domenica 27 novembre 2011

Il ministro del Lavoro vuole mandare tutti in pensione a 63 anni (addio all'obiettivo europeo dei 67)

L'articolo di Elsa Fornero pubblicato ieri da Repubblica è stato scritto prima che Mario Monti formasse il suo esecutivo e va dunque preso con beneficio d'inventario. Detto questo, è difficile che il neo ministro del Welfare possa portare sul tavolo del Consiglio dei ministri una riforma diversa da quella illustrata nell'intervento che dovrebbe uscire martedì prossimo sulla rivista Italiani Europei. Se così sarà, il rischio è di trovarci ancora una volta impelagati in una mezza riforma dall'impatto assai incerto sui conti pubblici e non proprio in linea con l'Europa. 

Tre i punti principali della proposta Fornero. Passaggio immediato per tutti, e questo è un vecchio cavallo di battaglia della professoressa specializzata in sistemi previdenziali, dal sistema retributivo a quello contributivo. Nel dettaglio, si tratterebbe di traghettare i lavoratori nati tra il 1950 e il 1962, che ancora godono, in base alla normativa in vigore, del trattamento previdenziale rapportato agli stipendi e non ai contributi effettivamente versati, verso il nuovo regime, garantendo comunque fino alla data spartiacque tra i due sistemi fissata al 1996 il calcolo con il retributivo.
Ma qui la platea coinvolta non sarebbe così folta. Di fatto si accelererebbe soltanto un'uscita da un sistema già prevista dall'ordinamento attuale. La “ciccia” della proposta sta negli altri due punti. E cioè, a partire dal 2012, l'abolizione delle pensioni di anzianità (che dal 2013 non potranno comunque essere percepite prima dei 61 anni di età anagrafica con almeno 36 anni di contributi) e l'anticipo di quelle di vecchiaia a 63 anni per tutti (con il requisito minimo di 20 anni di contributi) in luogo dei 65 di adesso. Difficile calcolare l'impatto sulla spesa previdenziale della doppia misura, anche perché la proposta della Fornero non scende troppo nei dettagli. Una cosa, però balza agli occhi: togliendo due anni ai trattamenti di vecchiaia si mancherà inevitabilmente, anche mantenendo in vita il percorso previsto dalla normativa in vigore di adeguamento dell'età pensionabile all'aspettativa di vita, l'obiettivo dei 67 anni nel 2026. Che era uno dei pochi punti su cui il governo Berlusconi aveva ampiamente accontentato le pressanti richieste di Bruxelles facendo balzare il nostro Paese in testa alla classifica dei più virtuosi sotto il profilo previdenziale. Bene che va, si potrà arrivare alla data stabilità solo a 65 anni, che è l'età che oggi ci viene criticata dall'Europa.
Sul piano della sostenibilità del sistema, l'idea della Fornero si basa intanto sulla convinzione che si possa raccogliere molto sulle pensioni di anzianità, che oggi rappresentano la fetta più grossa della spesa previdenziale. In realtà, se si vedono i dati degli ultimi cinque anni la quota delle anzianità è salita del 26,3% a 73,7 miliardi, ma quella dei trattamenti di vecchiaia (+6,5%) si attesta comunque alla cifra non modica di 42,2 miliardi. Il ministro pensa poi di tamponare l'ondata di pensionati sessantatreenni introducendo una fascia di flessibilità. Un meccanismo di incentivi, che dovrebbero scattare tra i 65 e i 70, e disincentivi, tra i 63 e i 65. Il problema in un'ottica di riequilibrio dei conti, come spiega l'ex ministro Maurizio Sacconi, è che «i bilanci pubblici non si costruiscono su speranze che danno i numeri o su numeri che danno speranze. E ciò porta ad escludere le cosiddette uscite flessibili».

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