giovedì 17 giugno 2010

Pomigliano va al lavoro senza la Fiom

Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato ieri il nuovo documento, integrato, presentato dalla Fiat che garantisce di fatto la sopravvivenza dello stabilimento di Pomigliano e il mantenimento dei circa 5mila posti di lavoro più i 15mila dell’indotto. La Fiom, inutile dirlo, ha confermato il suo no.
Il copione è già visto. L’ala dura della Cgil punta i piedi, spara a zero, rifiuta il compromesso. Tanto ci sono gli altri a sporcarsi le mani. E’ il giochino del cosiddetto “accordo separato”, grazie al quale i lavoratori mantengono il posto, i contratti si rinnovano, le regole si riscrivono, le imprese vanno avanti. Mentre i metalmeccanici del sindacato guidato da Guglielmo Epifani continuano a restare tranquillamente sulle barricate, senza macchia.
Il rischio è che, prima o poi, qualcuno si accorgerà che si può fare a meno di loro. È quello, ad esempio, che potrebbe succedere con il referendum previsto per il 22 con cui i lavoratori di Pomigliano dovranno esprimersi sull’accordo siglato ieri. Referendum non a caso considerato dalla Fiom irricevibile, così come il testo dell’intesa.
Se la proposta della Fiat, ha spiegato Enzo Masini, coordinatore nazionale Fiom-Cgil per il settore auto, «pone problemi seri di contrasto con la Costituzione», neanche il referendum va bene, perché «è basato sulla minaccia dei lavoratori che sono ricattati e a cui si chiede, in sostanza, se si vuole lavorare oppure no».
Ed è per questo che, come ha spiegato in mattinata il segretario nazionale Giorgio Cremaschi, la Fiom confermerà il suo no all’accordo anche se i lavoratori dovessero votare sì al referendum. «Se la consultazione», ha spiegato il sindacalista, «chiede di rinunciare al diritto di sciopero o ad alcune leggi sulla sicurezza, ai limiti di orario previsti dal contratto, diciamo no, quelle rinunce non sono a disposizione di un referendum di una singola fabbrica».
Tutt’altra, ovviamente, la posizione delle altre sigle, che hanno invece festeggiato l’intesa col Lingotto. «Abbiamo assicurato il lavoro a Pomigliano d’Arco e messo in sicurezza il progetto della Fiat per l’aumento della produzione di auto in Italia», ha rivendicato il leader della Fim-Cisl, Giuseppe Farina. Secondo il dirigente sindacale «non si può dire più lavoro e meno diritti perché non c’è nulla di anticostituzionale in questo accordo, ma solo alcune deroghe che esistono anche in altri posti di lavoro». Contento anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, che definisce quello dell’azienda torinese «il primo grande investimento in Italia in tempo di crisi».
Guarda avanti, al prossimo passo verso il salvataggio di Pomigliano, il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. «La Fiat ci ha detto che sbloccherà gli investimenti solo quando la stragrande maggioranza dei lavoratori dirà di sì all’accordo. La posta in gioco è alta e tutti devono saperlo», ha avvertito. Sul piatto c’è il trasferimento della produzione della nuova Panda nello stabilimento campano e investimenti per 700 milioni che garantiranno il mantenimento dei livelli occupazionali.
L’accordo è stato accolto con grande soddisfazione anche dal governo. A partire dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che ne ha evidenziato, con poche parole, le conseguenze sul futuro delle relazioni industriali: «È la rivincita dei riformisti su tutti gli altri».
Altrettanto netta la posizione del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. L’intesa «è straordinariamente importante perché la Fiat ha deciso di procedere ugualmente pensando che l’intesa fosse sottoscritta da organizzazioni che rappresentano la grande maggioranza dei lavoratori». Il ministro ha evidenziato quindi che «si va avanti», augurandosi che Fiom e Cgil «non vogliano ostacolare questo percorso che non riguarda solo la Fiat ma tutto il Mezzogiorno».
Ma l’approvazione più significativa, che decreta l’isolamento del sindacato oltranzista anche rispetto alla sinistra, è quella che arriva dal giuslavorista del Pd, Pietro Ichino, secondo il quale le disposizioni proposte dalla Fiat per il rilancio di Pomigliano «non violano la legge». Tutti i ricatti irricevibili di cui parla la Fiom, altro non sono, secondo il professore,  che «un patto di tregua sindacale», che «è oggi considerato pacificamente valido e vincolante per il sindacato che lo stipula».

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