Altro che scaloni e scalini. Un italiano su quattro va in pensione tra i 40 e i 64 anni. E di questi oltre il 25% lo fa avendo maturato i requisiti di anzianità contributiva o di vecchiaia. A fotografare la realtà del Paese, al di là delle chiacchiere e delle polemiche, ci ha pensato ieri l’Istat, che ha diffuso i dati sui trattamenti pensionistici al 31 dicembre 2008. Il primo numero che balza agli occhi è quello dell’importo complessivo annuo delle prestazioni, che ammonta a 241 miliardi, il 15,38% del Prodotto interno lordo. Una spesa che rispetto al 2007 è aumentata del 3,5%.
All’interno c’è sia la previdenza sia l’assistenza. E c’è anche il capitolo su cui Giulio tremonti ha puntato il dito nella manovra correttiva: le pensioni d’invalidità e di invalidità civile. Complessivamente si tratta dell’11% dell’intera torta, qualcosa come 26,5 milioni di euro. È da queste parti, in particolare sull’invalidità civile, che l’Istat registra gli aumenti maggiori (+6,5%), un incremento dovuto alla crescita delle prestazioni più che alla variazione del loro importo medio.
Il piano straordinario dell’Inps, che ha annunciato 200mila accertamenti, sarà finalizzato proprio a verificare la sussistenza dei requisiti per i titolari dei benefici economici per l’invalidità civile.
Le baby pensioni
Non ci sono truffe, invece, ma solo norme vigenti, dietro l’esercito dei baby pensionati. Dall’analisi dell’Istat sui numeri forniti dall’Inps emerge che addirittura il 26,6% dei pensionati ha un’eta compresa tra i 40 e i 64 anni. L’asticella al di sotto dei 65 anni, spiega l’Istituto di statistiche, «è associata al tipo di norme che regolano l’accesso ai differenti tipi di prestazione». In particolare a quelle erogate a soggetti in età attiva, «come le rendite per infortunio sul lavoro o le pensioni di invalidità». In realtà, guardando i dati disaggregati si scopre che nella fascia tra i 40 e i 64 anni c’è un 25,8% di soggetti che incassa pensioni di vecchiaia e di anzianità. In altre parole, tanto per fare un esempio che tutti conoscono, un italiano su quattro, arrivato più o meno all’età di Fiorello, si piazza sulla poltrona e finisce a carico dei contribuenti.
Detto questo non è che gli italiani navighino nell’oro grazie alle pensioni. Il 71,9% delle pensioni nel 2008 non ha superato i 1.000 euro mensili. Il 45,9% ha importi inferiori a 500 euro e il 26% sta tra i 500 e mille euro. Solo il 27,4% del totale riceve trattamenti previdenziali mensili superiori ai 1.500 euro. Per le pensionate l’assegno è anche più leggero, addirittura del 30,5% inferiore rispetto ai lavoratori maschi a risposo.
«Abbiamo dato il bicchiere d’acqua a tutti, ma non abbiamo tolto la sete a chi ne ha veramente bisogno», ha commentato il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi. «Purtroppo i nostri pensionati ricevono assegni molto modesti», ha detto, «ma nel compenso il nostro Paese ha una spesa complessiva per la previdenza che è la più alta d’Europa. Indubbiamente c’è qualcosa che non va».
Riscrivere i patti
La sensazione, se non si arriverà presto ad un accordo per aumentare l’età pensionabile e rendere sostenibile il sistema, è che quelle cifre al di sotto dei mille euro siano destinate ad assottigliarsi ancora di più. «Una buona riforma delle pensioni è fuori dall'agenda politica», ha detto ieri la presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, Federica Guidi, secondo cui «la nostra spesa per la protezione sociale è tutta accentrata sul sistema previdenziale» disegnando una «iniquità generazionale».
Occorre, quindi, «traguardare la riforma delle pensioni per rimettere al centro del nostro welfare un banale principio di giustizia distributiva fra generazioni. I patti si possono riscrivere».
La decisione sulle donne del pubblico impiego, secondo il ministro della Funzione pubblica, «ha dimostrato che cambiare è possibile ed è relativamente facile». Sembra molto meno aperto alle novità il collega Maurizio Sacconi. «La riforma delle pensioni? L’abbiamo già fatta», ha risposto secco il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali.
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