martedì 29 novembre 2011

Mentre Guarguaglini presenzia all'inaugurazione della stazione Tiburtina, Orsi parla del rischio spezzatino

L'avvicinarsi del cda spaventa i mercati, con il titolo scivolato del 2,67 nel giorno in cui la Borsa è volata del 4,6%, ma non Pier Francesco Guarguaglini, che ieri mattina si è tranquillamente presentato all'inaugurazione della nuova stazione Tiburtina dell'alta velocità. «Nonostante tutto il casino, vengo a salutarvi perché siete persone serie», ha detto il presidente di Finmeccanica, rivolgendosi ai giornalisti presenti. Gli stessi che in questi giorni lo hanno messo sulla graticola per le vicende giudiziarie e lo danno ormai per spacciato.

Difficile capire cosa abbia in mente Guarguaglini e quali carte pensi di giocare al cda di giovedì, dove le ipotesi sul tavolo, azzeramento dell'intero consiglio o revoca delle deleghe, lo vedrebbero comunque messo all'angolo. Più trasparente, e per certi versi opposta, è la strategia di Giuseppe Orsi, che ieri ha difeso con forza il gruppo (e se stesso) in un editoriale pubblicato sul magazine aziendale in cui se la prende, guarda un po', con i giornalisti e con lo Stato azionista. «In questi ultimi mesi, i media hanno abbondantemente coperto il nostro gruppo spesso enfatizzando in modo iperbolico fatti ed eventi, a volte per altro solo supposti, ma che comunque rappresenterebbero solo un infinitesimo dei nostri atti quotidiani, quelli che al contrario ci vedono impegnati giorno dopo giorno a sviluppare nuove tecnologie, nuovi prodotti e conquistare nuovi mercati», esordisce Orsi, sottolineando che se Finmeccanica è presente in tutto il mondo non è grazie a «improvvisati brasseurs d'affaires» o attraverso «figure improbabili» ma grazie a professionisti competenti ed esperti. Cosa è successo, si chiede allora Orsi, per mettere in dubbio la credibilità internazionale del gruppo? La risposta, secondo il manager, è nel rapporto malato tra industria e mondo politico: «Sarebbe auspicabile che lo Stato azionista limitasse il proprio intervento agli aspetti strategici e alla tutela degli interessi nazionali.

Un'attitudine tipicamente italiana è invece quella della percezione di “cosa propria” che alcuni hanno nei confronti dell'industria partecipata fino al punto di confonderla, a volte, con la pubblica amministrazione». Al di là dell'inevitabile contraddizione in cui si avvita l'ad, che di fatto deve la sua nomina a quel rapporto malato tra Stato e partecipate, Orsi non sbaglia quando dice che Finmeccanica ha «imposto» nel mondo i suoi prodotti e servizi «facendoli spesso diventare i punti di riferimento per tecnologia e funzione». Ed è qui che il governo dovrà ragionare con attenzione nel decidere il destino del colosso italiano. Tangenti e malaffare non possono cambiare il fatto che il gruppo costituisca un'eccellenza dell'Italia all'estero e che uno spezzatino malfatto potrebbe rappresentare una sconfitta devastante per l'intero Paese. Basti pensare al ruolo di Finmeccanica nei settori della difesa statunitense e britannica. Quest'ultimo Paese, in particolare, costituisce per il gruppo un secondo mercato domestico con circa 10mila dipendenti e 2,2 miliardi di sterline di ricavi l'anno. La presenza nell'elicotteristica e nell'elettronica della difesa è tale (con le società AgustaWestland, Selex Galileo, Selex Communications, Selex Integrated Systems e Drs Uk) che malgrado i tagli vigorosi del governo di Londra ai budget della difesa, Finmeccanica resterà tra le imprese meglio posizionate del Regno Unito. Tutto si può privatizzare e vendere, ma la tecnologia militare e civile non è né uno yogurt né una centrale elettrica.

© Libero