sabato 29 maggio 2010

Il dirigente Fastweb in cella da novanta giorni: «Pronto a difendermi. Dopo Scaglia uscirò anch’io»

Jeans, scarpe da tennis, maglia blu e maglietta bianca che spunta dal colletto, volto curato, barba fatta. Visto così, da lontano, potrebbe sembrare un elegante giovanotto in vacanza. Ma gli occhi di Mario Rossetti raccontano un’altra storia. Una delle tante, verrebbe da dire, nell’Italia della giustizia ingiusta, dei Tortora, dei Cagliari, dei De Lorenzo. Se non fosse che dietro le sbarre da oltre 90 giorni c’è lui, l’ex direttore finanziario di Fastweb travolto dalla bufera delle frodi carosello. E il mal comune conta poco quando non puoi vedere i tuoi figli, i tuoi amici. .
È al termine di un lungo colloquio con il legale che Rossetti si presenta. Un incontro veloce, quello con Giorgio Stracquadanio, ma sufficiente a capire che il manager in questi tre mesi è cambiato. Il deputato del PdL lo aveva già incontrato a Rebibbia, poco dopo l’arresto. «Allora», dice il parlamentare, «era spaventato, incredulo». Ora Rossetti è lucido, determinato. «Nonostante tutto», spiega in una stanza del raggio G12 del carcere romano in presenza del direttore, del vicedirettore e di un ispettore della Penitenziaria, «ho ancora fiducia nell’Italia, nelle istituzioni». «Sono pronto a difendermi», aggiunge. E lo farà con la forza di chi non ha perso la speranza. Malgrado la delusione ricevuta il 17 maggio, con gli arresti domiciliari concessi solo a Silvio Scaglia, dopo 80 giorni di carcere. «Prima o poi toccherà anche a me», dice, perché «la parola sempre non è nella dimensione umana». Nel frattempo, Rossetti divora libri. Sta diventando un esperto di letteratura carceraria. «Ho appena finito Le ali della Libertà», racconta con gli occhi che si illuminano. Del resto, la storia di Stephen King, di cui tutti conosciamo la trasposizione cinematografica, parla proprio di un esperto di finanza accusato ingiustamente. Piuttosto che finire come Tim Robbins, su una spiaggia del Messico, però, Rossetti vorrebbe più semplicemente tornare dalla moglie e dai tre figli (Giorgio di 9 anni, Luise di 8 e Leone di 2). Ma il manager, deformazione professionale, si sta anche interessando di organizzazione carceraria. «Trovo interessante l’idea statunitense di privatizzare il sistema», dice, «in molti casi ha migliorato l’efficienza e reso più accettabili le condizioni dei detenuti». Qui le cose sono un po’ diverse. Soprattutto per lui, che come detenuto in custodia cautelare ha paradossalmente meno diritti degli altri. Un’ora d’aria invece di due, accesso alla biblioteca solo quando gli altri non ci sono, difficoltà ad avere qualsiasi extra. «Vorrei scrivere», spiega, «ma non riesco ad ottenere un pc. E con carta e penna mi riesce difficile, non sono abituato».
Stracquadanio è convinto che Rossetti voglia raccontare la sua storia. E che, come è successo a Scaglia, voglia iniziare un percorso che proseguirà anche fuori. «Il carcere preventivo è come un’ustione, una ferita che non si rimargina». Non serve scomodare Tortora. «I casi di ingiusta custodia cautelare, di uso improprio della carcerazione, spesso per ottenere una confessione, sono centinaia». Anche Stracquadanio ha iniziato un percorso. «Mi occuperò di questo con più frequenza. Voglio incontrare un detenuto in attesa di giudizio ogni settimana». «Mi raccomando, mi saluti gli amici con cui non ho più avuto modo di parlare», dice Rossetti mentre lo riaccompagnano in cella.

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