C’è chi con il minieuro ci ha già guadagnato. Si tratta dei cosiddetti frontalieri, un esercito di 19mila lavoratori che ogni giorno varca la frontiera per operare in Svizzera. Per loro, che vengono pagati in franchi, ogni punto che perde la moneta unica è una boccata d’ossigeno. Grazie al cambio, da dicembre ad oggi lo stipendio di un operaio frontaliere è già aumentato di circa 185 euro al mese.
Ma sono in molti, in questi giorni, a fare i conti con i contraccolpi valutari del terremoto greco, che ieri ha portato l’euro a chiudere a 1,23 dollari dopo uno scivolone in avvio a 1,22, minimo degli ultimi quattro anni. C’è chi, come le piccole imprese, non vede scenari drammatici, ma opportunità. «Il brutto è che deriva da una crisi e non da una politica monetaria», spiega il presidente di Confapi, Paolo Galassi, ma non c’è dubbio «che il crollo dell’euro favorisca la competitività della piccola e media impresa». Già, i piccoli, gli artigiani, ma anche il turismo e il made in Italy. Sono molti i settori che potrebbero ricevere una spinta dalla discesa della moneta unica. Il tasso di cambio favorevole dei primi mesi dell’anno, ad esempio, ha già prodotto un incremento del 6% delle esportazioni di vino. Gli Stati Uniti, sottolinea infatti la Coldiretti, «rappresentano un importante mercato di sbocco per l’agroalimentare italiano». Ed è solo l’inizio. «Ipotizzando una prosecuzione del trend di indebolimento della moneta unica, con il cambio euro/dollaro a 1,25 a fine 2010 e 1,15 entro il 2011», si legge in un rapporto dell’Area pianificazione strategica di Banca Monte Paschi, «l’effetto sulle esportazioni italiane è quantificabile in una crescita dello 0,7% nel 2010 e dell’1,5% l’anno successivo». Ma se la domanda estera dovesse ripartire, la crescita cumulata nel biennio potrebbe raggiungere anche il 7% rispetto al -18% del 2009.
Tra i comparti più favoriti, chiaramente, il manifatturiero, che rappresenta circa il 95% del nostro export. Con picchi nel tessile e nell’abbigliamento. Ma potrà correre di più anche l’alimentare, la meccanica e la metallurgia. Qualche esempio? Interpump, società italiana specializzata in pompe per l’agricoltura e l’industria, fa il 78% del suo fatturato all’estero. Stesso discorso per la Manas, piccola azienda di scarpe da donna, il cui giro d’affari di 70 milioni è dovuto per il 65% all’export. Arriva fino al 91% il fatturato realizzato fuori dall’Italia da Datalogic, leader dei lettori per codici a barre con ricavi annui di 370 milioni.
Ma anche marchi più conosciuti come Ferragamo (620 milioni di fatturato, il 50% solo in Asia) o Luxottica (5 miliardi, il 60% negli Stati Uniti, diventato il 70% nel primo trimestre 2010), vivono sulle esportazioni. Lo sa bene, Corrado Passera, che ha definito «significativo» il «potenziale di crescita» dei ricavi di Intesa proprio grazie «all’improvvisa svalutazione dell’euro, che darà sostegno all’economia». E un «effetto positivo» ci sarà anche per le Generali, ha spiegato l’ad Giovanni Perissinotto.
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