giovedì 25 gennaio 2018

I dazi di Trump ci servirebbero tanto

Da una parte i balzelli, dall’altra la crescita. Da una parte il presidente del Fondo monetario, Christine Lagarde, che, tra gli applausi del Forum di Davos, suggerisce all’Europa di aumentare ulteriormente le tasse sui redditi più alti e sui patrimoni (leggi case) per aiutare i giovani. Dall’altra il segretario al Tesoro Usa, Stephen Mnuchin, che, guardato malissimo dai papaveri continentali del summit, parla dei «trilioni di dollari» che porterà agli Stati Uniti la riforma fiscale di Donald Trump e dei benefici che questo produrrà nel resto del mondo.
Tra le due visioni a confronto, Angela Merkel non ha alcuna dubbio su dove schierarsi. Il problema, per il Vecchio continente, sono i dazi del presidente Usa. «Oggi, 100 anni dopo la Grande Guerra», ha detto la Cancelliera rivolta a Trump, pur senza mai citarlo, «dobbiamo chiederci se abbiamo davvero imparato la lezione della storia, e a me pare di no. L’unica risposta è la cooperazione e il multilateralismo».

DIBATTITO SURREALE
Una tesi sposata, manco a dirlo, anche dal nostro premier uscente. «Rispetto l’America First», ha detto Paolo Gentiloni, «ma, come europei e italiani, dobbiamo evidenziare il fatto che rispettare e proteggere gli interessi dei cittadini statunitensi, che è corretto, non può significare che noi mettiamo in discussione l’intelaiatura delle nostre relazioni commerciali».
Un dibattito surreale, quello che si è tenuto ieri a Davos. Alla vigilia dell’arrivo nella cittadina svizzera del presidente Usa, che con il suo taglio di tasse sta letteralmente facendo decollare l’economia americana, i vecchi politici della Ue non hanno trovato di meglio che puntare il dito sulle politiche protezioniste (che fra l’altro molti economisti non disdegnerebbero per l’Italia), senza neanche fermarsi un secondo a pensare a quello che sta succedendo dall’altra parte dell’Oceano.
«L’economia Usa potrebbe arrivare ad espandersi del 4% nel 2018. Ci ritroveremo qui tra un anno e saremo preoccupati che l’inflazione e i salari stiano salendo troppo», ha profetizzato Jamie Dimon, ridicolizzando il chiacchiericcio europeo sull’importanza delle tasse e degli accordi commerciali.

USA SU DEL 4%
Di dinamiche di mercato Dimon, che è il ceo di Jp Morgan, la prima banca statunitense, un pochino se ne intende. Ma questa volta più che una previsione la sua è una constatazione. La stessa Jp Morgan non più di un paio di giorni fa ha annunciato che grazie alla riforma fiscale investirà nei prossimi cinque anni 20 miliardi di dollari, che saranno destinati ad aumentare i salari dei dipendenti, ad assumere giovani e ad aprire nuove filiali.
La finanza che specula e si ingrassa con le mosse di Trump? Difficile sostenerlo. La stessa cosa ha annunciato ieri Sturbucks, che oltre ad 8mila assunzioni previste, metterà sul piatto 250 milioni per gli attuali dipendenti. Grazie ai benefit i lavoratori, in base alla mansione, intascheranno dai 500 ai 2mila dollari. Un bonus da 2mila dollari, sempre grazie ai tagli di Trump, è anche quello promesso ai 60mila dipendenti americani dalla “nostra” Fca, che investirà più di un miliardo di dollari nell’impianto di Warren, in Michigan. “Solo” di mille dollari sarà invece il benefit che riceveranno i lavoratori più anziani del colosso Usa della grande distribuzione Wal-Mart.

ARRIVANO I DOLLARI
Ma gli annunci ormai non si contano più. E ogni giorno l’elenco si allunga. Si tratta di soldi veri, che finiscono in tasca ai lavoratori e non pesano sul resto dei contribuenti, come gli 80 euro di Matteo Renzi. Di soldi che aumenteranno i salari e l’inflazione, proprio come dice Dimon.
Noi resteremo qui, a preoccuparci delle nostre gabelle e dei nostri vincoli di bilancio. Aspettando, e sperando, che un po’ di dollari americani, come nel film di Alberto Sordi, arrivino anche da noi.

© Libero