita a un’azienda dinamica e competitiva», ha detto Marchionne, che poi ha scherzato: «Mi sento come il quinto marito di Zsa Zsa Gabor, so cosa devo fare, ma non so se riuscirò a renderlo interessante».
Al di la delle battute, l’ad ha voluto sottolineare il percorso virtuoso avviato dal gruppo. La società, ha spiegato, «è stata parsimoniosa»: ha registrato il pareggio operativo e da giugno ha aumentato la propria liquidità di 1,7 miliardi di dollari raggiungendo i 5,7 miliardi di liquidità a fine settembre. Per mantenere l’equilibrio di bilancio il colosso di Detroit ridurrà da undici a sette le proprie piattaforme, tre delle quali saranno condivise con Fiat. «Nessuno prende lezioni da nessuno, è un lavoro fatto assieme», ha poi tenuto a precisare il vicepresidente del Lingotto, Elkann.
Nel management della casa automobilistica Usa, in ogni caso, regna l’ottimismo. A cinque mesi dalla chiusura del procedimento per bancarotta, la fiducia del board di Chrysler nella possibilità di tornare ad essere un marchio competitivo è «considerevolmente più forte», ha assicurato Kidder. Il gruppo di Detroit, ha aggiunto un dirigente, ha in programma l'introduzione dei nuovi motori Fiat già a partire dal prossimo anno. Kidder ha spiegato che continueranno gli sforzi per ridurre la capacità produttiva e i costi amministrativi e dei materiali e ha ribadito che l’azienda intende rimborsare il prestito ricevuto dal governo Usa «con la massima velocità possibile». Chrysler avrà anche un nuovo logo aziendale, registrato il 29 settembre. È caratterizzato da un disegno più moderno e da una stilizzazione delle ali attorno all’elemento centrale e non riporta più il marchio ovale al centro ma la scritta Chrysler su fondo blu.
Commentando la decisione di General Motors di mantenere il controllo di Opel, l’ad di Fiat e Chrysler ha infine parlato di «scelta totalmente razionale perché considerando quello che è successo era l’unica soluzione. È una cosa buona per l’Europa perché dovranno razionalizzare le infrastrutture che sono troppo grosse e complesse».
Tra entusiasmi e festeggiamenti, nessuno ha versato una lacrima per il pensionamento annunciato di tutti i modelli storici del marchio (dalle Dodge Viper alle super Jeep), ma una protesta c’è stata, ad alta quota. Due piccoli velivoli hanno sorvolato Auburn Hills con degli striscioni. Su uno si leggeva “Fiat/Chrysler bailout bandit” (salvataggio pirata), l’altro invitava più semplicemente a non acquistare auto Chrysler.

libero-news.it

mercoledì 4 novembre 2009

Sconticino Irap

Dopo i primi, timidi, corteggiamenti sotto il sole di Capri, i due continuano a frequentarsi. Al punto che qualcuno inizia a sostenere che quella tra Gianfranco Fini e Giulio Tremonti sia qualcosa di più di una tregua armata. Ieri il presidente della Camera e il ministro dell’Economia, a pochi giorni dall’intesa sul Sud durante il convegno dei giovani industriali, si sono incontrati per più di un’ora a Montecitorio. Un lungo chiarimento dopo la decisione del presidente di mandare in ferie i deputati per mancanza di “copertura finanziaria” e dopo il braccio di ferro sulla promozione di Tremonti a vicepremier.
I due avrebbero proseguito il dialogo avviato sabato scorso. Ma sul fronte della finanziaria Fini non sarebbe riuscito ad ottenere molto più che vaghe promesse. La risposta del ministro è sempre la stessa: di tagli alle tasse non si parla finché non arriveranno i dati sull’andamento delle entrate. E sbaglia chi pensa che tutto sia appeso ai primi risultati dello scudo fiscale. Malgrado il maggiore gettito derivante dalla sanatoria sui capitali illecitamente detenuti all’estero sia il tesoretto cui tutti fanno riferimento quando si parla di finanziaria, il ministro dell’Economia sa bene che quel gruzzolo sarà il frutto di una misura una tantum e quindi non utilizzabile per coprire tagli strutturali alle tasse.
In realtà, le cifre che Tremonti sta aspettando sono quelle degli acconti Irpef, Ires e Irap che dovranno essere versati entro il 30 novembre. Sarà quella la vera cartina di tornasole per capire se i leggeri segnali di ripresa degli ultimi mesi sono riusciti ad invertire il trend discendente delle entrate. Per ora sul tavolo ci sono le stime di Bankitalia, che prevede un calo a fine anno di quasi il 3% con una riduzione, per la prima volta negli ultimi cinquant’anni, del valore nominale del gettito. Ma, come dice spesso Tremonti, in tempi di crisi le anticipazioni degli economisti sono come le predizioni dei maghi. Per questo il ministro, contando anche sulla martellante campagna mediatica messa in campo da Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza contro l’evasione, non esclude sorprese.
Se i dati smentiranno le previsioni, allora ci saranno sicuramente gli spazi per intervenire, con moderazione, sul fisco. E’ per questo che allo stato appare molto difficile che qualsiasi iniziativa concreta in finanziaria possa arrivare prima del passaggio alla Camera. Ed è quasi impossibile, come si era ipotizzato nelle ultime ore, un blitz sul decreto Ronchi che oggi dovrebbe ricevere il via libera del Senato. Questo non significa, ovviamente, che il Pdl a Palazzo madama accetti di rinfoderare le pistole. Sul piatto ci sono ancora la supermanovra Baldassarri da 40 miliardi, ma soprattutto l’emendamento sottoscritto da Pdl e Lega e non osteggiato dal Pd sul minitaglio Irap da 4 miliardi per le imprese sotto i 50 dipendenti. Nelle ultime ore, con la collaborazione dei tecnici del Tesoro, si sta anche lavorando ad una misura ancora più soft, che peserebbe sul gettito soltanto per 1-1,5 miliardi che andranno sempre ad alleggerire l’imponibile relativo al monte salari. Resta infine, come monito, la ricetta presentata da Emma Marcegaglia durante il convegno di Capri per abbattere la spesa di 15 miliardi. Operazione che renderebbe possibile sia un intervento sull’Irap che sul quoziente famigliare. Anche l’ipotesi del mini-taglio però non sarebbe disdegnata. «Aspettiamo di vedere quale sia l’emendamento», ha detto la presidente di Confindustria, «ma di sicuro sarebbe un primo passo utile».

