Francesco Gaetano Caltagirone prosegue a testa bassa la sua scalata alle Generali. L’imprenditore romano ha acquistato altre 450mila azioni del colosso delle assicurazioni di cui è già socio con il 2%. Un investimento di 7,3 milioni per consolidare ulteriormente una posizione strategica in vista della delicata partita che si giocherà ad aprile per la presidenza del Leone di Trieste. Una partita in cui Caltagirone, che da mesi rastrella quote sul mercato, è pronto a dare pieno sostegno al grande manovratore di Mediobanca, Cesare Geronzi.
Ma per quanto importante, la sfida delle Generali per Caltagirone sembra essere solo un tassello di un progetto più ampio. Qualche idea in proposito l’Ingegnere l’ha fornita ieri in un lungo colloquio con il Foglio. Riflessioni di economia e politica a poche settimane dalle regionali.
Non è una novità, lo aveva già fatto alla vigilia della sfida elettorale di Roma tra Francesco Rutelli e Gianni Alemanno, invocando una «discontinuità» nell’amministrazione che è stata poi ampiamente certificata dal risultato delle urne. Da allora molte cose sono cambiate. A partire, tanto per dirne una, dal patto di acciaio che l’imprenditore sembra aver stretto con il sindaco in Acea (dove Caltagirone è recentemente salito dall’8 al 9%) contro gli invasori francesi di Gdf-Suez.
Questa volta l’Ingegnere non si schiera platealmente, ma concede più di un’apertura di credito al Cavaliere, sostenendo che dalle regionali in poi Silvio Berlusconi avrà «tre lunghi anni in cui potrà concretizzare le sue idee di riforme per provare davvero a rivoluzionare l’Italia».
Il tutto, ovviamente, funzionerà meglio se nella dialettica politica ci sarà spazio anche per «un partito terzo» che avrà la capacità di «offrire e a volte imporre nel dibattito pubblico nuove idee». Un suggerimento dove ogni riferimento al genero (marito della figlia Azzurra) Pier Ferdinando Casini, inutile dirlo, è puramente casuale. Così come è una coincidenza che l’Udc nel Lazio corra al fianco della candidata del PdL Renata Polverini. E che tra i possibili successori al Cavaliere indicati dall’Ingegnere, oltre a Tremonti e Fini, ci sia proprio l’ex presidente della Camera.
Ma il vero colpo ad effetto sparato ieri da Caltagirone è un altro. L’imprenditore vuole creare una grande banca per Roma e per tutto il Centro-Sud. Una banca qualsiasi? Macché, il Monte dei Paschi di Siena, la roccaforte finanziaria della sinistra, lo storico presidio rosso nel mondo del credito. Il progetto di Caltagirone, che dell’Mps ha il 4,7% ed è vicepresidente, è quello di «diventare il primo istituto di credito non solo romano, ma di tutto il Centro Sud». Ci fosse Piero Fassino, direbbe: «Non abbiamo più una banca». In realtà, l’operazione ha poco a che fare con le battute. Mps non solo, dopo l’acquisizione di Antonveneta, è il terzo polo bancario italiano, ma è anche strategica, con il suo 1,6%, per gli equilibri dei soci italiani in Generali. Come se non bastasse, il suo presidente Giuseppe Mussari è il candidato forte alla successione di Corrado Faissola alla guida della potente Associazione bancaria italiana. Candidato gradito anche al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, con cui collabora da tempo su tutti i progetti di sostegno alle Pmi e alle famiglie. Senza dimenticare che Mps, a differenza di Intesa e Unicredit, ha sottoscritto senza indugio i famosi Tremonti bond.
Tutto, insomma, lascia pensare che quelle dell’Ingegnere non siano parole buttate lì, senza importanza. L’imprenditore ha tracciato i contorni di un quadro nuovo. Uno scenario rivoluzionario per l’economia, la finanza e perché no, la politica italiane, il cui primo passo potrebbe avvenire molto lontano dalla Capitale, a Trieste, per poi però propogarsi a catena nel resto del Paese. Forse è un caso, ma oggi, tra i principali banchieri italiani invitati al prestigioso Forex di Napoli dove si discuterà insieme a Mario Draghi di strategie future, c’è anche un industriale: Francesco Gaetano Caltagirone.
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