C’è un po’ di Nazareno, molto fumo preelettorale e nessun tentativo di fare un po’ di chiarezza sui crac bancari che hanno bruciato decine di miliardi nella relazione approvata ieri dalla commissione d’inchiesta. Tutto, in fondo, si è chiuso com’era iniziato. Con un voto a maggioranza è stato nominato il presidente Pier Ferdinando Casini e con un voto a maggioranza è arrivato ieri il via libera del documento finale. Daniele Capezzone e Andrea Augello, entrambi non ricandidati nel centrodestra, hanno puntato il dito su Forza Italia, sostenendo che se non ci fossero state alcune assenze strategiche (quattro) ad abbassare il quorum i 19 voti favorevoli (dem e centristi) non sarebbero bastati a far passare il testo.
PATTO SEGRETO
A smentire con forza la tesi di un accordo sottobanco col Pd c’è, però, il capogruppo forzista Renato Brunetta, che ad ottobre aveva votato Casini (eletto con 21 voti) e ieri, invece, non ha fatto altro che sbraitare contro il partito di Matteo Renzi, accusato di aver voluto «insabbiare tutto» e di non voler «arrivare alla verita».
Sullo sfondo restano tre mesi di lavoro che, al di là di un seggio al Senato per Casini, sembrano aver portato solo una serie infinita di polemiche e nessun risultato concreto. I nomi dei grandi debitori insolventi delle banche sono usciti solo grazie ad inchieste giornalistiche, l’onnipresenza di Maria Elena Boschi nelle vicende di Banca Etruria precedenti al crac è stata derubricata ad una preoccupazione per il territorio, l’ex patron di Pop Vicenza, Gianni Zonin, è stato scambiato per un passante che nulla sapeva di quello che accadeva bella sua banca. C’è, infine, il ruolo delle authority di controllo.L’imbarazzante scaricabarile di Bankitalia e Consob su chi avesse fatto peggio il suo lavoro alla fine ha prodotto un altrettanto imbarazzante giudizio nella relazione: «Nello scenario che ha caratterizzato l’ultimo decennio, l’esercizio dell’attività di vigilanza non si è dimostrato del tutto efficace».
Nell’espressione, capolavoro democristiano capace di tenere insieme il Renzi che non voleva confermare Visco alla guida di Bankitalia e il Renzi che ora potrebbe aver bisogno della sponda del governatore per restare in sella, c’è tutto il senso della commissione. Nata per tirare la volata all’ex premier in vista delle elezioni e rapidamente trasformatasi in un massacro mediatico, con il caso Boschi-Ghizzoni-DeBortoli che ha tenuto gli italiani per diversi giorni col fiato sospeso, come nelle puntate finali dell’Isola dei famosi.
La relazione è comunque utile per avere un’idea di cosa potrebbe fare il Pd se vincesse le elezioni. Tra le priorità c’è una bella bad bank di Stato. Una società pubblica che si faccia carico di smaltire i crediti deteriorati in pancia alle banche italiane. Come non bastassero i 20 miliardi di debito pubblico già messi a disposizione dal governo per i slavataggi bancari.
LE PROPOSTE
Per il resto, di fronte all’ammissione che, almeno per quanto riguarda la tutela del risparmio, i controlli di Bankitalia e Consob si sono dimostrati «inefficaci», la ricetta dem consiste nel fornire alle due authority le pistole. Appare opportuno, si legge, «valutare la previsione di allargare a Banca d’Italia i poteri investigativi già riconosciuti a Consob e quindi, tra l’altro, il potere di utilizzare la polizia giudiziaria per effettuare accessi, ispezioni e perquisizioni». Anche per Consob sarebbe necessario un maggiore potere regolamentare sui questionari Mifid e sulla «determinazione di limiti al taglio minimo per strumenti finanziari rischiosi». Per evitare altre figuracce istituzionali, poi, si prevede di «garantire costanti ed efficaci scambi di informazioni tra le autorità di vigilanza» prevedendo «l’obbligo». Non poteva mancare, infine, l’ennesima superprocura, competente su tutti i reati finanziari.
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