Quattromila e seicento miliardi di euro in immobili residenziali e tremila e duecento miliardi in depositi bancari, azioni, polizze e investimenti. È in queste due cifre che fotografano la ricchezza degli italiani, più che in raffinate analisi di politica economica e tributaria, che si nasconde il motivo dell’ossessiva insistenza con cui l’Europa germanocentrica ci chiede di tartassare la proprietà. Ci sono fior di studi che sostengono la maggiore efficacia ed equità dei sistemi fiscali che spostano il peso della tassazione dalle persone alle cose. Complicate equazioni che dimostrano la superiorità del balzello sul patrimonio rispetto a quello sul reddito. Ma quello che pensano a Berlino ha poco a che fare con le disquisizioni accademiche.
Qualche mese fa il rigoroso e impeccabile capo della Bundesbank, Jens Weidmann, tra una domanda e l’altra della nostra Lucia Annunziata si è lasciato sfuggire una riflessione che la dice lunga sul substrato scientifico in cui è maturata la profonda convinzione che l’Italia per sistemare i suoi conti pubblici debba al più presto tassare con più decisione la casa. «Sa», ha detto l’economista rivolto alla giornalista, «che è stata fatta una ricerca tra i paesi dell’area euro, nella quale si evidenzia che le famiglie italiane hanno più patrimonio delle famiglie tedesche? Non penso però che qualcuno auspichi un trasferimento di patrimoni dall’Italia alla Germania…».
L’INVIDIA TEDESCA
Eccola qui l’inconfessabile motivazione: una travolgente ed impetuosa invidia per l’inspiegabile ricchezza degli italiani. Una ricchezza sopravvissuta alla crisi, all’incapacità dei nostri politici e persino alla feroce austerity imposta dall’Europa.
Che ai tedeschi non vada giù l’imponente patrimonio degli italiani, che vale all’incirca quattro volte il nostro Pil non è una novità. La notizia cui si riferisce Weidmann, infatti, non è di oggi, ma di quattro anni fa. Ed è contenuta proprio in uno studio della Bce nel cui board siede anche il governatore della Bundesbank. Quando le indiscrezioni sullo studio iniziarono a circolare, il Frankfurter Allgemeine accusò la Banca centrale europea di non voler pubblicare i risultati dello studio perché dai dati emergeva che Cipro, che all’epoca stava per ricevere un pacchetto di aiuti dalla Ue, aveva un patrimonio medio procapite ben più alto di molti dei Paesi che avrebbero dovuto sborsare i quattrini. Ecco la riflessione, testuale, di un commentatore del Frankfurter: «La Bce teme la protesta nei paesi pagatori netti se anche dati ufficiali della Bce provano che i presunti ricchi tedeschi, austriaci, olandesi o finlandesi in realtà non devono aiutare i ciprioti più poveri di loro».
Il messaggio era chiaro. E non riguardava solo Cipro. Nello stesso studio, infatti, si poteva leggere che gli italiani avevano un patrimonio medio pro capite per ogni adulto di 165mila euro, mentre i tedeschi sono a quota 135mila. La scoperta fu già abbastanza scioccante allora. Ma lo è ancora di più oggi, dopo quattro anni di sostanziale recessione. Già, perché gli italiani sono ancora più ricchi dei tedeschi. Loro hanno redditi più alti, meno disoccupazione, produzione industriale alle stelle e poco debito pubblico. Ma sul patrimonio privato c’è poco da fare, è più alto il nostro. I numeri contenuti nell’ultimo rapporto annuale di Credit Suisse “Global Wealth Report” parlano chiaro. La ricchezza per ogni italiano adulto, stimata alla metà del 2017, è di 223mila euro, quella dei tedeschi 203mila. Sul valore mediano, poi, lo scarto è ancora più alto: 124mila contro 47mila.
SFACCIATA RICCHEZZA
Una bella fetta di quella “sfacciata” ricchezza attiene alla sfera finanziaria. Secondo le ultime rilevazioni di Bankitalia il totale delle attività ammonta a 4.168 miliardi, a cui bisogna sottrarre, però, 928 miliardi di passivita. In totale, dunque, 3.239 miliardi, di cui circa un terzo in depositi bancari e il resto in assicurazioni, fondi comuni, azioni e partecipazioni.
Ma non è qui che si concentra l’invidia dei tedeschi. A sgretolare il germanico senso di superiorità sono le nostre case.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istat le famiglie detengono il 92% del valore del patrimonio residenziale abitativo, con un valore che, malgrado la fortissima crisi del mercato immboiliare, è cresciuto tra il 2001 e il 2016 del 76%. Il valore complessivo delle sole case destinate ad abitazione principale o per le vacanze è di 4.632 miliardi.
CASA DI PROPRIETÀ
Una cifra che ai tedeschi è resa ancora più indigesta dal fatto che in Germania, come in gran parte dei Paesi nordici e nel mondo anglosassone, la casa di proprietà è considerata un vero e proprio bene di lusso. Basti pensare che la percentuale di italiani che vive in una abitazione che possiede è del 73%, più alta della media dell’Eurozona (66,6%) e dell’Unione europea (70%). Spagna (77,7%), Grecia (75,8%) e Portogallo (74,2%) ci battono, ma per in contrare la Germania bisogna scendere fino al 52,6%.
Di qui la fissazione che ben conosciamo e che, purtroppo, si prepara a tornare in scena subito dopo il voto. L’avvertimento arrivato un paio di giorni fa dal presidente della commissione Ue, Jean-Claude Juncker, non è che un assaggio. L’Italia è sotto i riflettori e già a primavera arriveranno le nuove raccomandazioni previste per i Paesi con squilibri macroeconomici, tra cui ovviamente il nostro. Inutile aspettare il caldo per sapere cosa ci sarà scritto, considerato che da circa due anni il diktat è sempre lo stesso: l’Italia deve spostare la tassazione dalle persone alle cose. Anzi, dalle persone alle case, inasprendo il prelievo e reintroducendo la gabella anche per le abitazioni principali. La nostra colpa? Aver gestito le finanze private molto meglio di come la politica ha gestito quelle pubbliche.
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