giovedì 28 ottobre 2010

Primo sì a Marchionne. Il governo detassa la produttività

Anche ieri da imprenditori e manager sono continuati ad arrivare sostegno e apprezzamenti alla linea Marchionne. Ma la vera sponda alla rivoluzione avviata dal numero uno della Fiat è quella che sta preparando il governo attraverso il dl sviluppo. È qui che il martellamento del manager sulla necessità di aumentare la produttività e la competitività delle aziende del gruppo potrebbe incontrarsi con le esigenze dei lavoratori. Abbiamo già visto che il piano Pomigliano, una volta a regime, potrebbe portare in tasca agli operai qualcosa come 250 euro netti mensili in più.

A garantire quella cifra è proprio la misura (introdotta nel 2009 e prorogata lo scorso gennaio fino alla fine di quest’anno) che troverà sicuramente spazio, e risorse, nel decreto allo studio dei ministeri economici, ovvero la detassazione del salario di produttività. Ad assicurarlo è stato ieri il responsabile del Welfare, Maurizio Sacconi, che ha annunciato non solo la conferma del meccanismo, ma anche un allargamento della misura volta ad incentivare la contrattazione di secondo livello da parte delle aziende. Quella, come detto sopra, su cui fa leva Sergio Marchionne per garantire che a livelli maggiori di efficienza negli stabilimenti corrisponda un incremento del salario.

Alla domanda se sarà anche previsto un ulteriore abbassamento dell’aliquota, oggi al 10%, il ministro è stato vago: «Non lo so, non credo». Ma molto probabilmente si arriverà ad un allargamento della fascia di lavoratori che potranno usfruire dello sgravio fiscale. Attualmente la soglia di reddito su cui pagare l’aliquota scontata invece di quella ordinaria al 23% è di 35mila euro l’anno. Per il 2011 si potrebbe salire fino a 40mila euro. La detassazione, ha spiegato Sacconi, riguarderà «una parte del salario più consistente perché il nuovo modello contrattuale comincia adesso a dare i suoi frutti in termini di accordi aziendali». Il ministro ha voluto sottolineare come la misura riguardi anche Pomigliano, visto che il 10% di tasse si paga proprio «sullo straordinario, sul lavoro notturno, sulle turnazioni e sui treni». In questo modo, ha concluso Sacconi, «dovremmo innescare una crescita dei salari laddove possibile perché questa si collega ad una maggiore produttività».

Per il resto, come si diceva, ieri sono proseguite le reazioni alle parole dell’ad Fiat. In primo luogo quella, da più parti invocata nei giorni scorsi, dei vertici del Lingotto. «Marchionne non ha detto che la Fiat vuole lasciare l'Italia. Ha posto un problema di competitività del Paese. Su questo dobbiamo agire», ha spiegato il presidente della società torinese, John Elkann. «Ha fatto un’intervista dura in tv», si è limitato a dire il neoministro dello Sviluppo, Paolo Romani, il quale ha pero voluto sottolineare di ricordarsi «bene la storia della Fiat dal dopoguerra a oggi». Frasi sibillline in vista dell’incontro tra il ministro e l’ad previsto per il 4 novembre. Un incontro, ha detto Romani, «che sarà lungo e approfondito e riguarderà la strategia industriale della Fiat, che deve essere coerente con quella del Paese». Al fianco di Marchionne è sceso anche Luca Cordero di Montezemolo, parlando di «coraggio e chiarezza» del manager e sottolineando che «bisogna dirlo fuori dalle polemiche e fuori dalla demagogia, con orgoglio reciproco, perché l’Italia ha bisogno di una grande azienda automobilistica e la Fiat ha bisogno di un mercato, del suo Paese». Sostegno al manager italocanadese è arrivato anche dal consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera che ha invitato «a lavorare tutti insieme per rendere il Paese più produttivo e competitivo».

 «La Fiat continua a non avere un piano industriale«, ha detto Susanna Camusso che dal 3 novembre assumerà le redini della Cgil. Mentre per il segretario generale del sindacato autonomo Fismic, Roberto Di Maulo, Marchionne «Ha detto quello che è sotto gli occhi di tutti. Ma come al solito in Italia, chi dice la verità è considerato un eretico». Mentre infuriano le polemiche, l’azienda continua ad affrontare la crisi del mercato con la cassa integrazione. Questa volta tocca alla Powertrain, le ex Meccaniche, di Mirafiori: dopo due anni e mezzo, interesserà tutti i 1.200 addetti alla produzione del cambio per le vetture piccole.

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