martedì 22 giugno 2010

La Fiom vuole inguaiare Marchionne

Da una parte la Fiom, che mette le mani avanti e denuncia l’illegittimità del referendum, qualunque sarà l’esito, dall’altra Repubblica, che getta benzina sul fuoco e annuncia l’esistenza di un fantomatico piano C per mettere il sindacato con le spalle al muro. L’atmosfera alla vigilia del voto che deciderà il futuro di Pomigliano non è certo delle più serene. La giornata si è aperta con uno sciopero di un’ora a Termini Imerese contro le parole dell’ad Fiat, Sergio Marchionne, che aveva maliziosamente associato l’astensione dal lavoro alle partite della nazionale di calcio. Ed è proseguita con proteste a singhiozzo alla Itca, azienda di stampaggio di Grugliasco, e alle Meccaniche di Mirafiori.
Ad alimentare un altro po’ la tensione ci ha pensato anche il quotidiano Repubblica, secondo il quale oltre al trasferimento della produzione della Panda in Polonia i vertici della Fiat avrebbero pronto anche un piano C. Ovvero la creazione di una Newco a cui verrebbero conferite tutte le attività di Pomigliano. I lavoratori sarebbero così licenziati e poi riassunti con il nuovo contratto, un po’ come è avvenuto per Alitalia. L’ipotesi ha ovviamente infiammato gli animi e permesso alla Fiom di rilanciare le accuse. «Se l’indiscrezione fosse vera», ha subito detto il segretario Giorgio Cremaschi, «saremmo di fronte a un fatto mostruoso, ma rivelatore delle reali volontà aziendali».  Il sindacalista ha addirittura paragonato le intenzioni della Fiat alle fabbriche maquilladora, che le multinazionali Usa aprono subito al di là dei confini del Messico per aggirare leggi e contratti.
Il problema che si stanno ponendo al Lingotto in queste ore è, in realtà, l’opposto. Non come aggirare le regole, ma come fare in modo che quelle regole, una volta accettate e sottoscritte dai lavoratori, vengano rispettate da tutti. Le previsioni sono per una netta vittoria dei favorevoli all’accordo, ma l’azienda resta comunque guardinga e vuole valutare bene il risultato della consultazione prima di prendere decisioni. Marchionne, non a caso, non ha mai indicato quale sia la soglia necessaria al via libera. La Fiat teme eventuali turbolenze nell’applicazione concreta dell’intesa e sta quindi studiando tutte le diverse ipotesi che possano evitarle, in particolare sui punti controversi dell’assenteismo e degli scioperi improvvisi. Non è detto, insomma, che il referendum sia sufficiente a chiudere la lunga partita. Tanto più che la Fiom ha ribadito anche ieri di aver consigliato ai lavoratori di andare a votare per evitare ritorsioni, ma ha anche continuato a ripetere che il referendum «è illegittimo e quindi non vincolante». Se i metalmeccanici della Cgil non dovessero uscire nettamente sconfitti dalla consultazione, nulla gli impedirebbe, ad accordo concluso e a produzione già avviata, di far saltare di nuovo il tavolo. E a quel punto sarebbero davvero dolori.
Anche alla percentuale dei sì sono dunque appese le sorti di oltre 20mila lavoratori, considerati i 5mila operai degli stabilimenti e i 15 dell’indetto. Solo ai primi spetterà, però, esprimere il proprio giudizio. Le votazioni si terranno dalle 8 alle 21. Nove le urne di cui 8 nello stabilimento G. Battista Vico di Pomigliano e una nella sede decentrata di Nola. La posta in gioco, ormai, si conosce. I lavoratori dovranno decidere se ratificare o meno l’accordo firmato da tutte le sigle (Fim, Uilm, Fismic e Ugl) tranne la Fiom-Cgil. L’intesa prevede la riorganizzazione del lavoro con un aumento dei turni, norme più severe sull’assenteismo e sui giorni di malattia e, soprattutto, il trasferimento della produzione della nuova Panda a Pomigliano con un mega investimento di 700 milioni.
Ma sul piatto c’è anche il futuro della sinistra sindacale e politica, che di fronte al bivio posto da Marchionne è andata letteralmente in frantumi. Con il Pd e la stessa Cgil convinti che l’accordo si possa e si debba firmare per garantire l’occupazione e la Fiom e la sinistra radicale fianco al fianco nel denunciare un ignobile ricatto a cui sarebbe addirittura preferibile la perdita del posto di lavoro.

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