A guardare i rendimenti dei titoli italiani si potrebbe quasi esser contenti. Alla chiusura dei mercati, grazie anche al solito zampino di Mario Draghi e del sostegno della Bce, lo spread tra Btp e Bund segnava quota 495 punti, con un tasso del 6,48%, in calo dal 7% di mercoledì. Contemporaneamente, l’agenzia di rating Fitch e il Fondo monetario internazionale hanno espresso entrambi fiducia in Mario Monti parlando di «credibilità nel portare avanti le riforme» e di «programma che favorisce una chiarezza politica». In realtà, ieri è stata un’altra giornata di passione. E non solo per i bond italiani, che nel corso delle contrattazioni hanno toccato quota 537 punti, quanto per le notizie ben più preoccupanti arrivate dai nostri vicini. Basta gettare un occhio a Francia e Spagna, infatti, per capire non solo che Silvio Berlusconi c’entrava ben poco con lo spread, ma che per quanti sforzi possa fare Monti su crescita, conti pubblici e debito, le turbolenze non cesseranno così facilmente.
Ieri, infatti, anche la Francia è entrata ufficialmente nel mirino della speculazione internazionale, mentre la Spagna sembra imboccare la stessa strada della Grecia, ossia quella del salvataggio internazionale, dopo che i rispettivi spread col bund tedesco hanno raggiunto record storici dalla nascita dell’euro, sulla scia delle aste di titoli di Stato che si sono tenute oggi nei due Paesi. Il differenziale di rendimento tra i titoli decennali francesi e tedeschi ha scalato la vetta psicologica dei 200 punti toccando quota 203, mentre la forbice Madrid-Berlino si è allargata fino a 499 punti.
Parigi è riuscita a collocare solo per il rotto della cuffia l’importo programmato di 7 miliardi nell’asta di titoli a breve e medio termine e per i bond a 5 anni il rendimento medio è salito al 2,82% dal 2,31% del 20 ottobre scorso. Investita in pieno dai venti della crisi, la Francia potrebbe vedersi strappata la sua tripla A dalle agenzie di rating nei prossimi mesi. È andata peggio l’asta di titoli decennali della Spagna. Il rendimento è schizzato ai massimi dal 1997 al 6,97% dal 5,43% dell’ultima asta, mentre la domanda è calata. Madrid ha collocato solo 3,56 miliardi contro i 4 previsti. Risultato: tutte le principali Borse del Vecchio Continente hanno archiviato la seduta in profondo rosso. Londra ha lasciato sul terreno l’1,56%, Francoforte l’1,07%, Parigi l’1,78%. Secondo molti analisti, per fermare il contagio della crisi in Eurolandia non basteranno i nuovi governi in Spagna e in Italia, né i flirt di Nicolas Sarkozy con Angela Merkel. Sara invece necessario un intervento massiccio della Banca centrale europea sui titoli di Stato di tutti i Paesi a rischio attraverso un’azione di «quantitative easing» (allentamento monetario), come stanno facendo la Federal Reserve negli Stati Uniti e la Bank of England in Gran Bretagna. Ed è su questo punto che l’asse franco-tedesco si sta spezzando. Preoccupata per il balzo dei rendimenti, Parigi sta spingendo affinché l’Eurotower si trasformi in un compratore di ultima istanza. Berlino, ovviamente, si oppone con fermezza.
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