giovedì 13 febbraio 2020

Il governo amico della Ue ingoia il riso cambogiano

Riso amaro. La battuta è scontata, ma calzante. Perché dietro la decisione della Ue di escludere il cereale italiano dall’inasprimento dei dazi europei nei confronti della Cambogia non c’è solo l’ennesimo sgambetto di Bruxelles, a cui siamo abituati da tempo, ma c’è anche la beffa che a ricevere la fregatura è il governo che la scorsa estate si era presentato come l’esecutivo che nei palazzi dell’euroburocrazia si muoveva meglio che a casa propria, la maggioranza con cui la Ue non vedeva l’ora di dialogare dopo gli attriti e i duelli con quel bruto di Matteo Salvini.

Ricordate Roberto Gualtieri, che prima di insediarsi a Via XX Settembre si vantava di essere considerato uno degli esponenti più influenti dell’Europarlamento? Ricordate le sviolinate della Commissione Ue, le grandi aspettative verso la nostra quinta colonna Paolo Gentiloni, autorevole guardiano degli interessi italiani nelle decisioni politiche del Vecchio Continente?
Ebbene, giunti al dunque, la fregatura è arrivata lo stesso. E non a sorpresa, ma contro le esplicite richieste del governo che, sotto il pressing di Lega e Coldiretti, di cui <CF2711>Libero</CF> ha ampiamente dato notizia nei giorni scorsi, solo qualche giorno fa aveva scritto direttamente al commissario al Commercio Phil Hogan per evitare scherzi. «Come sai», aveva scritto la ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, «verrà sottoposta all’attenzione del collegio dei commissari la proposta con la quale la Commissione intende avviare la procedura di ritiro temporaneo delle preferenze tariffarie accordate alla Cambogia. Ma nella lista dei prodotti non compare il riso». Una “dimenticanza” che rischia di costare all’Italia oltre 150 milioni  l’anno per l’invasione di cereali cambogiani a prezzi stracciati. Insomma, aggiungeva la Bellanova, «dalla scelta dipende il futuro della risicoltura europea e italiana in particolare (che vale il 50% di tutta quella Ue)».

Tutto a posto? Macché. La revoca (che scatterà ad agosto) delle tariffe agevolate per le violazioni gravi e sistematiche dei principi e dei diritti umani in Cambogia varata ieri comprende decine di prodotti, ma non il riso. Per la Commissione europea «si tratta di una decisione equilibrata e calibrata» per non danneggiare eccessivamente la popolazione cambogiana. Anche perché il riso «sta beneficiando dal 2019, e per tre anni, della clausola di salvaguardia europea».
Vero. Peccato, come spiega il presidente nazionale di Ente Risi, Paolo Carrà, che la clausola sia applicata solo al riso Indica lavorato, mentre la Cambogia sta esportando anche tonnellate di Japonica (pregiato riso per risotti) e di semigreggio Indica. Senza contare che davanti ai giudici europei pende la richiesta del governo cambogiano di annullare la salvaguardia voluta da Roma.
E non è tutto. Sempre ieri, infatti, è stato dato il via libera definitivo all’accordo di libero scambio tra Ue e Vietnam che comporterà l’ingresso a dazio zero di 80 mila tonnellate. Il combinato disposto spezzerà le gambe alla produzione nostrana. A partire da quella degli agricoltori lombardi, da cui arriva il 42% del riso italiano, e di quelli piemontesi. Di qui la furia dei governatori Attilio Fontana e Alberto Cirio. Ma a protestare ci sono un po’ tutti. Dalla Lega a Fdi, dalla Cia a Confagricoltura fino a Coldiretti. Persino Luigi Di Maio si è mosso per denunciare il torto. Gli unici a restare in silenzio sono quelli del Pd, amici fedeli  dell’Europa che ci prende a ceffoni.

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