venerdì 19 febbraio 2010

L’Ecofin chiede altri tagli alla Grecia ma non apre il portafoglio

Trenta giorni di tempo. Con gli occhi puntati alle prossime scadenze del debito, che rischiano di travolgere tutta l’Europa. È questo il verdetto uscito ieri dall’Ecofin per tentare di puntellare la credibilità della Grecia e dell’euro. La tabella di marcia è sostanzialmente quella contenuta nella raccomandazione della Commissione europea, che prevede la riduzione del deficit di quattro punti (dal 12,7% del pil all’8,7%) entro il 2010, per arrivare al 3% entro il 2012. Il primo check point è previsto per il 16 marzo, quando il governo di Atene dovrà presentare il calendario dettagliato degli interventi messi in campo per risanare il bilancio. La verifica concreta sulle “misure urgenti” chieste dalla Ue verrà invece effettuata il 15 maggio.
Fino ad allora, l’Europa resterà col fiato sospeso. Fra aprile e maggio arrivano infatti a scadenza vari lotti di debito governativo che devono essere rifinanziati senza rischi. Non a caso la Commissione Ue ha annunciato che visiterà Atene nei prossimi giorni, insieme al Fondo monetario internazionale e alla Banca centrale europea. Dall’Ecofin e dall’Eurogruppo non sono arrivate indicazioni sulle misure tecniche in corso di preparazione tra i governi per stendere una rete di protezione sulle emissioni obbligazionarie future. Il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Juncker ha detto che i governi «non devono accettare di essere bersaglio dei mercati finanziari». «Sono preoccupato», ha aggiunto, «per il modo di comportamento irrazionale dei mercati». Quanto al gruppo di paesi che in caso di necessità interverrà in aiuto della Grecia, non sarà limitato a Francia e Germania: «Anche altri potranno dare soldi alla Greca per stabilizzare il paese, ma il dibattito su questo non è ancora aperto», ha detto il ministro austriaco Josef Proell. Di sicuro non arriveranno aiuti dalla Russia. Ieri nel corso di un incontro avvenuto al Cremlino, il presidente Dmitri Medvedev ha suggerito al premier greco George Papandreou di rivolgersi all’Fmi e alla Banca mondiale per risolvere il deficit di bilancio.
Intanto in Europa iniziano tutti a farsi due conti. A partire da Francia e Germania, che hanno un’esposizione nei confronti della Grecia rispettivamente di 80 e 35 miliardi di dollari. Sta sicuramente meglio l’Italia, la quale, come ha spiegato ieri Giulio Tremonti, tra pubblico e privato ha sul piatto poco meno di 8 miliardi di dollari (circa 5,5 miliardi di euro). Una cifra comunque considerevole, che però secondo il ministro dell’Economia è invece la dimostrazione di una forza del sistema italiano rispetto agli altri Paesi. «Quando ho detto», ha spiegato da Bruxelles, «che nelle banche italiane non si parlava inglese, era un modo semplice per indicare la caratteristica conservativa delle banche italiane». Un altro aspetto importante per Tremonti è «capire come si è sviluppata nell’ultimo decennio l’esposizione dei Paesi della core Europe, la vecchia Europa, verso quelli della non-core Europe, la nuova Europa. L’esposizione italiana verso quei Paesi è molto bassa», ha sottolineato il ministro. E il nostro sistema ha tenuto perché fondamentalmente basato sul risparmio delle famiglie. «La figura emblematica dell’economia italiana è quella dell’eroica vecchietta con la borsa della spesa che ha salvato il sistema risparmiando e pagando le commissioni alla banche», ha aggiunto Tremonti.
I risparmi delle vecchiette non saranno comunque sufficienti a contenere gli effetti devastanti di un default della Grecia sull’economia mondiale. Complessivamente, secondo i calcoli effettuati dalla Banca internazionale dei regolamenti, i titoli di Stato di Atene collocati all’estero a giugno 2009 erano pari a 280 miliardi di dollari, di cui 235 solo in Europa. Oltre a Francia e Germania trema anche la Svizzera, esposta per quasi 60 miliardi. Ieri, comunque, l’euro è tornato a salire sul dollaro per la prima volta in cinque giorni. Segno che, malgrado la bufera, tra gli investitori è tornato un briciolo di speranza.

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