libero-news.it

martedì 3 novembre 2009

Tregua Fini-Tremonti, ma solo sul Mezzogiorno

Dopo la tregua con Berlusconi e quella col partito, arriva anche quella con Gianfranco Fini. I fucili, intendiamoci, sono ancora puntati. Solo due giorni fa il presidente della Camera aveva avuto parole di apprezzamento per la cabina di regia sull’economia, aggiungendo che non c’era alcuna ragione di promuovere Giulio Tremonti a vicepremier. Ieri, però, complici il sole e la brezza “primaverile” di Capri, il ministro dell’Economia e Fini si sono alternati sul palco dei giovani industriali senza colpi bassi né sgambetti. Anzi, tra i due sono addirittura volati i complimenti. E dire che la giornata non era iniziata nel migliore dei modi.
il modello tedesco
Per giungere all’hotel del meeting il presidente è stato obbligato a percorrere un pezzetto di strada a piedi ed è stato immediatamente assediato dai cronisti. Palesemente irritato per la piccola folla che ha continuato a seguirlo, ad un certo punto è sbottato nei confronti di una cameramen: «Come te lo devo dire, in tedesco, di non rompere?». Appena salito sul palco, però, Fini non solo ha ritrovato la tranquillità, ma ha anche trovato il modo di offrire diversi assist a Tremonti sulle politiche per il Mezzogiorno, guardandosi bene dal toccare temi proibiti come le tasse e l’Irap. «Perché», ha proposto l’ex leader di An, «non pensare, nelle Finanziarie dei prossimi 8-10 anni, con proiezione di sistema, a un costante incremento per tutte quelle eccellenze di tipo tecnologico-scientifico che eventualmente allocate al sud dell’Italia rappresenterebbero una possibilità?». Intervenire in questa direzione, ha spiegato Fini, «ci porrebbe al riparo, tra un po’ di tempo, dall’amara costatazione che il trend italiano, a differenza di altri paesi, vede penalizzati gli investimenti a medio-lungo periodo». Il progetto, ha poi sottolineato per togliere ogni eventuale filo di polemica, vuole essere di ampio respiro e deve essere realizzato «tenendo conto delle risorse nazionali» a disposizione.
La palla è stata raccolta al balzo da un Tremonti che, stando alle indiscrezioni della vigilia, aveva pochissima voglia di venire a Capri a farsi mettere sulla graticola dagli imprenditori, dopo una settimana di fuoco in cui sono piovuti attacchi da ogni dove. E invece, grazie anche ad una buona regia messa in atto dagli sherpa dei vari contendenti, tutto è filato liscio come l’olio. Così, al posto delle pallottole sono arrivati i ramoscelli d’ulivo.
il partito del sud
L’idea di concentrare le risorse del settore della ricerca nei prossimi dieci anni al Sud, ha detto con entusiasmo il ministro dell’Economia, «è straordinaria perché può essere un motore di sviluppo». Aumentare gli investimenti, ha proseguito, «è possibile e necessario». E giù a ruota: «Lo Stato deve fare lo Stato e con Gianfranco non c’è alcun duello, ma un dialogo e io condivido quanto ha detto al congresso fondatore del Pdl e cioè opere pubbliche, legalità e ordine». Mancava solo l’abbraccio. Poi, incamminatosi sul filone delle risorse per il Mezzogiorno, il ministro ha ovviamente rilanciato il suo cavallo di battaglia delle ultime settimane. «Il divario tra Nord e Sud», ha detto, «è inaccettabile» ed è anche per questo che il governo ha già messo in campo alcune iniziative concrete, a «partire dalla creazione della Banca del Sud e da una diversa gestione dei fondi ad hoc». Progetti che potrebbero essere accelerati, ha concluso Tremonti, «se in parlamento» l’intervento annunciato di riduzione dell’aliquota sui capitali depositati in banca che vengono investiti al Sud, dall’attuale 12,5% al 5%, «diventasse un emendamento alla finanziaria». Altro che Irap.

