Dopo i giovani del PdL che incitano all’embargo contro i prodotti della Fiat, anche la Lega si infila nelle maxi-vertenze che stanno scuotendo l’Italia. E pure il Carroccio, alla faccia della ormai vecchia anima liberista del centrodestra, si schiera al fianco dei lavoratori contro le multinazionali cattive. Nello specifico, contro l’Alcoa, che chiuderà gli impianti in Sardegna, ma anche quelli in Veneto, dove tra l’altro la Lega corre per le regionali con il ministro Luca Zaia.
Nessun leghista scenderà in piazza oggi a Roma, anche perché la manifestazione è contro il governo. Ma tra le bandiere con i quattro mori che sventoleranno davanti a Palazzo Chigi ci saranno anche i vessilli di San Marco, consegnati ieri nel corso dell’assemblea dei lavoratori veneziani in vista della protesta. Secondo gli esponenti della Lega, la bandiera, servirà «a difendere il Veneto anche con la nostra identità».
Forti del sostegno leghista, i 200 lavoratori dell’Alcoa di Fusina partiranno da Venezia alle 5 di mattina per aggiungere la loro voce a quella dei colleghi sardi di Portovesme. In tutto, per presidiare il nuovo vertice di questa sera a Palazzo Chigi, si prevedono circa 800 lavoratori.
Dall’incontro non si preannunciano comunque grandi novità. Neanche l’intervento diretto di Silvio Berlusconi sembra infatti aver sbloccato la situazione. Ieri l’azienda ha chiarito le sue posizioni in una lettera di risposta al premier. E la musica è sempre la stessa.
I vertici dell’azienda hanno comunicato che un rinvio dello stop previsto per sabato prossimo potrà esserci solo in presenza di garanzie scritte da parte della Commissione europea sia sulla soluzione indicata per l’abbattimento dei costi energetici che sui tempi della risposta. Così il presidente e amministratore delegato della multinazionale, Klaus Kleinfeld, in una lettera inviata oggi al premier Silvio Berlusconi, in risposta a quella che il presidente del Consiglio aveva scritto venerdì scorso ai vertici di Alcoa sollecitando la permanenza dell'azienda in Italia. «Se non riceviamo questa assicurazione scritta entro questa settimana», ha detto senza mezzi termini Klaus Kleinfeld, numero uno della multinazionale statunitense alla vigilia del confronto a Palazzo Chigi, «implementeremo la cassa integrazione a partire dal 5 febbraio e inizieremo una chiusura ordinata degli impianti che ci permetta di riavviarli il più in fretta possibile una volta che la questione verrà risolta»
Il governo, insomma, c’entra poco. Potrà, tutt’al più, avviare a sua volta un pressing nei confronti delle istituzioni europee. Ma è difficile che dalla Commissione possano arrivare risposte tempestive. Come ha spiegato il vicepresidente e commissario Ue designato per l’Industria, Antonio Tajani, il decreto legge verrà affrontato operativamente dopo il 9 febbraio, ovvero dopo il voto finale sulla nuova Commissione europea. Prima di allora, nessuno potrà assumersi impegni di sorta.
Intanto cresce l’attesa a Termini Imerese per la riunione di venerdì al ministero dello Sviluppo Economico, da cui dovrebbero emergere i dettagli delle proposte presentate alla task-force del dicastero per l’acquisizione dello stabilimento Fiat, dopo che il Lingotto ha dato la propria disponibilità a cedere l’impianto siciliano. Oggi gli operai sono rientrati in fabbrica, dopo 3 giorni di sospensione dell’attività produttiva. Malgrado l’appello di Papa Benedetto XVI, che domenica durante l’Angelus ha richiamato al senso di responsabilità governo, imprenditori e lavoratori sui temi dell’occupazione citando la Fiat di Termini Imerese e l’Alcoa di Portovesme, tra le tute blu non sembra esserci molto ottimismo. «Speriamo che la Fiat e il governo ascoltino il Santo Padre», dicono gli operai davanti ai cancelli.
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