martedì 11 febbraio 2020

Il governo si accorge del virus

Il coronavirus è sbarcato a Palazzo Chigi. Nessun contagio, per carità. È solo che il governo, ad un mese dalla prima vittima in Cina e a dieci giorni dai casi accertati in Italia e dall’allarme globale lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità dopo l’esplosione di focolai in ogni angolo del pianeta, si è finalmente accorto che l’epidemia è una roba seria. Un’emergenza che non si risolve abbracciando bambini cinesi o facendosi selfie  a tavola con due involtini primavera e qualche raviolo al vapore, ma prendendo provvedimenti urgenti e valutando attentamente i rischi, sia quelli relativi alla salute sia quelli legati alle ricadute economiche per le nostre imprese.

Nulla di tutto questo, ovviamente, è uscito dal vertice presieduto dal premier Giuseppe Conte con i titolari dei ministeri maggiormente coinvolti e il capo della Protezione civile. Sul fronte sanitario l’esecutivo ha annunciato che «continuerà a perseguire una linea di massima precauzione con l’obiettivo di assicurare la tutela della salute di tutti i cittadini». Su quello economico è stata invece avviata «un’istruttoria per l’adozione di misure di contenimento degli effetti negativi dell’emergenza sul sistema produttivo». Buoni propositi a cui si sono aggiunti quelli del ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli (non invitato al vertice), che ha promesso per giovedì un pacchetto di proposte per aiutare le imprese.

Pasticci e acqua fresca
La realtà è che, ad oggi, al di là delle chiacchiere e degli appelli alla solidarietà e alla non discriminazione della comunità cinese, gli unici provvedimenti decisi dal governo sono il blocco dei voli diretti dalla Cina (siamo l’unico Paese Ue ad averlo disposto), che ha fatto infuriare Pechino, sta mettendo in ginocchio il nostro settore turistico e non ha impedito che soggetti a rischio (come i turisti di Taiwan risultati positivi al virus) continuassero a scorrazzare indisturbati per la nostra Penisola, e la quarantena “volontaria” per gli studenti rientrati dalle zone colpite, brutta e inutile copia (tra l’altro la circolare ministeriale destinata alle famiglie non è neanche tradotta in mandarino) della proposta fatta la scorsa settimana, tra gli insulti della maggioranza giallorossa, da alcuni governatori leghisti del Nord.
Insomma, un pasticcio e un po’ di acqua fresca. Passi per la seconda, ma il primo potrebbe provocare danni non trascurabili. Sotto il profilo diplomatico la tensione è altissima. Il ministero degli Esteri cinese ha reiterato il suo appello a evitare «misure eccessive» e ha ammonito l’Italia a «valutare la situazione in modo obiettivo» e a «rispettare le raccomandazioni autorevoli e professionali dell’Organizzazione mondiale della sanità». Parole che non preannunciano nulla di buono per i rapporti con uno dei nostri principali partner commerciali (l’interscambio nel 2018 ha sfiorato i 45 miliardi di euro) e che stanno agitando non poco il mondo imprenditoriale italiano. Per nulla contento dell’azione del governo è anche il governatore del Veneto Luca Zaia, che ha definito il coronavirus un secondo cataclisma per Venezia dopo l’alluvione: «Il blocco degli aerei e tutto quello che ne deriva deprime ancora di più gli arrivi, spero che si torni presto alla normalità e che si intervenga dal punto di vista finanziario per sostenere l’industria del turismo».

Dal papeete all’epidemia
Ma non è finita. All’inadeguatezza con cui il governo si è attivato per fronteggiare l’emergenza si aggiunge ora la grande beffa del fattore imprevedibile che giustifica qualunque fallimento. Ad indicare la strada è stato ieri Roberto Gualtieri. Dopo aver promesso forme di sostegno all’export delle aziende penalizzate dal coronavirus, in che modo ancora non si sa, il ministro dell’Economia ha reagito al brusco crollo della produzione industriale registrato dall’Istat a dicembre spiegando che il peggio sarebbe alle spalle se non ci fosse stata l’esplosione dell’epidemia. «Il 2020», ha detto, «è iniziato con un significativo miglioramento a gennaio anche se il trend potrebbe interrompersi in febbraio, a causa del coronavirus».
Insomma, se le cose nei prossimi mesi andranno male non sarà per le tasse introdotte dal governo, per l’assenza nella manovra di qualsiasi stimolo allo sviluppo, per i 150 tavoli di crisi che non si riescono a risolvere, per il disastro dell’Ilva e il mancato salvataggio dell’Alitalia. Tutt’altro. La colpa sarà dell’epidemia, che sta azzoppando la grande ripresa messa in moto dal Conte bis e costringerà l’esecutivo ad un’altra bella finanziaria emergenziale. Insomma, si passerà dal conto del Papeete a quello del coronavirus.

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