lunedì 23 novembre 2009

Bruxelles fa infuriare gli operai sardi

Dopo le manifestazioni di piazza, le occupazioni di fabbriche e palazzi comunali, le gru e financo il Colosseo, è arrivata pure la protesta col videomessaggio. Con tanto di operai incappucciati che annunciano il sequestro di un gruppo di dirigenti. A scatenare la rabbia dei lavoratori, come se non bastassero i problemi provocati dalla crisi, è stata la decisione della Commissione europea che, a conclusione di una lunga indagine, ha chiesto al gigante americano dell’alluminio Alcoa (che in Italia impiega circa 2.500 persone) di rimborsare gli aiuti di Stato illegittimi sulle tariffe elettriche. Dura la reazione della multinazionale, che ha annunciato il blocco della produzione. E durissima quella dei lavoratori, che hanno immediatamente proclamato lo stato di agitazione negli stabilimenti di Fusina (Veneto) e Portovesme (Sardegna).
Clamorosa e discutibile la protesta nel Sulcis Iglesiente, dove i dipendenti della fonderia hanno “sequestrato” fino a notte la sede dello stabilimento, compresi il direttore della fabbrica Marco Guerrini, il vice direttore Sergio Vittori e gli altri dirigenti. Tutti trattenuti in assemblea per chiedere “risposte immediate”. Solo a sera i dirigenti sono stati liberati dai lavoratori. Non contenti, alcuni operai avevano anche avuto la poco felice idea di indossare cappucci neri e farsi riprendere dalle telecamere per rivendicare l’occupazione. Bravata che ha ricevuto l’immediata solidarietà del segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero. Più morbide, invece, le iniziative degli operai veneti, che si sono limitati a scendere in strada a Marghera bloccando parzialmente la viabilità. Anche qui, in ogni caso, non è mancato il sostegno politico del sindaco di Venezia, Massimo Cacciari.
La vicenda finita nel mirino della Ue inizia nel 1995, quando l’Alcoa, la cui attività richiede un forte consumo di energia elettrica, concluse con l’Enel un contratto che gli assicurava tariffe fisse per una durata di dieci anni, fino al dicembre del 2005. La Commissione Europea aveva all’epoca autorizzato ciò che aveva assimilato a una «operazione commerciale ordinaria conclusa alle condizioni del mercato». Dal 2006, però, Alcoa ha continuato a beneficiare di tariffe privilegiate, secondo un diverso dispositivo: acquista elettricità dall’Enel a prezzo normale, poi lo Stato italiano rimborsa la differenza con la tariffa storica. È questa pratica che, secondo Bruxelles, si configura come «un aiuto pubblico illegale». L’elettricità fornita a prezzi inferiori a quelli di mercato, infatti, «riduce i costi operativi ordinari del beneficiario e gli consente di vendere i suoi prodotti ad un prezzo più basso oppure realizzando un margine più elevato». L’Italia deve quindi porre fine alla tariffa preferenziale e recuperare gli aiuti già concessi. Integralmente quelli del Veneto. Parzialmente, viste le circostanze specifiche del caso, quelli della Sardegna. L’ammontare da restituire, complessivamente, si aggirerebbe sui 270 milioni. Ma il vero problema è il futuro. Senza le tariffe agevolate, spiegano dall’Alcoa, «diventa difficile sostenere il consumo di elettricità delle due grandi fonderie». I costi aggiuntivi sarebbero di 10 milioni al mese.
Per ora la situazione è in fase di stallo. Dagli States hanno fatto sapere che l’Alcoa si impegna a non intraprendere azioni negative nei confronti degli operai e dello stabilimento di Portovesme, dove la tensione è più forte, per i prossimi 15 giorni. Il 26 novembre ci sarà un nuovo incontro tra Alcoa e rappresentanze sindacali al ministero dello Sviluppo economico. Il governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci, ha invitato tutti «al massimo senso di responsabilità». Mentre l’ex presidente, ora deputato del Pdl, Mauro Pili, si è scagliato contro «l’indisponibilità della Commissione e del monopolio elettrico di Enel e di E.On che rischia di mettere in ginocchio l’intera regione».

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