martedì 3 novembre 2009

Moretti mette il turbo ai treni. Il governo rallenta la sicurezza

Verona-Roma in 3 ore, Venezia Mestre-Roma in 3 ore e 15 minuti, collegate ogni giorno da 32 Frecciargento. Ma anche 72 Frecciarossa tra Milano e Roma per viaggiare in 2 ore e 45 minuti tra Rogoredo e Tiburtina e in 2 ore e 59 tra Centrale e Termini. Tutto si può dire tranne che Mauro Moretti non abbia messo il turbo. I nuovi servizi dell’Alta velocità illustrati dall’ad delle Fs non saranno proprio «un sogno che si avvera», come ha detto trionfalmente l’ingegnere, ma di sicuro sono un bel passo avanti verso un sistema ferroviario di stampo europeo.
Tutt’altra la musica, e la velocità, con cui si procede sul fronte della sicurezza. E qui, per quanto Moretti pigi sull’acceleratore, i risultati non sono ancora del tutto soddisfacenti. Certo, le Fs hanno le tecnologie più avanzate d’Europa e investono moltissimo nel settore, ma di fronte agli incidenti che hanno occupato le cronache estive, culminati con il drammatico deragliamento di Viareggio che ha provocato 32 morti, non ci si può non chiedere se si debba e possa fare di più. E la domanda se la sono fatta anche al ministero delle Infrastrutture, come abbiamo raccontato ieri su Libero. Il problema è che sulla questione sicurezza neanche il governo ha tutte le carte in regola.
Questo almeno è quello che risulta da un documento interno dell’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, l’ente creato poco meno di due anni fa per superare l’anomalia di un gruppo che effettuava la vigilanza su se stesso attraverso la controllata Rfi.
La nascita dell’Agenzia, istituita ad agosto 2007, fu presentata in pompa magna come una rivoluzione. Ma per farla diventare operativa il governo ci ha messo quasi un anno, fino al giugno 2008.
Pronti, via? Macché, manca il personale. Sulla carta l’organico della neonata agenzia dovrebbe essere di 300 persone. In pratica, si legge nel documento, l’Ansf «ha avviato la propria operatività, avvalendosi di circa 100 persone provenienti in gran parte da Rfi ed in minima parte dal ministero delle Infrastrutture». Questo perché «nelle more del conseguimento dell’autonomia gestionale e finanziaria, un regime di “prima applicazione” non può che avvenire grazie a quel personale qualificato che già si occupava di sicurezza dell’esercizio ferroviario». Il problema è che il regime di prima applicazione ancora dura, perché il governo non ha provveduto ad emanare i provvedimenti necessari. Qualcosa si è mosso solo poche settimane fa con il decreto Ronchi, di cui in questi giorni il Senato sta discutendo la conversione in legge. Ebbene, nel dl si stabilisce che, «nelle more della definizione del comparto di contrattazione collettiva, al personale dell’Agenzia può essere attribuito il trattamento giuridico ed economico attribuito al personale dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza al Volo. Insomma, un’altra misura tampone.
Nel frattempo a lavorare all’agenzia non c’è quasi più nessuno. Ad oggi, si legge nel documento, «27 delle 103 persone inizialmente assegnate all’Agenzia hanno optato per il rientro nei ranghi del Gruppo FS, a cui si devono aggiungere 5 pensionamenti o dimissioni». Ne dovevano arrivare altri 34, già selezionati lo scorso inverno sempre dalla Rfi, ma nessuno si è fatto vivo. Risultato, l’Ansf dovrebbe vigilare tutta la rete italiana con un pugno di uomini che tra l’altro «continua a rimanere nell’organico del Gruppo FS e deve, al tempo stesso, esercitare funzioni di controllo su società o strutture dello stesso Gruppo». Circostanza, sottolinea l’Agenzia, che costituisce «una fattispecie di incompatibilità che non può non sollevare perplessità».

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