martedì 15 novembre 2011

Silvio non c’è, ma i mercati ballano: spread a 500

Ci risiamo: borse a picco e spread alle stelle. Difficile dire quanto abbiano pesato le mosse della Bce, i dati sulla produzione europea, le dichiarazioni di Angela Merkel, l’approssimarsi delle elezioni spagnole o, più semplicemente, l’intricata matassa delle consultazioni.

Di sicuro, quello arrivato ieri dai mercati nei confronti del presidente del Consiglio incaricato non è proprio un saluto di benvenuto. Giorgio Napolitano, viaggiando in bilico sui confini del protocollo e della Costituzione, ce l’ha messa tutta per battere i mercati sul tempo e presentarsi alla riapertura di ieri con il professore della Bocconi già al lavoro sul nuovo esecutivo. Il tanto atteso effetto Monti a cui erano appesi i festeggiamenti, le riflessioni e le profezie di una parte del mondo politico non si è però fatto vedere. Anzi, ieri accanto alle perdite potenziali e future calcolate sull’impennata degli spread, per il bilancio italiano sono arrivate anche quelle vere e immediate, con i Btp piazzati dal Tesoro schizzati su livelli di rendimento che non si vedevano da 14 anni.

I mercati, tanto per illudere i più ottimisti, hanno aspettato un po’ prima di affondare il colpo. Nel primo giorno di contrattazioni senza Silvio Berlusconi (ricordate quando si diceva che sarebbe bastato l’annuncio delle elezioni anticipate con l’impegno di non ricandidarsi per rassicurare gli investitori?) le Borse hanno aperto in rialzo e il differenziale tra i titoli italiani e il bund tedesco ha trotterellato al ribasso fino a scendere sotto la soglia dei 450 punti base. È bastata qualche ora, però, per far cambiare il vento. Complice anche il crollo di Unicredit, che ha annunciato perdite per oltre 10 miliardi, Piazza Affari ha iniziato a girare in negativo e lo spread è tornato a correre come al solito. Risultato: l’Ftse Mib ha chiuso la seduta in calo dell’1,99% e i Btp decennali, dopo aver toccato di nuovo i 500 punti, hanno ripiegato leggermente a 495.
Nel frattempo, il Tesoro è uscito con le ossa rotte dall’asta sui Btp a cinque anni. I 3 miliardi di titoli offerti sono stati tutti collocati, con una domanda (4,4 miliardi) che fortunatamente  continua a reggere in barba ai gufi che ad ogni vigilia prevedono la fuga delle banche. Ma per rendere appetibili i bond lo Stato italiano ha dovuto concedere un rendimento del 6,29% rispetto al 5,32 dello scorso ottobre. Si tratta del livello più alto mai raggiunto dall’introduzione dell’euro, in particolare dal giugno 1997. L’esito dell’asta, a differenza delle quotazioni dei Btp sul mercato secondario, che impattano solo indirettamente sul sistema, ha effetti concreti e quantificabili sui conti pubblici. Basti pensare che negli ultimi quattro mesi, a causa del rialzo dei rendimenti scattato in estate, il Tesoro deve già pagare 4 miliardi in più di interessi rispetto alla media calcolata tra gennaio e giugno.

Berlusconi e Monti, in realtà, non c’entrano molto. Non in questa fase, almeno, dove l’attacco scatenato contro l’Italia è ormai governato da dinamiche che vanno al di là delle manovre di bilancio e dei nomi rassicuranti. Non hanno aiutato ieri, oltre allo scenario recessivo disegnato dalla Commissione Ue con la diffusione dei dati sulla produzione industriale a settembre (-2% l’Eurozona, -4,8% l’Italia), anche le riflessioni della cancelliera tedesca, che ha detto di voler difendere l’euro e l’Europa, ma ha poi ribadito la sua contrarietà ad un eccessivo interventismo della Bce a sostegno dei titoli dei Paesi in difficoltà. Su quest’ultimo punto ieri la Banca centrale guidata da Mario Draghi ha rivelato che la scorsa settimana gli acquisti complessivi di bond pubblici sono scesi a 4,47 miliardi dai 9,52 di quella precedente. Notizia che ha spinto qualcuno ad ipotizzare una strategia dell’Eurotower finalizzata a favorire l’avvio del governo tecnico.
Ci sono poi le elezioni in Spagna tra una settimana, che hanno fatto schizzare i bond decennali al nuovo record di 429 punti, e le incertezze sulla Grecia. Fattori di rischio che si sono fatti sentire non solo sul nostro Paese, ma, seppure in maniera meno accentuata, su tutto il Vecchio Continente. A fine seduta Londra ha segnato una flessione dello 0,47%, Francoforte dell’1,19% e Parigi dell’1,28%. Sarà interessante vedere come andrà a finire l’asta con cui giovedì la Francia tenterà di piazzare 6-7 miliardi di titoli pubblici. Se il mirino dei mercati, come in parte è già accaduto, si sposterà su Parigi, forse sarà chiaro che all’Europa (e all’Italia) servirà qualcosa di più per vincere quella che Monti chiama la «sfida del riscatto».

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