C’era una volta Enrico Cuccia, che ogni mattina percorreva a piedi la strada che separava la sua casa dalla piazzetta che ora porta il suo nome senza aprire mai bocca, seppure incalzato dai numerosi giornalisti che tentavano di carpire una briciola dei suoi segreti. I tanto criticati salotti di Mediobanca, stanze felpate dove si chiudevano operazioni con i controfiocchi senza inutili clamori, sono stati sostituiti dal mercato del pesce, dagli insulti a cielo aperto, dagli sganassoni mediatici.
C’è chi sostiene che questo sia il prezzo da pagare per la trasparenza, per la fine degli accordi sottobanco, dei patti riservati. C’è chi, invece, rimpiange il cosiddetto capitalismo di relazione, con tutti i suoi limiti e i suoi difetti. Certo è che lo scontro pubblico tra francesi (peraltro profondi conoscitori dello stile Mediobanca) e americani per il controllo di Tim ha raggiunto livelli che raramente si vedono financo nelle campagne elettorali.
COLPI DI RANDELLO
Anche ieri, come accade ormai ogni giorno, il duello è proseguito a colpi di randello. Sotto il controllo di Vivendi, la società ha «registrato perdite azionarie profonde (il 35%), fatto ripetuti passi falsi strategici, ha operato senza riguardo per una corretta governance e con numerosi conflitti di interesse», è l’affondo degli americani di Elliott.
«Vogliono smantellare il gruppo», ha replicato il presidente esecutivo di Tim, Arnaud de Puyfontaine, dicendo di non voler «commentare dichiarazioni che sono il contrario della realtà dei fatti e che sono completamente sconnesse da un’analisi tangibile».
Mentre il patron di Vivendi, Vincent Bollorè, ha voluto citare proprio i suoi trascorsi in Piazzetta Cuccia: «Gli investimenti in Italia suscitano critiche. Ma, come si dice in casa nostra, è alla fine della fiera che si contano gli animali. Fu la stessa cosa anni fa quando entrammo in Mediobanca. Bisogna essere coraggiosi».
Sullo sfondo della rissa continua tra gli azionisti stranieri resta l’incognita sul futuro della più importante azienda italiana di telecomunicazioni, proprietaria di infrastrutture strategiche, che certamente non uscirà rafforzata da questo infinito tira e molla. Lo stesso ad Amos Genish, che sembra aver iniziato a giocare in proprio, ha spiegato ieri al Sole24Ore che «un conflitto prolungato tra gli azionisti è molto rischioso e dannoso per la società».
La Borsa, per ora, sembra assistere divertita al match. Ieri il titolo Tim è salito dell’1,48% e quello Vivendi del 3,4%. Ma la partita è appena iniziata e i mercati virano in fretta.
Vivendi, la cui assemblea ieri ha ufficializzato il passaggio di consegne al figlio di Bollorè, Yannick, ha già annunciato che, comunque vada nelle assise del 24 aprile e del 4 maggio, quando si conteranno le azioni, non lascerà la sua quota del 23,9%.
OPPOSIZIONE INTERNA
Il che significa che, in caso di vittoria degli americani, il nuovo cda dovrà fare i conti con una agguerrita opposizione interna che, da sola, ha più dei voti di ciascuna componente del fronte ora guidato da Elliott (che potrebbe arrivare fino al 13%). Sarà determinante, a quel punto, il ruolo giocato dalla Cassa depositi e prestiti, che farà pesare il suo 4,2% di capitale. Ma per capire quale sarà l’orientamento della controllata del Tesoro bisognerà aspettare l’insediamento del nuovo governo. Cosa non proprio dietro l’angolo.
Insomma, esattamente come spesso succede in politica, le elezioni potrebbero rappresentare non il punto di arrivo, ma l’inizio del caos.
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