martedì 10 novembre 2009

Da Repubblica a Epifani. Sconfitti i catastrofisti

Non ci voleva proprio questa sortita dell’Ocse. Per chi da mesi continua a battere i tasti del catastrofismo, per chi fino a ieri si è impegnato a smascherare le frottole di Berlusconi, per chi si è sgolato nel tentativo di dissipare il fumo venduto dal governo, il colpo di reni dell’Italia certificato dall’organismo internazionale è davvero una brutta sorpresa.
Una doccia gelata per Guglielmo Epifani, che solo un paio di giorni fa, sulle colonne dell’Unità, si chiedeva: «Perché non si vuole parlare della crisi, perché si vuole tacere la realtà, perché la si relega ai margini dell’attenzione dell’opinione pubblica, e perché questo avviene solo in Italia?»
Scontata la risposta del segretario della Cgil: «Se Berlusconi ha detto alcuni mesi fa che il peggio era passato e oggi afferma che la crisi è già finita, evidentemente i giornali e le tv più sensibili agli interessi del governo non possono raffigurare quello che sta avvenendo nel Paese, preferiscono parlare d’altro».
E che dire di Tiziano Treu, che l’economia la conosce e la mastica da tempo? Anche lui si è impegnato con forza. «Svelate le bugie del presidente del Consiglio», ha tuonato qualche settimana fa alle agenzie di stampa il senatore del Pd. Ancora una volta, denunciava l’ex ministro del Lavoro del primo governo Prodi, «le informazioni vere sulle condizioni del Paese le apprendiamo da Bankitalia mentre il governo continua a sottovalutare la gravità della crisi e in particolare quella dell’occupazione».
Il consiglio? «Prendere atto di questa situazione, come hanno fatto gli altri Paesi, anziché limitarsi a galleggiare come fa l’esecutivo».
Ma i dati dell’Ocse hanno colto alla sprovvista anche gli osservatori più acuti. Pensate a Cesare Damiano, anche lui ex ministro del Lavoro, ma del secondo governo Prodi, che a settembre commentava: «I dati dell’Istat indicano un drastico calo di ordini e di fatturato. I timidi segnali di ripresa tanto enfatizzati dal governo sono miseramente smentiti». Simile a quello di Treu l’invito rivolto a Palazzo Chigi: «È ora che il governo se ne renda conto.
La delusione più grande sarà però quella dei colleghi di Repubblica, che non hanno mai smesso, tra una domanda e l’altra, di rassicurarci che dalla crisi, checché ne dica il Cavaliere, ne usciremo forse nel 3020. «C’è un governo», spiegava alla fine di ottobre il vicedirettore del quotidiano, con un’ottima formazione economica, Massimo Giannini, «che, a parte i rifiuti a Napoli e l’avvio della ricostruzione a L’Aquila, giace inerte di fronte alla più grave recessione del dopoguerra».
Un governo, proseguiva, «che non ha fatto nulla per le famiglie, e quasi nulla per le imprese». Ed ecco il punto, lo smascheramento delle bugie: «In questi venti mesi di galleggiamento, ci ha raccontato un alibi e una favola. Il primo: non possiamo far molto, il rigore dei conti pubblici ci impedisce grandi manovre. La seconda: reagiamo meglio alla crisi, e ne usciremo più forti di altri».
Alla mazzata dell’Ocse si può comunque sopravvivere. C’è chi non si è perso d’animo e c’è anche chi ha già ritrovato il piglio giusto. «Ci sono o no 100 miliardi in più di debito pubblico realizzati da questo governo nell’ultimo anno? Ci sono o no centinaia di migliaia di disoccupati?», si è chiesto ieri l’onorevole del Pd Francesco Boccia. «Le stime dell’Ocse», ha spiegato, «non parlano di tutto questo: i ministri che festeggiano l’uscita dal tunnel della crisi non conoscono i problemi degli italiani, delle nostre imprese e delle nostre famiglie».

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