«La Consob che voglio presiedere dovrebbe passare sempre più da una azione ex post a una ex ante, perché nei mercati finanziari intervenire in ritardo serve a poco». Mario Nava ha premesso di non voler parlare, per delicatezza, della precedente gestione. Pur senza mai nominarlo, le stoccate a Giuseppe Vegas non sono, però, mancate. Anzi, tutta l’aduzione del neopresidente della Consob davanti alle commissioni Finanza di Camera e Senato è stata sostanzialmente una raffica di rasoiate al suo predecessore. Come quando ha spiegato che l’autorità ha funzionato «molto bene in passato», ma quando era guidata da Tommaso Padoa Schioppa e Luigi Spaventa. Ed è lì, ha detto, «che bisogna tornare, con una profonda azione di ristrutturazione». Quanto ai rapporti con le altre authority, la cui inefficienza è uscita platealmente allo scoperto nel corso dell’indagine della commissione banche, Nava ha detto che «è fondamentale una sinergia strettissima con Bankitalia», perché «indipendenza non vuol dire isolamento».
Ma il punto su cui il neopresidente ha insistito di più è quello dell’internazionalizzazione, soprattutto in chiave europea, dove «si può fare di più e meglio». Nava, che ha passato più di 23 anni lavorando a Bruxelles, ha detto che «la Consob si impegnerà ad attirare investitori stranieri», perché «non è possibile rendere milano una grande piazza della finanza internazionale» se si sceglie di «fare un orticello in cui ci sediamo in quattro». Parte di questa strategia prevede che la Commissione giochi un ruolo di primo piano negli organi in cui è rappresentata, sia quelli europei sia quelli internazionali, come il Financial stability board e lo Iosco. Luoghi in cui, ad esempio, si è iniziato a parlare di bail in fin dal 2010. «È fondamentale che l’Italia ci sia in questi dibattiti», ha detto Nava, prospettando la possibilità che sia lui stesso a rappresentare la Consob in quelle sedi.
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