giovedì 22 marzo 2018

Sette miliardi nostri buttati nel cesso del Montepaschi

Alla presidenza del Senato andrà Paolo Romani o Anna Maria Bernini? Alla Camera toccherà a Roberto Fico o a Riccardo Fraccaro? Mentre i partiti usciti vincitori dalle urne sono alacremente impegnati a riscuotere il bottino, piazzando i fedelissimi ed occupando le prime poltrone, ieri il Monte dei Paschi di Siena ha perso un altro 3% in Borsa, toccando i nuovi minimi storici.
Certo, la politica c’entra poco, o almeno così dovrebbe essere, con Piazza Affari. Ma questa volta dietro ogni decimale in meno che la banca senese si ritrova sul titolo ci sono un po’ di soldi che se ne vanno dalle nostre tasche.
Già, perché l’unico modo che il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, hanno trovato per salvare la banca mandata a picco dalla malagestio degli amministratori scelti dai boss locali della politica, è stato quello di far acquistare l’istituto dai contribuenti. Per giunta, non a prezzo di favore, ma ad un costo completamente fuori mercato. Per avere un’idea, le azioni sono state comprate a 6,49 euro, mentre le quote in mano ai possessori di bond a 8,65 euro. Oggi il titolo, dopo un crollo del 39% da quando è stato riammesso in Borsa (il 25 ottobre scorso), vale 2,78 euro.

RECUPERO LUNGO
Basta fare due conti per rimanere con i capelli dritti. L’intera banca vale adesso circa 2,2 miliardi. Il governo per rilevarne il 68%, nell’ambito della ricapitalizzazione precauzionale della scorsa estate, benedetta persino da Bruxelles, ha speso 5,4 miliardi. Il risultato è che in un pugno di mesi sono già andati in fumo 3,2 miliardi. Perdite “potenziali” continuano a sottolineare ufficiosamente da Via XX Settembre. Il che è vero, se non fosse che Mps è sull’orlo del precipizio e che il suo stesso amministratore delegato, prontamente confermato alla guida della banca dal governo uscente lo scorso dicembre, ha ammesso di non vedere la luce in fondo al tunnel, dicendo pubblicamente che non è possibile fare previsioni sui conti di quest’anno. «Se qualcuno», ha aggiunto Marco Morelli, «pensa che in pochi mesi si possa tornare alla posizione di qualche anno fa, si sbaglia. Il percorso di recupero dei ricavi durerà tantissimo tempo». Mettendo insieme l’orizzonte lungo, anzi lunghissimo, di una possibile ripartenza, e l’andamento di Borsa, che sta facendo scomparire la capitalizzazione dell’istituto, si capisce bene che la situazione è tutt’altro che rosea. Anche perché la banca non mostra alcun segno di miglioramento. I conti del 2017 sono stati chiusi con una perdita consolidata di 3,5 miliardi e con ricavi in calo del 6% annuo. E solo qualche settimana fa Mediobanca ha rivelato che le cose vanno male anche sul fronte delle sofferenze. La maxi cessione di 26 miliardi di crediti deteriorati, hanno spiegato gli analisti, potrebbe non essere sufficiente a rispettare le nuove regole Bce sui prestiti a rischio. Risultato: Mps dovrà liberarsi di altri 11 miliardi entro il 2019. Il che significa altre rettifiche e altre perdite.

ALTRI QUATTRINI
Come non bastasse, sulla banca pendono ancora cause dei risparmiatori per 730 milioni di euro.
Se a questo si aggiunge che lo Stato ha posto la sua garanzia su emissioni dell’istituto senese per ben 7 miliardi, lo scenario è abbastanza prevedibile: senza un immediato cambio di rotta, i circa 7 miliardi bruciati finora tra aumento di capitale, buchi di bilancio, scudo sui bond e svalutazione delle sofferenze, sono destinati ad aumentare considerevolmente. E l’azionista Tesoro sarà costretto a prelevare altri quattrini dal fondo di 20 miliardi a carico del debito pubblico, che tra l’altro è già stato abbondantemente prosciugato, oltre che per Mps, anche dal salvataggio delle ex popolari venete (5,5 miliardi già sborsati e altri 7 potenziali).
L’argomento dovrebbe essere una priorità per la politica, considerato che per il 12 è prevista un’assemblea che lo Stato potrebbe agevolmente utilizzare per correre ai ripari. Ma le poltrone non possono attendere. Romani o Bernini?

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