mercoledì 27 ottobre 2010

Ascoltare Marchionne vale 250 euro al mese

Duecentocinquanta euro al mese, 7,6 miliardi in 30 anni. Basterebbe ragionare un po’ su queste due cifre, forse, per disinnescare gran parte delle polemiche scatenate negli ultimi giorni dall’ennesima “provocazione di Sergio Marchionne. La prima cifra circola da quest’estate, ma nessuno l’ha mai presa troppo sul serio. Eppure, al di là degli utili e degli investimenti, i numeri che interessano i lavoratori sono soprattutto quelli che alla fine del mese finiscono in busta paga. E quei 250 euro non sono invenzioni della propaganda filoaziendalista, ma semplicemente l’aumento netto che gli operai di Pomigliano si troveranno in tasca ogni mese quando il nuovo piano entrerà in vigore.

I calcoli sono complicati perché riguardano la retribuzione prevista per gli straordinari, per il lavoro notturno e per quello domenicale. La sostanza però è chiara: con la rimodulazione dei turni chiesta dall’ad della Fiat per incrementare la produttività comporta un salario più robusto da un minimo di 3.200 a un massimo di 4 mila euro lordi l’anno. Tenendo conto delle differenti modalità di tassazione cui è soggetto l’aumento, si tratta, per l’ipotesi migliore, di 3 mila euro netti, che fanno 250 euro al mese. È questo il “costo” di Pomigliano contro cui si sta battendo da mesi l’ala massimalista del sindacato sostenuta e appoggiata da tutta la sinistra antagonista, dall’Italia dei Valori e da una parte della sinistra moderata?  Difficile, poi, criticare Marchionne quando dice di voler scappare dall’Italia.

Meno difficile è, invece, ricordargli quanto l’azienda che lui oggi vuole traghettare verso il mercato e la competitività sia debitrice nei confronti dello Stato. Il fatto che Marchionne ora non voglia più un centesimo di denaro pubblico e che giustamente rifugga dalle pastoie sindacal-politiche-assistenziali non toglie che negli ultimi trenta anni, dal 1977 al 2009, la Fiat abbia incassato finanziamenti complessivi per 7,6 miliardi di euro. Soldi, ha calcolato la Cgia di Mestre, arrivati al Lingotto sotto diverse forme: attraverso l’erogazione di ammortizzatori sociali, con gli incentivi all’acquisto, ma anche con contributi ed investimenti per la realizzazione di molti impianti tutt’ora in funzione.

Detto questo, forse non ha torto Emma Marcegaglia quando invita a considerare il caso Fiat un’occasione per «unire le forze» piuttosto che un motivo «di scontro e di divisioni politiche». Quello di Marchionne, secondo il presidente di Confindustria, «è un appello a guardare i problemi di competitività e produttività di cui parliamo da molto tempo». Problemi «veri», ha proseguito, perché «il gap delle imprese italiane è un dato tecnico e non riguarda solo la Fiat». Anche secondo Raffaele Bonanni Marchionne ha colto nel segno. Adesso, ha però aggiunto il leader della Cisl, «bisogna finirla con le polemiche e con le provocazioni: il manager si presenti alle istituzioni e dica, questo è il nostro progetto, lo confermiamo». Dopo il passo fatto dai sindacati moderati, ha proseguito Bonanni, ora la palla spetta all’azienda, «che deve rispondere dando più salario e creando meccanismi di partecipazione agli utili».

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