Tempi certi per i pagamenti, quote fisse di incentivi pubblici per l’industria da destinare alle Pmi, valutazione preventiva dell’impatto delle misure legislative e regolamentari, istituzione di un garante presso il ministero dello Sviluppo, semplificazione e riduzione degli oneri burocratici. In attesa delle scosse all’economia più volte annunciate dal governo e della realizzazione effettiva dei provvedimenti varati in queste ore sotto il pressing dell’Europa e dei mercati, oggi alla Camera diventa legge lo statuto delle imprese.
La notizia, malgrado l’incomprensibile silenzio che l’ha di fatto nascosta all’opinione pubblica, è clamorosa. E non solo perché l’approvazione si inserisce in uno sconfinato deserto dell’attività legislativa che da circa 12 mesi a questa parte ha visto il via libera soltanto di 14 leggi di iniziativa parlamentare, ma soprattutto perché il provvedimento costituisce il classico esempio di riforma a costo zero per rilanciare l’economia di cui tanto si parla e rappresenta un pezzo di quegli impegni con la Ue contenuti nella lettera inviata dal premier Silvio Berlusconi a Bruxelles.
Ad arrivare in porto oggi, con il voto definitivo della Camera, è una proposta di legge presentata dal vicepresidente della Commissione Attività produttive del Pdl, Raffaello Vignali, che ha avuto il forte sostegno del ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, e dello stesso Berlusconi (mentre a Giulio Tremonti non è mai piaciuta più di tanto). Il testo, però, è stato sottoscritto da 90 deputati del Pdl, 30 della Lega, 20 tra Pd, Udc e gruppo misto ed è andato avanti a colpi di approvazioni all’unanimità. A dimostrazione che le larghe intese sui contenuti non sono impossibili.
Quando la riforma fu annunciata, nel 2009, il presidente di Confartigianato, Giorgio Guerrini, la definì una vera e propria «rivoluzione copernicana». Vignali, che da ex presidente della Compagnia delle Opere la materia la conosce a fondo, la mette addirittura in correlazione con lo Statuto dei lavoratori del 1970 e la descrive come «il primo vero riconoscimento del peso che le Pmi hanno nel costituire il tessuto economico del Paese».
In effetti, per le micro, piccole e medie imprese, che rappresentano oltre il 95% della nostra struttura produttiva, finora si è visto poco o niente. Le Pmi sono rimaste fuori dai vari provvedimenti anticrisi, dove a dividersi la torta è stata quasi sempre la grande industria. E anche sugli incentivi, ammette Vignali, «la quota media destinata ai piccoli è di circa il 2%». Come ha detto il presidente di Confapi, Paolo Galassi, che ieri ha salutato con soddisfazione l’arrivo in porto della riforma, «dallo Stato finora abbiamo ricevuto solo tasse».
Intendiamoci, i soldi nella legge non ci sono. Ma il provvedimento, spiega Vignali, «comporterà risparmi significativi sia per le imprese sia per lo Stato». Il testo ruota intorno al recepimento della raccomandazione europea sullo Small Business act su cui l’Italia per una volta ha battuto tutti gli altri Paesi sul tempo. Tra i punti principali per quanto riguarda i rapporti con la politica, c’è l’obbligo per le istituzioni di valutare ex ante ed ex post l’impatto di norme e regolamenti sulle imprese nonché l’applicazione di criteri di proporzionalità in base alle dimensione dell’applicazione degli adempimenti, l’impossibilità per la Pa di chiedere obblighi ulteriori rispetto a quelli pubblicati nei siti delle Camere di commercio, certificazione privata sostitutiva di quella pubblica e norme specifiche per gli appalti delle Pmi. Quanto ai pagamenti, la legge consegna la delega al governo per recepire la direttiva europea (30 giorni per la Pa, 60 giorni per le imprese) e affida all’Antitrust il potere di sanzionare i ritardatari.
È prevista poi una riserva del 60% degli incentivi alle Pmi, di cui il 25% a micro e piccole, un maggiore controllo dei dati sulla concessione del credito da parte delle banche e l’istituzione del garante delle Pmi, che oltre a vigilare sull’attuazione delle norme, presenterà un rapporto annuale al governo e al parlamento. Entro il 30 giugno di ogni anno, infine, il governo, dopo aver consultato le associazioni di categoria, presenterà un ddl per le Pmi.
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