libero-news.it

La Marcegaglia riscrive la manovra: via gli sprechi e meno tasse

Tremonti duetta con Fini sul Mezzogiorno, ma gli imprenditori non mollano la presa sulla tasse. Anzi, Emma Marcegaglia si è presentata a Capri sul palco dei giovani imprenditori con una proposta fortemente ispirata alla contromanovra di Baldassarri, ma rimodulata ed ammorbidita in modo tale che per il governo sarà ancora più difficile respingerla. Il nocciolo è identico a quello su cui i finiani e tutto il Pdl si preparano a dare battaglia la prossima settimana al Senato, i tagli alla spesa improduttiva, ma l’entità complessiva è molto più abbordabile dei 40 miliardi messi in campo dal presidente della commissione Finanze. Conti alla mano, la presidente di Confindustria propone una manovra da 15 miliardi, di cui 4 potrebbero arrivare accorpando province e prefetture e 11 mettendo a punto gli acquisti della pubblica amministrazione. E per dare ancora più forza al pressing sul governo la Marcegaglia chiede un patto, «un avviso comune tra imprese e sindacati» (raccogliendo in tempo reale l’adesione di Cisl e Ugl) e «sforzi da parte di tutti». Perché la crisi, avverte, impone «scelte di riforma importanti, anche impopolari, anche difficili». E va deciso ora «se il nostro è un Paese che resta indietro rispetto a Francia e Germania» che hanno fatto scelte con «meno rigore ma più attente alla crescita». Poi, nel tentativo di ritrovare il dialogo col ministro, la Marcegaglia aggiunge di avere colto da Tremonti «aperture importanti sulla spesa pubblica improduttiva». Anche sulla proposta del ministro di finirla con la moltiplicazione dei fondi per le aree sottosviluppate e pensare piuttosto a «un solo Fas meridionale con dentro i crediti di imposta» la Marcegaglia tende la mano: «Si può fare, facciamolo». Sulla Banca del Sud, però, Confindustria non fa sconti: «È un progetto che può dare un contributo se si muove in logiche privatistiche. Ma di carrozzoni non ne vogliamo».

libero-news.it

Industriali in pressing su Tremonti: tagli alla spesa per abbassare l’Irap

Il vero match ci sarà oggi, con Giulio Tremonti che dovrà respingere il doppio assalto del presidente della Camera, Gianfranco Fini, e del numero uno di Viale dell’Astronomia, Emma Marcegaglia. Ma ieri i giovani di Confindustria, riuniti a convegno a Capri, hanno decisamente scaldato il terreno. A partire dalla presidente, Federica Guidi, che nella relazione d’apertura ha sposato la linea su cui il PdL sta dando battaglia al Senato. «Da 15 anni», ha detto la Guidi, «si dice che la pressione fiscale in Italia è eccessiva. La riduzione va conciliata con una politica di rigore che credo, giustamente, Tremonti ha fatto fino a oggi». Il tema, ha proseguito, «è quello della spesa pubblica improduttiva».
È lì insomma, come sostiene da tempo l’economista finiano Mario Baldassarri, che si può trovare la copertura. Ma l’affondo più duro è arrivato dalla vicepresidente dei costruttori europei, Luisa Todini, che dopo aver dichiarato di aver pagato quest’anno una quota di Irap più alta degli utili, ha tuonato: «Non sono mica una pazza che vuole impedire il rigorismo di Tremonti, però questa tassa non ci permette di essere concorrenziali come gli altri e costringe le imprese italiane ad andare all’estero. È paradossale». Stesso ragionamento arriva da Antonio Tajani.
«Rigore e riduzione della pressione fiscale non sono scelte antitetiche», ha spiegato il vice presidente e commissario Ue ai Trasporti al convegno dei giovani industriali a Capri. «La scelta di politiche improntate al rigore infatti sono necessarie», ha proseguito, «per evitare un’impennata del debito pubblico ma questo può essere combinato con una riduzione intelligente della pressione fiscale». E sulla necessità di tagliare la spesa ha insistito anche Lorenzo Bini Smaghi.
«Come tutte le riduzioni delle tasse, vanno compensate da riduzione di spesa che non comportino un onere per le future generazioni». Il membro del board della Bce ha però avvertito il governo di tenere giù le mani dallo scudo fiscale. Il gettito proveniente dal rientro dei capitali all’estero è infatti «una tantum, mentre la spesa corrente è per sempre. E gli equilibri finanziari sono indispensabili per la ripresa economica sostenibile dell'Italia».

