martedì 19 ottobre 2010

Bruxelles riconosce i debiti privati. Tremonti ci salva dalla stangata Ue

«Habemus pactum novum». Ci sono volute 11 ore, oltre a diversi mesi di estenuanti trattative, ma alla fine il cerchio si è chiuso. Giulio Tremonti ha portato a casa il risultato più importante di qualsiasi finanziaria. Gli amanti della cabala avranno di che dibattere. Il nodo su cui si sono scontrati ieri i 27 ministri economici della Ue riuniti a Lussemburgo era contenuto nel punto 21 di un documento di 21 pagine. In quel numero “21” era appeso il destino dell’Italia. E forse anche quello del governo. La matassa da districare riguardava infatti le sanzioni previste dal nuovo patto di stabilità che scatteranno per chi non rispetterà, oltre al parametro sul deficit (tetto al 3% del pil), quello sul debito pubblico (tetto al 60% del pil).

Palpabile la soddisfazione del ministro dell’Economia, che dopo aver annunciato in tono ieratico la fumata bianca, ha definito l’accordo raggiunto «un buon testo». La vittoria del responsabile di Via XX Settembre si è concretizzata in una postilla aggiunta nella parte del documento in cui si definiscono i fattori da prendere in considerazione per la valutazione dell’andamento del rapporto debito/Pil: «Devono essere considerati anche il livello e i cambiamenti nel debito privato». Un passaggio determinante per evitare al nostro Paese, che viaggia su livelli di debito/Pil del 118-119%, la scure di Bruxelles sulle misure da mettere in atto per rientrare nei parametri. Basti pensare che stando al testo proposto inizialmente dalla Commissione Ue il nostro Paese sarebbe stato costretto nei prossimi anni ad effettuare tagli mostruosi sull’indebitamento a colpi di circa 40 miliardi l’anno. Altro che soldi per l’università. Con l’introduzione dei criteri “allargati”, invece, l’Italia esce di fatto dalla lista dei sorvegliati speciali. Conteggiando oltre a quello pubblico anche il debito privato il nostro Paese scala la classifica europea piazzandosi tra le prime posizioni, insieme ai più “virtuosi”. 

Sul tema, a dimostrazione delle ripercussioni nazionali delle trattative europee, il ministro ha dedicato un lungo approfondimento nella Dfp (il vecchio Dpef) presentata alcune settimane fa ed ora in discussione al Parlamento. «Nel complesso», si legge nella Decisione di finanza pubblica, «l’orientamento prudente della politica fiscale italiana e la tendenza al limitato stock di debito del settore privato hanno consentito all’Italia di registrare livelli complessivi di debito più contenuti rispetto alla media dei Paesi esaminati». Dalle parole di Tremonti si capisce chiaramente che oltre a salvare i conti pubblici, l’intesa raggiunta a Lussemburgo salva anche lo stesso ministro. La sua austerity tanto criticata nei giorni passati.
La firma europa, insomma, oltre sancisce il ruolo del titolare di Via XX Settembre come custode unico della stabilità italiana a livello internazionale. E, di fatto, spegne le scintille di una rivolta che, considerato anche il momento, avrebbero potuto mettere a rischio anche la tenuta del governo.
Nel corso della conferenza stampa al termine del summit, Tremonti ha ribadito che nel testo sulla riforma del patto «non c’è alcun riferimento numerico per quel che riguarda il debito pubblico», riferendosi proprio alla clausola “anti-Italia” che per i Paesi in debito eccessivo prevedeva un taglio di un ventesimo l’anno (per noi 40 miliardi). Nel documento ci sono soltanto «formule flessibili, ragionevoli e gestibili da parte del governo italiano». Il che, tradotto in soldoni, significa che per l’Italia «resta fondamentale la correzione del deficit. Tutto il resto sarà oggetto di considerazioni».

Il passaggio successivo sarà il vertice dei capi di Stato e di governo di fine ottobre. Appuntamento che non dovrebbe comunque riservare clamorose sorprese. L’accordo di ieri sarebbe infatti il frutto di un passo indietro dei Paesi più rigoristi, guidati dalla Germania, che avrebbero ceduto alle posizioni di Italia e Francia in cambio della disponibilità a modificare il trattato di Lisbona di qui al 2013 per realizzare il meccanismo anticrisi permanente e la riduzione di potere nel Consiglio Ue dei Paesi più indisciplinati. 
Non tutti i pericoli, però, arrivano da Bruxelles. Mentre Tremonti esce trionfante da Lussemburgo, il mondo attende con ansia le parole dei banchieri centrali riuniti oggi a Shanghai, nel pieno della cosiddetta guerra delle valute. I riflettori sono, chiaramente puntati sul capo della Fed, Ben Bernanke, che la scorsa settimana ha annunciato contromosse degli Usa. L’andamento dei cambi, con lo Yen che continua a volare, allontana intanto il temuto sorpasso della Cina sul Giappone, quale seconda economia del mondo dopo gli States.

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