La corsa contro il tempo ora è per far arrivare materialmente i soldi in tasca ai deipendenti entro febbraio. Qualche giorno prima del voto. Ma vista l’importanza della posta in gioco c’è da scommettere che il governo riuscirà nell’intento.
Dopo il via libera arrivato ieri all’intesa tra Aran e sindacati, per consegnare agli statali gli aumenti previsti (85 euro più gli arretrati, che vanno da un minimo di 370 a 720 euro lordi) dal rinnovo contrattuale manca solo il via libera della Corte dei conti, che dovrebbe arrivare in un paio di settimane. Dopodiché, il contratto è valido e applicabile. Si tratterà solo di predisporre le buste paga. La ministra della Pa, Marianna Madia, ha, ovviamente, sbandierato subito il risultato ottenuto. In tempo reale, subito dopo l’ok del Consiglio dei ministri, ha twittato: «Dopo il Cdm di oggi via libera al pagamento degli arretrati e degli aumenti previsti dal nuovo #contratto per la #PA centrale». In quel «centrale» c’è tutto l’inghippo della mossa governativa, che, un po’ per mancanza di tempo un po’ per la valenza strategica della scelta, ha deciso di privilegiare la trattativa con un solo ramo della pubblica amministrazione, quello guarda caso più vicino alla politica. A ricevere gli aumenti saranno, infatti, solo le amministrazioni centrali, che comprendono chiaramente i dipendenti dei ministeri, quelli delle Agenzie fiscali, dell’Inps e dell’Inail. Si tratta, sostanzialmente, della macchina amministrativa senza la cui collaborazione non solo non si può governare, ma neanche, in caso di sconfitta alle elezioni, fare una seria opposizione.
Certo, si tratta solo di circa 270mila persone su un totale di oltre 3 milioni di statali. Ma tant’è. Per il personale della scuola, quello della sanità, degli enti locali e per le forze armate ci sarà ancora da attendere.
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