venerdì 16 marzo 2018

Debito pubblico da suicidio grazie a economisti del piffero

Certo, il reddito di cittadinanza e la flat tax possono anche non piacere. Le proposte economiche del centrodestra o quelle dei grillini possono anche essere considerate astruse, irrealizzabili o, addirittura, dannose per il Paese. Ma accettare lezioni o, peggio ancora, legittimazioni da chi non si è limitato ai proclami e alle promesse, ma ha messo alla prova sul campo la sua abilità, diventa sempre più difficile, ogni giorno che passa.
Anche perché ogni giorno che passa c’è un numero che ci riporta sotto gli occhi il fallimento delle politiche messe in atto dai governi Renzi e Gentiloni sotto la sapiente regia del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.

DEBITO RECORD
Duemila miliardi e duecentottanta milioni è quello di ieri. Si tratta del livello mostruoso di debito contratto dallo Stato registrato a gennaio. Non si tratta del record assoluto, quello è stato raggiunto lo scorso luglio, con la quota mai vista nella storia di 2.301 miliardi. Ma la cifra (aumentata di 24 miliardi in un solo mese) è comunque sideralmente lontana rispetto a quella trovata nel 2011 dai professori chiamati dal centrosinistra a Palazzo Chigi, con il debito che ammontava a 1.897 miliardi (il 120% del pil). Ed è anche più alta di quella trovata dallo stesso Padoan, sbarcato al governo nel 2014. L’anno precedente si era infatti chiuso con un debito pubblico a quota 2.070 euro (il 129% del pil). In tre anni l’ex capoeconomista dell’Osce è riuscito ad accumulare 210 miliardi di debito in più, portando l’asticella del rapporto col pil al 131,6%. Un dettaglio? Non proprio, visto che gli stessi organismi internazionali a cui ora Padoan & C. si appellano per dimostrare l’inadeguatezza di pentastellati, leghisti e forzisti a governare sostengono da tempo (ieri si è aggiunto anche l’Fmi) che il debito pubblico è la principale fonte di vulnerabilità del nostro Paese, una bomba ad orologeria che mette a rischio la tenuta dei conti pubblici.
E che dire delle clausole di salvaguardia? I professoroni della sinistra continuano a spiegare che le proposte di centrodestra e M5S costano diverse decine di miliardi di euro che l’Italia non si può permettere. Il problema è che non se lo può permettere perché le manovre finanziarie messe a punto da Padoan, e dagli altri esperti che lo hanno preceduto, ci hanno lasciato sul groppone oltre 50 miliardi di aumenti di tasse già contabilizzati nel bilancio. Di cui 12 già pronti a scattare nel 2019 se nessuno disinnescherà gli impegni contenuti nella legge di stabilità varata solo qualche mese fa dal governo Gentiloni. Considerando il combinato disposto del debito e degli incrementi dell’Iva lasciati in eredità dal governo uscente, più che ad una raffinata prolusione di macroeconomia viene da pensare ad una vera e propria trappola per i contribuenti italiani o, se si preferisce, al risultato catastrofico di una gestione della finanza pubblica non particolarmente oculata. Tertium non datur.
Quanto all’Europa, considerato l’argomento forte per delegittimare i vincitori delle elezioni, può essere utile guardare quello che è successo ieri a Francoforte, dove la Bce ha varato le nuove regole sugli accantonamenti obbligatori delle banche per i crediti deteriorati. Solo qualche mese fa  Padoan, ancora nel pieno dei suoi poteri, aveva fatto la voce grossa, sostenendo di essere stato l’unico a porre la questione al tavolo di Bruxelles. «Sono intervenuto sostenendo aspetti di metodo e di merito», spiegava a inizio novembre il ministro dell’Economia, «perché l’addendum va oltre i limiti istituzionalmente definiti dell’azione della Bce». Ancora più duro Matteo Renzi: «Alcuni dirigenti europei del settore bancario ignorano che il loro compito è evitare crisi del credito, non crearle».

STANGATA SULLE BANCHE
Risultato: la Vigilanza dell’Eurotower ieri ha confermato su tutta la linea le proposte già presentate in autunno. Le banche dovranno svalutare integralmente le sofferenze entro due anni, se non garantite, ed entro sette (invece degli otto previsti dalla Commissione Ue), se con garanzie. La stretta riguarderà non solo i nuovi crediti (così come ha proposto Bruxelles), ma tutti i prestiti già concessi e che andranno in default dal primo aprile in poi. L’unica differenza rispetto al vecchio documento è la precisazione che le norme «non sono vincolanti» sotto il profilo formale. Ma lo saranno sotto il profilo sostanziale. La Bce infatti considerà il rispetto di tali regole il prerequisito che le banche devono avere per avviare il dialogo con la Vigilanza nei controlli periodici. Il che significa che per evitare di finire sotto la scure dell’Eurtower le banche chiuderanno di nuovo i rubinetti del credito alle imprese. «Di certo», ha spiegato Confindustria, «un impatto ci sarà, ci auguriamo che non sia tale da incidere sulla ripresa in atto».
Visti i risultati ottenuti per l’Italia dal governo di provata fede europeista, non sarebbe meglio far provare chi nei confronti di Bruxelles ha un atteggiamento di sano scetticismo? Una cosa è sicura: peggio di così, è difficile fare.

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