venerdì 5 febbraio 2010

Sacconi mette al muro Alcoa

Il governo sembra sul punto di perdere la pazienza. Anzi, secondo quanto raccontano le cronache del vertice notturno di martedì a Palazzo Chigi l’avrebbe già persa. «Non potete fare come c... vi pare», avrebbe detto Maurizio Sacconi rivolto ai manager dell’Alcoa sbattendo i pugni sul tavolo, «se fate come c... vi pare, allora anche noi faremo come c... ci pare e ve la faremo pagare». Al di là degli sfoghi del ministro del Welfare, dovuti sicuramente all’ora tarda e alla stanchezza, la corda appare effettivamente tirata fino al punto di rottura.
Il concetto è stato ribadito ufficialmente nella mattinata di ieri da Claudio Scajola. «Una cosa deve essere chiara», ha spiegato il ministro dello Sviluppo economico, «il governo non permetterà una decisione unilaterale. Alcoa si prenderà tutte le conseguenze di una scelta improvvida». E quel “pagare” tirato in ballo da Sacconi non è affatto metaforico. Se la multinazionale, ha aggiunto Scajola, «avendo ottenuto quello che voleva, andasse via, non lo farà gratuitamente». Tra le contromisure vagliate dal governo per convincere il colosso Usa dell’acciaio a non chiudere gli impianti di Portovesme in Sardegna e Fusina in Veneto c’è infatti anche quella di pretendere dal gruppo il pagamento della sanzione di Bruxelles.
Come spiega il leader dei metalmeccanici della Uil, Mario Ghini, «la fideiussione, firmata anni fa da Alcoa per ottenere le tariffe agevolate, ora pende sulla testa dell’azienda». Si tratta di poco meno di 300 milioni che il governo «può chiedere di incassare in qualsiasi momento su mandato di Bruxelles». Che l’ipotesi sia sul tavolo lo conferma anche Renato Brunetta. «Alcoa deve pagare una multa da 300 milioni e ancora non lo ha fatto, mentre sono esigibili e qui mi fermo...», ha detto il ministro della Pa. «Non lasceremo chiudere gli impianti», ha poi aggiunto, «abbiamo la determinazione politica e gli strumenti». Tra gli strumenti di persuasione non c’è solo quello economico. «Saremo al fianco del governo», ha detto il presidente della Regione, Ugo Cappellacci, «per porre in essere tutte le iniziative, fino alla requisizione degli impianti». La situazione non dovrebbe comunque precipitare prima di lunedì, quando sindacati, azienda e governo torneranno a incontrarsi.
Nel frattempo sale la tensione in vista dell’incontro di domani per la vertenza Fiat. Anche qui Palazzo Chigi ha intensificato la pressione. «Nell’ambito del piano di riorganizzazione di Fiat per la produzione in Italia», ha detto Scajola fuori dai denti, «per il governo c’è spazio anche per Termini Imerese». Un chiaro invito a rivedere la decisione di interrompere la produzione nello stabilimento siciliano dal 2011. Se poi il Lingotto non dovesse tornare sui propri passi, ha proseguito, «ci sarà un tavolo per lavorare ad una diversa indicazione industriale che eviti la chiusura di questo polo importante per l’Italia e la Sicilia». Ma a quel punto, potrebbero saltare gli incentivi. «Stiamo valutando», ha spiegato il ministro, «se siano ancora utili o un fenomeno distorsivo del mercato». Sacconi si è comunque detto pronto ad «accompagnare con gli ammortizzatori sociali il lavoro di Scajola». I sindacati, intanto, proseguono la protesta. Ieri a 24 ore dalla riapertura degli impianti i lavoratori hanno deciso di stoppare di nuovo la produzione di Termini con l’ennesimo sciopero.
Mentre si lotta nelle due vertenze, una buona notizia è arrivata dall’Inps, che ieri ha diffuso i dati sulla cassa integrazione a gennaio. Il mese si è chiuso con un -17% rispetto a dicembre. E malgrado il confronto sul 2008 sia ancora impietoso (+186,6%), l’Istituto ha spiegato che nel 2009 le ore utilizzate hanno rappresentato il 56% di quelle richieste ed autorizzate. Una percentuale che non solo rispecchia il timore delle imprese per la crisi, ma riporta anche a dimensioni meno preoccupanti le drammatiche statistiche dei mesi scorsi.

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