sabato 14 novembre 2009

Già finita la tregua fra Tremonti e il Pdl

Sul luogo del delitto si torna sempre. E così ha fatto Giulio Tremonti, che ieri si è ripresentato a Palazzo Chigi per una riunione lampo del Consiglio dei ministri convocata per approvare la variazione di bilancio dopo il passaggio della Finanziaria al Senato. Tutto è filato liscio visto che era lo stesso ministro dell’Economia a presiedere la riunione, insieme a Gianni Letta. Solo 24 ore prima, però, in quelle stesse stanze lo “spigoloso” Tremonti, come lo definì qualche tempo fa Claudio Scajola, aveva sfiorato la rissa con i colleghi di governo. «Non ti avvicinare o ti prendo a calci», ha detto rivolto a Renato Brunetta. «Vado via sennò gli alzo le mani», è stata la reazione di Stefania Prestigiacomo. Alla fine i pugni non sono volati, ma di parole, secondo quanto raccontano i partecipanti, ne sono state sparate parecchie. E non di quelle che rientrano sotto la voce “confronto costruttivo”. Una giornata storta? Macché, la realtà è che la tregua di Arcore è già finita. E per la cabina di regia si stanno attrezzando con i guantoni. L’insofferenza per le “spigolosità” tremontiane, infatti, cresce a vista d’occhio. Storica quella di Brunetta, cui si è rapidamente aggiunta quella di Fitto, della Prestigiacomo, di Maroni, di Romani e, in ultimo, anche di Scajola. Chi frequenta Palazzo Grazioli sostiene che pure il Cavaliere stia pian piano colmando la misura. E anche volendo, tra un po’ le file degli scontenti saranno così grosse che non sarà più possibile tenerle. Il superministro dell’Economia, però, non sembra avere alcuna intenzione di cambiare un percorso che lo sta portando verso l’isolamento totale. Anzi, stuzzica e provoca a più non posso. Prima abbassa la testa, finge la resa, promette concessioni al Senato sull’Irap e sulla detassazione degli affitti. Poi manda il sottosegretario Giuseppe Vegas a dire ai senatori che senza scudo non si taglia. Prima fa circolare la voce di un rinvio degli acconti Irap e Ires per dare un po’ di ossigeno alle imprese, poi arriva in Consiglio dei ministri, punta i piedi, cancella l’ordine del giorno e rinvia l’Irpef per le partite Iva. Ieri pomeriggio, al termine della seduta che ha lasciato il Senato a bocca asciutta, ha diffuso una nota dal sapore beffardo: «Il ministro dell’Economia ringrazia i senatori della maggioranza per lo straordinario e responsabile lavoro fatto in questi giorni».
La verità è che Tremonti riesce a giocare con i saldi di bilancio come pochi sanno fare. E finché crisi e dopo-crisi continueranno a tenere banco, la sua abilità nel tenere in equilibrio i conti è come un randello pronto ad essere roteato. Non è un caso che la sua prima uscita pubblica dopo il chiarimento con il Pdl sia stata quella fatta da Bruxelles qualche giorno fa. Forte del via libera della Commissione al “suo” piano di rientro dal deficit il ministro se ne uscito con il diktat: «O io o le pensioni». Roba già detta, ma non sotto forma di ultimatum, come a ribadire che i suoi muscoli, malgrado l’assedio del partito, sono tonici e guizzanti. E sbaglia chi pensa di sconfiggerlo sul suo stesso terreno. Il debito brucia un record negativo ogni mese? Basta sfogliare il bollettino di Bankitalia per accorgersi che sono le entrate a scendere e non la spesa corrente ad esplodere. Se poi la notizia arriva nel giorno in cui l’Istat certifica la ripartenza dell’Italia, sembra chiaro che per mandarlo a casa ci vorrà qualcosa di più dell’antipatia. Per quanto forte possa essere.

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