giovedì 24 giugno 2010

Un operaio su tre contro Torino. Sacconi: l’azienda deve restare

«Con Marchionne non ho ancora parlato, ci parlerò. So che è tranquillo e che ha apprezzato il largo consenso che ha avuto». Il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, è ottimista e fiducioso: «Sono convinto che l’impegno preso verrà mantenuto». Nel day after di Pomigliano c’è qualcosa che non quadra. Doveva essere il giorno dei festeggiamenti, della svolta storica, della fuga in avanti.
Invece, all’indomani del referendum che con il 62,2% dei sì ha chiaramente decretato la sconfitta della Fiom e il via libera dei lavoratori alla proposta della Fiat, i dubbi sembrano prevalere sulle certezze. Tutti, dai sindacati favorevoli all’accordo agli esponenti di governo fino a Confindustria, si affannano a sottolineare l’esito inequivocabile del voto, cercando di dare maggiore forza a un risultato che ci si aspettava più netto. Soprattutto dalle parti della Lingotto. Di qui i timori di una clamorosa retromarcia. «Non voglio nemmeno ipotizzare che Fiat cambi idea», spiega il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. «Ora tocca alla Fiat, rispetti i patti», gli fa eco il ministro per le Politiche europee, Andrea Ronchi. «Non possiamo immaginare né possono esserci passi indietro», aggiunge il viceministro dello Sviluppo economico, Adolfo Urso. «L’intesa non si cambia», dice anche Emma Marcegaglia.
Un pressing serrato che resta, però, senza risposta. Da Torino arriva una nota stringata che è qualcosa di diverso da un contributo di chiarezza sul futuro dello stabilimento di Pomigliano. «L’azienda lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell’accordo al fine di individuare ed attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri», si legge in un comunicato ufficiale della Fiat in cui si sottolinea anche che il gruppo «ha preso atto della impossibilità di trovare condivisione da parte di chi sta ostacolando, con argomentazioni dal nostro punto di vista pretestuose, il piano per il rilancio di Pomigliano».
Difficile dire esattamente quale sia il senso delle parole accuratamente scelte dagli spin doctor del Lingotto. L’ad Sergio Marchionne non sembra per ora intenzionato ad offrire maggiori spunti di riflessione. Dopo avere valutato con i suoi collaboratori l’esito del voto di Pomigliano il manager è volato negli Stati Uniti, dove dovrebbe rimanere alcuni giorni per occuparsi delle questioni Chrysler.
Così, il campo viene occupato dai passaparola e dalle indiscrezioni. In ambienti sindacali si fa notare che nella nota della Fiat non si parla specificamente del progetto per la Futura Panda, ma più genericamente della «realizzazione di progetti futuri». Non sarebbe dunque escluso che il Lingotto stia valutando la possibilità di produrre a Pomigliano altri modelli, che richiederebbero una diversa organizzazione del lavoro e, forse, anche un diverso peso dei livelli di occupazione.
Se invece sarà confermata la Panda, continuano a circolare voci sull’ipotesi della Newco, che riassumerebbe con un nuovo contratto i singoli lavoratori disponibili ad accettare le condizioni poste dall’accordo. Un modo, quest’ultimo, per blindare ulteriormente un progetto che per la Fiat vale 700 milioni di investimenti. Il risultato non schiacciante del referendum, del resto, ridà corpo alle preoccupazioni della vigilia sulla difficoltà di ottenere da parte di tutti il rispetto degli impegni presi. La Fiom aveva promesso battaglia qualunque fosse l’esito della consultazione. Ieri il segretario generale Maurizio Landini, si è limitato a chiedere la riapertura del tavolo con la Fiat, assicurando che non si sarà alcun boicottaggio. Ma è facile immaginare che con quel 30% di no incassato dal voto i duri della Cgil non perderanno occasione per mostrare i muscoli.
© Libero