libero-news.it

Quattro miliardi di Irap in meno. Anche la Lega dà il via libera

Chi aspettava che la guerra sulle tasse si fosse conclusa con la tregua tra Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi dovrà ricredersi. Il conflitto è appena iniziato. Anzi, è ripartito. Con la differenza che Lega, prima disposta a far traballare il governo pur di difendere il ministro dell’Economia, ora ha deciso di salire sul carro dell’Irap. E di dare battaglia insieme al PdL. Il riposizionamento degli schieramenti in campo si è concretizzato ieri in commissione Bilancio con la formalizzazione dell’emendamento alla Finanziaria sul mini taglio all’Irap. Un nutrito gruppo di senatori ha infatti messo nero su bianco un testo che propone una riduzione dell’imposta fino a 4 miliardi prevedendone la deducibilità integrale per le imprese sotto i 50 dipendenti e parziale per quelle più grandi. La copertura proposta viene dalla trasformazione in crediti di imposta di 6 dei 24 miliardi di trasferimenti erogati dalle amministrazioni alle imprese a fondo perduto sia in conto capitale sia in conto corrente. Le risorse vanno per 2 miliardi ai nuovi crediti di imposta, liberando così 4 miliardi da utilizzare per l’Irap. Sotto al provvedimento, oltre a quella dei finiani e degli ex Forza Italia c’è anche la firma del Carroccio.
l’incontro con letta
L’allargamento del fronte non ha però intimorito il governo. Il nodo, spiega il viceministro Giuseppe Vegas - che sta seguendo il provvedimento per il governo e ieri ha incontrato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta - «resta sempre quello della copertura». «Per adesso», prosegue, «non ci sono le condizioni finanziarie soprattutto per quanto riguarda la copertura delle minori entrate che derivano dall’agevolazione fiscale».
Come finirà è difficile dirlo. Per ora, nessuno dei due contendenti vuole andare allo scontro. La maggioranza ha infatti accettato di rinviare le ostilità alla discussione in aula. Dopo una riunione tra maggioranza, esecutivo e presidente della commissione Bilancio, Antonio Azzollini, la soluzione concordata è quella della bocciatura tecnica dell’emendamento, l’unico modo per consentire ai senatori di ripresentare il testo in Aula e riaprire la discussione. Neanche la Lega vuole alzare troppo i toni. «Tutto quello che può essere fatto», sintetizza il ministro Roberto Calderoli, «lo si farà dopo aver trovato le risorse». D'altra parte, il taglio dell’Irap «garantirebbe più posti di lavoro, è una prevenzione a disoccupazione e cassa integrazione. Ne discuteremo nel governo ma l’ultima parola spetta all’Economia e a Berlusconi».
niente passi indietro
Di sicuro, però, la maggioranza non farà passi indietro. «Accetto la bocciatura tecnica in Commissione dell’emendamento», spiega il presidente della Commissione finanze del Senato, Mario Baldassarri, autore della contromanovra, «ma in Aula chiediamo che sia discusso tutto il pacchetto degli emendamenti». Netta anche la posizione di Maurizio Gasparri. «Il percorso della Finanziaria», promette il capogruppo Pdl al Senato, «si concluderà certamente con la riduzione delle tasse per le imprese e le famiglie. Ci sarà anche la riduzione dell’Irap». Le cose potrebbero complicarsi se sulla proposta dovesse convergere l’opposizione. Il Pd, dice il neo segretario Pier Luigi Bersani, «è d’accordo», a patto che rientri in un pacchetto di misure anti-crisi. La stessa linea di Udc e Idv. Dal fronte delle imprese si è fatta sentire Emma Marcegaglia. «Germania e Francia», ha detto la presidente di Confindustria, «stanno tagliando le tasse - non farlo anche in Italia creerebbe un problema di competitività per le nostre imprese». Dagli artigiani di Mestre arrivano invece i numeri della proposta. Il taglio dell’Irap, secondo la Cgia, potrebbe portare ad un risparmio, per quasi 4,5 milioni di aziende pari al 99,2% delle imprese italiane, tra 1.000 e 1.200 euro per le piccole e micro realtà produttive con meno di 50 dipendenti.

libero-news.it