venerdì 4 giugno 2010

Previsioni postume e conflitti d’interesse. Rating al capolinea

L’ultima vittima è Bp. Ieri sia Fitch sia Moody’s hanno abbassato il rating della compagnia petrolifera per l’impatto dei costi legati alla marea nera. Ma l’elenco è sterminato. E non sempre così condivisibile.
Non è un caso che mercoledì la Commissione Ue abbia messo a punto un regolamento, che dovrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno, per trasferire la vigilanza sulle agenzie che danno i voti alla capacità delle aziende e degli Stati di pagare i propri debiti ad un’Authorithy europea che si chiamerà “European Securities and Markets Authority”. Qui dovranno registrarsi obbligatoriamente tutte le agenzie di rating operanti nella Ue, circa 45 società di cui la maggior parte filiali delle cosiddette “big three” statunitensi: Standard & Poor’s, Fitch e Moody’s. L’Authority avrà il potere di fare ispezioni, aprire inchieste e proporre multe e sanzioni.
Ma anche gli Stati Uniti (malgrado molti ritengano che dietro i giudizi negativi delle agenzie sull’Europa ci sia lo zampino speculativo dei grandi fondi Usa) si stanno muovendo. Sempre mercoledì a Washington il presidente del Financial Crisis Inquiry Commission, la commissione di inchiesta del Congresso Usa sulla crisi finanziaria, ha rivelato come il fatturato di Moody’s sia passato dai 600 milioni di dollari del 2000 a 2,2 miliardi nel 2007. A sostenere questa crescita i ben remunerati giudizi positivi (ben 42.625 triple A) assegnati ai titoli legati ai prestiti immobiliari. Nello stesso periodo l’agenzia ha espresso rating nel settore per 4.700 miliardi di dollari e 736 miliardi in Cdo, i cosiddetti titoli tossici.
La morale è che i bei voti portano nelle casse delle agenzie un bel po’ di soldi. Stupiscono meno, in quest’ottica, le triple A assegnate a Parmalat alla vigilia del crack. Ma soprattutto le “promozioni” relative ai grandi fallimenti americani. Qualche esempio? Fino al 28 novembre 2001 i titoli di Enron erano ancora classificati a livello investimento, quel giorno furono bocciati a livello spazzatura, quattro giorni dopo l’azienda dichiarava bancarotta, mandando in fumo miliardi di dollari. Pochi mesi dopo è la volta di WorldCom (società di tlc del valore di 102 miliardi di dollari): il declassamento arriva meno di dieci settimane prima del fallimento.
Ma il caso clamoroso riguarda la crisi dei  mutui subprime. Non si può dimenticare la tripla A che brillava sui titoli della banca d’investimento Lehman Brother nel settembre 2008,  poco prima che l’istituto dichiarasse bancarotta.
Anche sui bond governativi le agenzie hanno collezionato insuccessi. Nel 2000, prima del maxidefault dell’Argentina, i tango-bond erano considerati «altamente speculativi», ma non troppo rischiosi. E prima della auto-denuncia del governo di Atene sul reale deficit pubblico, anche i titoli di Stato greci erano considerati un buon investimento. Ce n’è abbastanza, insomma, per considerare la misura abbondantemente colma. La questione sarà sul tavolo del G-20 di Toronto di fine giugno. Resta da vedere se le “tre sorelle” si lasceranno detronizzare. Finora, malgrado i numerosi tentativi, nessuno ci è mai riuscito.

© Libero