mercoledì 6 ottobre 2010

Marchionne sbanda. A Cisl e Uil che chiedono di vedere il piano di rilancio l’ad di Fiat risponde con l’ultimatum: accordo preventivo o niente. Così tratta le due sigle come la Fiom

«Senza sindacati Fabbrica Italia non parte». Sergio Marchionne si è presentato così, con l’ennesimo ultimatum, al tavolo con le parti sociali sul progetto della Fiat per rilanciare la produzione. Niente sconti, niente concessioni. Solo la conferma di un percorso annunciato: se entro l’anno i sindacati non si schiereranno ufficialmente al fianco del Lingotto, il piano di investimenti da 20 miliardi salta. Le parole del manager non sono nuove. Sono mesi che l’ad della Fiat insiste sulle garanzie necessarie a convincere l’azienda che restare in Italia sia una buona scelta. Ma nel frattempo Marchionne ha incassato non solo il sì su Pomigliano, ma anche l’accordo sulle deroghe al contratto dei metalmeccanici. Una piccola rivoluzione che di fatto spiana la strada a quella maggiore flessibilità chiesta a gran voce dal Lingotto.

Se il contesto è cambiato, la musica è però rimasta la stessa. Certo, non è facile avere a che fare con un sindacato come la Fiom, che da una parte siede al tavolo della trattativa con il segretario generale Maurizio Landini e dall’altra, nelle stesse ore, manda a Jesi il presidente del Comitato centrale Giorgio Cremaschi a scaldare una folla di operai in sciopero che per protestare non trova di meglio che lanciare uova contro lo stabilimento della Fiat. Un episodio che si aggiunge a una serie di durissime contestazioni, anche fisiche, contro gli esponenti della Cisl e della Uil messe in atto più volte dalla Fiom-Cgil nei giorni scorsi. E che si inserisce in un clima di tensione complessivo che la scorsa settimana ha portato a sfiorare la tragedia con l’attentato al nostro direttore Maurizio Belpietro. «Hanno aperto le gabbie dello zoo», ha detto qualche giorno fa Marchionne, denunciando senza tentennamenti le conseguenze di «una cultura che non ci appartiene e che vuole solo distruggere quello che abbiamo costruito».

Ma presentarsi lancia in resta al primo delicato incontro con le parti sociali su un progetto vitale per la Fiat e per l’Italia è una scelta non facile da comprendere. A quel tavolo c’è la battagliera Fiom, che punta i piedi, non firma, ma con cui in un modo o nell’altro l’azienda dovrà confrontarsi. E ci sono soprattutto le anime moderate del sindacato con cui Marchionne ha stabilito fino ad ora un dialogo costruttivo e proficuo. Senza il sostegno di Cisl, Uil, Ugl e Fismic, per intenderci, non ci sarebbe stato Pomigliano né il nuovo contratto dei metalmeccanici. È proprio da questo fronte che arrivano segnali preoccupanti. Nessuno ha finora ritirato la sua piena disponibilità a proseguire sul percorso intrapreso.  Ma la sensazione è che la corda sia ormai tirata fino all’inverosimile. «Marchionne non è un padreterno», si è lamentato ieri il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, spiegando che i tempi dell’intesa non possono essere imposti, ma dovranno essere «quelli necessari ad acquisire informazioni sul piano industriale».

Ed ecco il punto, su cui torna anche la Fim-Cisl. «Lo spirito resta» e la «disponibilità» pure, spiega il segretario generale Giuseppe Farina. Siamo pronti, continua, «a confrontarci su tutti gli stabilimenti, ma prima vanno definiti gli investimenti e i prodotti sito per sito».
I numeri, insomma, non ci sono. E, sembra di capire, non ci saranno finché i sindacati non daranno il via libera. Perché, ha spiegato l’azienda, «l’importanza delle scelte di destinazione dei nuovi modelli e il volume degli investimenti previsti richiedono un elevato livello di garanzia in termini di governabilità degli stabilimenti e di utilizzo degli impianti».
È il classico gatto che si morde la coda. Da cui non si uscirà se qualcuno non farà la prima mossa. L’unica cosa certa, per ora, è che si procederà stabilimento per stabilimento. A partire, si dice, da quello di Cassino o di Mirafiori. Ma sui dettagli del piano regna l’incertezza. Una nebbia che non è stata dissipata neanche dopo le preoccupanti indiscrezioni, lanciate da Automotive, sullo slittamento al 2012 della nuova Panda, la cui produzione a Pomigliano sarebbe dovuta iniziare a metà del 2011. Nessun commento ieri. Ma nella testa risuonano le parole di Marchionne al Salone di Parigi: «Non ha senso lanciare nuovi modelli in un mercato debole».

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