La situazione, com’era prevedibile, si complica. La buona notizia è che dal Tesoro è arrivato lo stop alla tassa Alcoa, la cattiva è che alla fine gli aumenti rischiano di finire comunque in bolletta, soltanto meglio nascosti.
Ma andiamo con ordine. Ieri, da fonti di Bruxelles, si è appreso che l’Italia ha ufficialmente notificato alla Commissione europea il decreto legge sull’energia per la Sardegna e la Sicilia alla cui sorte è legata anche la vicenda degli stabilimenti italiani della multinazionale americana Alcoa. Nelle stesse ore, però, dal Parlamento è arrivato lo stop alla copertura contenuta in un emendamento al dl attualmente in discussione al Senato.
La modifica, presentata dalla relatrice in commissione Industria a Palazzo Madama, Simona Vicari (Pdl), prevedeva un’addizionale in bolletta dello 0,4% che avrebbe permesso di recuperare i circa 800 milioni necessari di qui al 2012 per coprire lo sgravio concesso alle aziende “energivore” delle grandi isole. Formalmente un centinaio di imprese, ma sostanzialmente gli impianti Alcoa di Portovesme, in Sardegna, che saranno chiusi se il governo non riuscirà ad accontentare la multinazionale sul prezzo dell’elettricità.
Il problema è che in questo modo il salvataggio dell’Alcoa, oltre ad essere caricato sul groppone dei cittadini, sarebbe finito anche su quello della Pubblica amministrazione, che paga l’energia come tutti. Di qui lo stop della Commissione Bilancio, che ha dato via libera al provvedimento a patto, però che non ci siano oneri aggiuntivi per lo Stato e per gli utenti. L’altolà sarebbe arrivato direttamente da Giulio Tremonti, alle prese in questi giorni con l’esborso per gli incentivi di Scajola. Nel pomeriggio di ieri è infatti arrivata la conferma dalla Ragioneria dello Stato che i soldi dovranno essere recuperati in altro modo.
Una bella gatta da pelare per la commissione Industria, che ora dovrà riformulare l’emendamento e far uscire dal cilindro gli 800 milioni.
Il timore è che alla fine i soldi, pur di evitare il dramma sociale provocato dalla fuga della multinazionale americana dell’alluminio, vengano pescati nel solito modo. E cioè sempre in bolletta, ma non attraverso una addizionale, ma attraverso una rimodulazione dei cosiddetti oneri generali di sistema che già paghiamo regolarmente ogni mese. Bisogna ricordare, infatti, che solo il 65,8% è il costo della fornitura in senso stretto. Per il resto, il 13,2% della bolletta riguarda i costi di trasporto e distribuzione, il 13,7% sono imposte e il 7,3% sono gli oneri. All’interno dell’ultima componente, oltre alle spese per la manutenzione della rete, per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie, per i cosiddetti Cip6 (incentivi a chi utilizza fonti rinnovabili, ma ancora distribuiti a pioggia anche ad imprese che utilizzano solo il greggio), per lo smantellamento delle centrali nucleari (anche ora che stiamo riandando verso l’atomo), ci sono anche i soldi che già in parte finiscono ai cosiddetti energivori come l’Alcoa.
Del resto è proprio da qui che dal 2006 al 2009 sono arrivati i 900 milioni di incentivi poi bocciati dalla Commissione europea ed ora oggetto del braccio di ferro tra il gruppo e il governo.
In ogni caso, alla fine Palazzo Chigi dovrà di nuovo fare i conti con Bruxelles. Al fine di dare certezza giuridica, come vuole Alcoa, agli sconti, la Commissione europea sarà chiamata a valutare l’eventuale presenza, nel decreto energia, di aiuti di Stato e della loro compatibilità con le norme che regolamentano la materia.
I nodi dovrebbero essere sciolti nelle prossime ore. La senatrice Vicari sta ancora lavorando ad una riformulazione «compatibile» con lo stop della Bilancio. Ma non è chiaro dove si troveranno i soldi. Tra le ipotesi c’è anche quella, bizzarra, del mantenimento della tassa in bolletta e di una sorta di rimborso a partire dal 2013. Il provvedimento arriverà in Aula martedì prossimo.
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