mercoledì 7 marzo 2018

L'Italia continuerà a crescere alla faccia di questa politica

Il quadro è talmente positivo che la Cgil si è addirittura lanciata in una proposta di aumento degli stipendi. «C’è lo spazio per il miglioramento del valore delle retribuzioni», sostengono dalla federazione guidata da Susanna Camusso. A scatenare l’ottimismo del sindacato rosso è la nota mensile dell’Istat sull’andamento dell’economia italiana, da cui emerge un Paese che senza un esecutivo dotato di pieni poteri sembra aver finalmente ingranato la marcia. E continuerà a correre anche nei prossimi mesi, malgrado lo scenario di stallo politico scaturito dal voto.
Un po’ di anni fa l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, diceva spesso che non sono i governi a decidere le sorti dell’economia. A molti adesso viene il sospetto che non siano solo ininfluenti, ma addirittura deleteri. Dopo i casi di Spagna, Germania e Olanda, che hanno passato mesi con esecutivi di transizione senza alcuna ripercussione, ora anche l’Italia sembra confermare il teorema: l’assenza di iniziativa politica fa bene al Paese.

LIVELLI PRECRISI
I successi inanellati dall’Italia nei mesi trascorsi dallo scioglimento delle Camere parlano abbastanza chiaro. Certo, l’Europa corre molto di più e i livelli precrisi sono ancora lontani, ma il recupero c’è stato. Ed anche sensibile. A gennaio, secondo i dati recente diffusi dall’Istat la disoccupazione giovanile è scesa al 31,5%, ai minimi dal dicembre 2011. La disoccupazione è risalita all’11,1% (era all’11% nel 2012), ma principalmente per la diminuzione degli inattivi. L’occupazione, infatti, è cresciuta dello 0,1% a quota 58,1%, vicina ai massimi del 2008. Ovviamente, ci sono molti più posti precari rispetto a dieci anni fa e il monte ore lavorate è diminuito notevolmente. Ma il cambio di passo rispetto al recente passato c’è.
Stesso discorso per la crescita, con il pil che nel 2017 si è attestato all’1,5% (il dato più elevato dal 2010) e nell’anno in corso è previsto all’1,4%. Bene anche la produzione industriale, cresciuta a dicembre del 4,9%. Una percentuale che ha permesso di chiudere il 2017 al 3%, il valore più alto dal lontano 2010.
Ma ancora più sorprendente è lo sguardo verso il futuro gettato dall’Istat, che ieri, ad urne chiuse e ad incertezza politica straconfermata, ha deciso di non cambiare una virgola della sua nota chiusa prima delle elezioni e ha spiegato che l’economia italiana «mantiene un profilo espansivo». Secondo gli esperti dell’Istituto di statistica «l’indicatore anticipatore rimane stabile su livelli elevati, confermando quindi anche per i prossimi mesi il mantenimento di uno scenario macroeconomico favorevole». Non è però la sola buona notizia: posto che i principali indicatori del mercato del lavoro si sono mantenuti stabili nel quarto trimestre 2017 e che tali dovrebbero rimanere anche le prospettive nei prossimi mesi, a segnare un lieve incremento è stata addirittura la produttività, malattia cronica e apparentemente incurabile del nostro Paese.


SALE LA PRODUTTIVITÀ
Negli ultimi mesi dell’anno, in presenza di aumenti moderati sia delle ore lavorate sia della unità di lavoro, si è infatti osservato un miglioramento utilizzando entrambe le misure, rispettivamente di +0,1 e +0,2 punti percentuali.
Persino le agenzie di rating, una volta sempre pronte a bastonare qualsiasi accenno di incertezza politica, ora sembrano non scomporsi più di tanto. Pur esprimendo qualche preoccupazione rispetto a possibili ripercussioni sul piano fiscale sulle riforme, Fitch, S&P e Moody’s hanno già messo in conto tempi lunghissimi per la formazione di un nuovo governo, senza neanche escludere uno stallo totale che porterebbe a nuove elezioni.
La verità è che l’Italia, esecutivo o no, procede al traino dell’Europa e, soprattutto, della Banca centrale europea. Come ha recentemente spiegato Bankitalia, «seppure in misura minore rispetto al passato», la nostra crescita «è ancora dipendente dal sostegno delle politiche economiche espansive». Insomma, più che stare col fiato sospeso per il prossimo inquilino di Palazzo Chigi dovremmo preoccuparci per il successore di Mario Draghi.

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