martedì 15 giugno 2010

La Fiom contro Pomigliano. Meglio la crisi dell’accordo

Se, come dice il leader della Uil, Luigi Angeletti, «l’accordo di Pomigliano costituisce una vicenda spartiacque nel sistema delle relazioni sindacali», appare chiaro che la Fiom-Cgil ha deciso di restare sul lato opposto. Sul lato della contrapposizione a oltranza, dell’isolamento e dell’antagonismo. La decisione è arrivata nel tardo pomeriggio. «Così com’è l’accordo non lo firmiamo». Questa la posizione votata all’unanimità dal comitato centrale della Fiom che sarà portata oggi al tavolo con la Fiat. La convocazione, secondo quanto risulta da fonti sindacali, è prevista per le ore 14 nella sede romana di Confindustria.
L’incontro dovrebbe servire per fare il punto sul tema della Commissione paritetica contenuto nella «clausola di raffreddamento» prevista nell’accordo separato condiviso venerdì scorso tra il Lingotto e Fim-Cisl, Uilm, Fismic e Ugl.
I margini di trattativa con la Fiom sembrano, allo stato, inesistenti. Secondo il segretario generale, Maurizio Landini, non solo il testo non può essere firmato, ma non puù neanche essere sottoposto a referendum perché «contiene profili di illegittimità» sia rispetto al contratto nazionale sia rispetto alla stessa Costituzione.
In ballo c’è il futuro degli impianti di Pomigliano e delle 5mila persone che ci lavorano. Secondo le intenzioni della Fiat, lo stabilimento napoletano (ex Alfa sud) dovrebbe produrre dal prossimo anno la nuova Panda, che verrebbe trasferita dalla Polonia, con un deciso incremento della capacità produttiva, dell’utilizzo degli impianti e dei livelli occupazionali.

L’accordo respinto
Per procedere nella ristrutturazione, con un investimento di 700 milioni, l’ad Sergio Marchionne ha chiesto una modifica sostanziale del modello organizzativo, a partire da orari e turnazioni. Organizzato attualmente su due turni giornalieri per cinque giorni settimanali, Pomigliano dovrebbe passare a 18 turni settimanali: tre turni giornalieri per sei giorni compreso il sabato notte.
Secondo la Fiom il tutto sarebbe tranquillamente fattibile applicando il contratto di lavoro, «che permette all’azienda di produrre le 280mila auto all’anno e le 1.045 al giorno che sono gli obiettivi del piano che Marchionne vuole fare». Se l’azienda applicherà semplicemente il contratto nazionale, ha detto Landini, «la Fiom non metterà in campo alcuna opposizione».
Così non è, però, secondo i duri della Cgil, che minacciano di accodarsi, raddoppiando le ore, allo sciopero generale proclamato dalla Confederazione per il 25 giugno. In particolare il sindacato dei metalmeccanici considera inaccettabili le parti dell’accordo relative alle «clausole integrative del contratto individuale di lavoro».

Testo illegittimo
Si tratta di norme con cui il Lingotto ha cercato di stringere le maglie dei rapporti tra lavoratori e azienda per evitare brutte sorprese. Nel testo, ad esempio, si prevede che «la violazione, da parte del singolo lavoratore, di una delle condizioni contenute nell’accordo costituisce infrazione disciplinare da sanzionare, secondo gradualità, in base agli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari e ai licenziamenti per mancanze».
Nel mirino anche la clausola sull’assenteismo anomalo: in caso di picchi di assenze per malattia collegati a scioperi, manifestazioni esterne, «messa in libertà» per cause di forza maggiore o mancanza di fornitura, l’azienda si riserva di non retribuire i primi tre giorni.
Nulla che abbia fatto strappare i capelli agli altri quattro sindacati, che anzi considerano molto scorrette le posizioni dei colleghi dei metalmeccanici della Cgil. «Quanti pensano che l’accordo di Pomigliano sia illegittimo, e rappresenti una sorta di ricatto, offendono il ruolo della contrattazione sindacale centrate sul principio di responsabilità per il lavoro, la crescita, e lo sviluppo», ha sottolineato il segretario confederale della Cisl, Luigi Sbarra.
Resta da capire, ora, quali potrebbero essere i contraccolpi della linea oltranzista adottata dalla Fiom. Nei giorni scorsi si diceva che Marchionne si sarebbe accontentato di quattro firme su cinque. E anche il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ieri mattina parlava di un accordo praticamente «già fatto». In serata, però, dallo stesso responsabile del Welfare così come dai sindacati, dalla Confindustria e persino dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, si sono moltiplicati gli appelli alla Fiom affinché torni sui suoi passi.

Strappo a sinistra
In attesa dell’incontro di oggi con l’azienda la tensione comunque cresce. La decisione ha anche innescato dinamiche di contrapposizioni inedite all’interno della sinistra. Da una parte c’è una frattura sotterranea nella stessa confederazione tra Fiom e Cgil, con la seconda che fa sapere alla prima che «il lavoro e l’occupazione sono il primo punto di responsabilità» per un giudizio sul futuro di Pomigliano.  Dall’altra c’è la sinistra radicale che oltre ad attaccare la Fiat e il governo se la prende anche con il Pd, accusando Pierluigi Bersani di eccessiva debolezza. La posizione del partito è in effetti molto simile a quella della Cgil. Come ha spiegato il responsabile economico Stefano Fassina, pur riconoscendo che «nel documento della Fiat ci sono dei punti molto pesanti sui diritti fondamentali», «è evidente che non siamo nelle condizioni di perdere gli investimenti prospettati dalla Fiat a Pomigliano d’Arco».


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