Tagli, risparmi, sacrifici. I sedici ministri dell’Economia dell’Unione si sono ritrovati ieri a Bruxelles per fare il punto sulla crisi e coordinare gli interventi di aggiustamento dei conti pubblici. Ma è chiaro che la partita non si chiuderà all’Ecofin di oggi. Ognuno dei sedici dovrà infatti, prima o poi, tornare a casa e fare i conti con i suoi. E non è detto che tutti siano disposti a farsi da parte. Non lo è per niente, ad esempio, Renato Brunetta, che, dopo aver ascoltato in silenzio per giorni e giorni indiscrezioni e ipotesi su ogni tipo di sforbiciata ai danni degli statali, ieri ha deciso di stoppare il gioco. «Gli stipendi della Pa non si toccano», ha spiegato, «non stiamo come la Grecia».
Bisogna poi vedere quanto il ministro della Funzione pubblica riuscirà a duellare con il collega Giulio Tremonti. Il quale, a dire la verità, ha denunciato domenica le poche idee molto confuse che circolano sulla Finanziaria biennale da 25 miliardi che dovrà approdare sul tavolo del Consiglio dei ministri nei primi giorni di giugno.
Nell’attesa, Brunetta ha assicurato che la manovra non conterrà alcun taglio agli stipendi dei dipendenti pubblici. «Ci sono sprechi da tagliare, ovunque si annidino, a partire dagli sprechi in politica. Ciascuno deve fare la propria parte», ha aggiunto Brunetta, ribadendo che «il governo non metterà le mani nelle tasche degli italiani». Parlando al convegno inaugurale della XXI edizione del Forum Pa, il ministro ha però sottolineato, in linea con la posizione sostenuta anche durante il braccio di ferro durante la scorsa Finanziaria, che «questo provvedimento non sarà solo e tanto di tagli agli sprechi, dovrà essere parallelamente di rilancio e sviluppo del Paese, realizzando quelle riforme che sono a costo zero, che sono come le ho definite sotto zero».
Per essere ancora più chiari, il ministro della Pa ha spiegato che «questo Paese non sopporterebbe un mero taglio keynesiano della spesa, perchè farebbe ridurre la domanda effettiva e il reddito. Noi abbiamo bisogno di più crescita, con minore spesa pubblica cattiva. Questo è l’oggetto della nostra azione nelle prossime settimane». I tagli dovranno quindi essere «selettivi e intelligenti». Altrimenti il rischio è che si «puniscano allo stesso modo cicale e formiche e questo è sbagliato. I tagli orizzontali non servono, sono deleteri, sono una iattura: è come restringere la cinta di qualche buco pensando di essere dimagriti».
Se decidere quali tagli sarà compito del governo, quanti tagli molto probabilmente lo deciderà Bruxelles. E i timori di Tremonti e dello stesso Silvio Berlusconi sono tutti rivolti alle mosse del cancelliere tedesco, Angela Merkel, che sta cercando di fare passare una linea “lacrime e sangue” che sgambetterebbe l’Italia, ma soffocherebbe anche la ripresa Ue. L’ipotesi è sul tavolo. L’Eurogruppo, che oggi sbloccherà i primi 14,5 miliardi di prestiti alla Grecia, ha infatti accolto favorevolmente gli ulteriori tagli decisi per il 2010 da Spagna e Portogallo. E e ha auspicato «più sacrifici» e manovre più stringenti anche da parte di tutti gli altri.
A spingere in questa direzione soprattutto la Germania, che vorrebbe addirittura inserire nelle Costituzioni dei Paesi dell’euro un «freno ai deficit», vale a dire una soglia massima invalicabile per i disavanzi. Proprio come ha già fatto Berlino, che nella Carta ha inserito una disposizione in cui si prevede di ridurre il deficit di 10 miliardi, portandolo entro il 2016 allo 0,35% dall’attuale 5%.
© Libero