venerdì 19 gennaio 2018

Coi premier pd bruciati 160 miliardi

«Non è il momento di scardinare i pilastri del nostro sistema, dalle pensioni al fisco. Non è il tempo delle cicale, ma dell’investimento sul futuro». Il ragionamento di Paolo Gentiloni è chiaro. Non è il momento di sperperare, ma di mettere fieno in cascina. Anche perché la ripresina in atto potrebbe permettere un po’ di margini di manovra anche senza intaccare troppo i saldi di finanza pubblica. Giusto o meno che sia il suggerimento, c’è da chiedersi se lo stesso premier uscente, e i suoi predecessori del Pd, abbiano seguito la stessa strada.

A questo proposito può essere utile consultare uno studio, riportato dal Sole 24 Ore, che la Bundesbank ha messo a punto per dimostrare che la Germania non è stata l’unica ad approfittare dell’Europa. Il dato principale intorno a cui ruota il documento riguarda l’impatto dell’andamento dei tassi sugli interessi che i governi pagano per la gestione del debito pubblico. Secondo lo studio, dal 2008 al 2016 i governi europei hanno complessivamente risparmiato  circa mille miliardi di euro, pari al 9% del Pil dell’Eurozona. E fin qui, considerato il calo degli ultimi anni, nulla di sorprendente.  Il dettaglio, però, descrive  un quadro inedito. La classifica, infatti, vede agli ultimi posto l’Irlanda e la Spagna, nelle posizioni centrali la Germania e la Francia. Al secondo posto ci sono i Paesi Bassi e, sorpresa, al primo c’è l’Italia. Il nostro Paese avrebbe addirittura guadagnato oltre il 10% del pil, vale a dire qualcosa come 160 miliardi di euro pagati in meno per irnnovare il debito pubblico. Ora, lo studio parte dal 2008. Ma è chiaro che per l’Italia i primi anni sono stati solo di perdite, essendo i rendimenti dei titoli di Stati schizzati alle stelle.

Il vero risparmio è iniziato sostanzialmente nel 2013, un anno dopo il famoso «whatever it takes» con cui Draghi ha promesso ai mercati che avrebbe messo in atto tutto il necessario per contrastare la speculazione sui bond sovrani. Ebbene, da quel momento i tassi sono iniziati a scendere e il costo degli interessi sul debito è iniziato a diminuire. Fino a provocare quel guadagno di 160 miliardi. Tornando alle cicale e alle formiche, resta da capire se i vari governi che si sono succeduti, da Letta a Gentiloni, passando per Renzi, abbiano sfruttato bene quel tesoretto. A guardare la serie storica del debito pubblico italiano si direbbe proprio di no. Il buco è infatti cresciuto dai 1.666 miliardi di euro nel 2008 ai 2.275 miliardi dello scorso novembre. Si tratta di un incremento di oltre 600 miliardi di euro, malgrado il bonus di 160 miliardi.  Altro che cicale, neanche le termiti, con il loro incessante sgranocchiare,  sarebbero capaci di mangiarsi così tanti soldì in così poco tempo. Ora che le elezioni sono alle porte, però, il premier ritrova la saggezza  della formica, spiegando che uno degli obiettivi del prossimo governo «dovrà essere passare dalla stabilizzazione e leggerissima discesa del debito a una fase di riduzione graduale, sostenibile e significativa».

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