mercoledì 31 gennaio 2018

Truffati all'assalto degli istituti sani

«Noi non abbiamo acquistato le Banche Venete ma solo alcuni asset, come avviene nel caso di un fallimento o liquidazione. Siamo assolutamente fiduciosi che nelle sedi adeguate i tentativi di coinvolgerci verranno respinti». Gian Maria Gros-Pietro, interplellato sui rischi di un possibile coinvolgimento dell’istituto come responsabile civile nei procedimenti giudiziari a carico di Veneto Banca, ha ribadito con forza che Banca Intesa non ha alcuna intenzione di farsi carico dei danni subiti dai risparmiatori in seguito ai dissesti. «È comprensibile che chi ha perso i propri soldi cerchi di riaverli», ha proseguito il presidente dell’istituto, «ma non è comprensibile che gli azionisti delle Banche Venete chiedano di essere risarciti da quelli di Intesa Sanpaolo».

Il ragionamento non fa una grinza. Perché mai i soci della banca sana che, in accordo con lo Stato, ha recuperato i resti di un istituto fallito dovrebbe ereditare anche le responsabilità del vecchio management e rispondere dei quattrini andati in fumo con l’azzeramento dei titoli? Eppure, per quanto strano possa sembrare, l’idea non è sembrata affatto bizzarra al gup del tribunale di Roma, che la scorsa settimana ha accolto le richieste dei consumatori di citare in giudizio Banca Intesa, ritenendo che la cessione disposta dal governo con il decreto legge 99 del 2017 ricomprenda anche il dititto al risarcimento dei danni subiti dagli azionisti e dalle altre parti civili costituite in questo processo. Nel dettaglio, Intesa sarebbe cessionario dell’azienda bancaria a carico della quale è originariamente sorta la posizione di responsabilità.
Nella stessa udienza, il gup si è ben guardato, invece, dall’accettare identiche richieste nei confronti di Bankitalia e Consob, considerati dai risparmiatori in qualche modo responsabili dell’azzeramento delle azioni per non aver impedito il dissesto della banca veneta. Ma questa è un’altra storia.
Lo scenario che si sta profilando all’orizzonte è quello delle banche sane trasformate in bersaglio su cui sfogare la rabbia degli investitori traditi. Accanto alla grana giudiziaria di Intesa, infatti, ci sono anche i possibili ricorsi contro Ubi e Bper, i due istituti che hanno rilevato le quattro banche finite in default nel 2015, Etruria, Banca Marche, Carichieti e Carife. Ad aprire la strada alle richieste di risarcimento ci ha pensato, una ventina di giorni fa, l’arbitro bancario presso la Consob.

L’organismo di conciliazione per le controversie finanziarie ha argomentato sulle decisioni nei ricorsi su Banca Marche che il provvedimento di Banca d’Italia del novembre 2015 sulla liquidazione delle quattro banche fa emergere la continuità dei rapporti contrattuali. Questo significa che i clienti avrebbero potuto avanzare pretese risarcitorie verso la Vecchia Banca e allo stesso modo «non possono non ritenersi legittimati a procedere in tal senso anche nei confronti della Nuova Banca». La possibilità riguarda alcuni investitori in azioni di Banca Marche nell’aumento di capitale del 2012 dell'istituto, che hanno lamentato di averlo fatto  in qualità di clienti e nell’ambito del quadro informativo fornito dalla banca. Il quadro normativo sarebbe differente per chi ha investito in obbligazioni o prodotti finanziari. Ma le due decisioni rischiano comunque di scatenare un assalto alle tre banche, Intesa, Ubi e Bpr, considerato che i risparmiatori rimasti a bocca asciutta nelle varie procedure di ristoro introdotte dal governo sono ancora tanti. E tutti infuriati.

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