martedì 8 giugno 2010

L’Europa non fa sconti: donne in pensione a 65 anni

Certo c’è il costo sociale, ma c’è anche sul piatto una sforbiciata strutturale alla spesa pubblica di diversi miliardi. Cosa che ben si accompagna allo spirito della manovra, tutta tagli e rigore. L’alternativa, comunque, non si pone. L’Italia dovrà alzare da 60 a 65 anni l’età pensionabile delle dipendenti pubbliche al massimo entro il primo gennaio del 2012. Punto e basta. Come ha spiegato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, «non c’è alcuno spazio per la trattativa».

Dopo numerosi avvertimenti e sentenze, insomma, la Commissione Ue non intende più concedere sconti al nostro Paese. È questo il verdetto arrivato ieri dall’incontro tra Sacconi e la vicepresidente dell’esecutivo europeo, Viviane Reding, che si è svolto a Lussemburgo. «Siamo di fronte a qualcosa che non dipende dalla volontà del governo», ha detto il ministro. Un messaggio rivolto soprattutto ai sindacati, che saranno ascoltati nei prossimi giorni e che vengono invitati a «non scioperare contro la pioggia». Perché di fronte alla «ferma posizione» di Bruxelles, piaccia o non piaccia, nulla può essere fatto. «In una democrazia le sentenze di una Corte si rispettano», ha tagliato corto la commissaria Reding, sottolineando come «sia più che ragionevole aver dato all’Italia tempo fino al primo gennaio del 2012». A questo punto la parola passa al consiglio dei ministri che, ha spiegato Sacconi, dopodomani «dovrà decidere cosa fare».

Appare quasi scontato che le norme con cui il governo italiano si adeguerà alla sentenza della Corte Ue di giustizia del novembre 2008 saranno inserite nella manovra da 24 miliardi. «È questo il veicolo più tempestivo che attualmente abbiamo a disposizione», ha detto il titolare del Welfare. Anche perché secondo i calcolo dei tecnici del ministero non adeguarsi subito alla sentenza della Corte Ue costerebbe all’Italia molto caro: i conti non sono ancora stati fatti, ma in linea di massima il rischio è quello di una sanzione fino a 714mila euro al giorno, dal giorno in cui è stata emessa la sentenza. Se l’Italia dovesse porre fine all'infrazione oggi, si spiega, dovrebbe già pagare oltre 19 milioni di euro. Sacconi ha già informato dell’esito dell'incontro con Viviane Reding il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti (anch’egli a Lussemburgo per partecipare alla riunione dell’Eurogruppo) e quello della Funzione pubblica, Renato Brunetta, spiegando loro l’impraticabilità della soluzione di compromesso elaborata negli ultimi giorni, quella che prevedeva di accorciare il periodo di transizione, portandolo dal 2018 al 2016.

«La gradualità che avevamo proposto», ha spiegato ancora Sacconi, «era per garantire alle donne di programmare in anticipo le proprie scelte di vita. Ma la nostra proposta non è stata considerata sufficiente». Il ministro ha quindi respinto la tesi di chi sostiene che la determinazione della Commissione Ue fa comodo al governo che, innalzando subito l’età pensionabile delle dipendenti pubbliche, può fare cassa, incrementando le entrate della manovra. In effetti il taglio sarà strutturale e farà sentire i suoi effetti solo a regime. L’ipotesi attuale, ad esempio, avrebbe consentito di risparmiare 2,5 miliardi spalmato tra oggi e il 2018. «I conti non li abbiamo ancora fatti», ha spiegato Sacconi, «ma la misura avrebbe sulla manovra economica un’incidenza molto modesta e contenuta nel breve periodo, visto che secondo i dati dell’Inpdap le donne interessate non sarebbero più di 30mila il primo anno».

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