mercoledì 9 novembre 2011

Il governo vuole decidere il prezzo dell'elettricità

Per una volta sono tutti d’accordo: imprese, sindacati, consumatori ed esperti. La revisione delle tariffe elettriche ventilata nella bozza del maximendamento alla legge di stabilità non s’ha da fare. La proposta, in estrema sintesi, prevede che l’Autorità per l’energia verifichi periodicamente la corrispondenza dei nostri prezzi con quelli praticati in ambito europeo per analoghe attività e che gli stessi rispondano a criteri di efficacia ed efficienza rispetto a opere e infrastrutture di interesse strategico.

Messa così, la norma non sembrerebbe particolarmente insidiosa. Il problema è che l’autorità guidata da Guido Bortoni, nel momento in cui procede alla definizione dei sistemi di remunerazione e incentivazione delle attività sulla rete elettrica già confronta le nostre tariffe con quelle del Vecchio continente e già verifica che siano improntate a criteri di efficienza. E se l’obiezione è che da noi l’elettricità si paga molto di più basta guardare le serie storiche, che dimostrano come, in termini reali, tra il 2004 e il 2010 le tariffe siano scese del 14%. A che serve, dunque, l’intervento legislativo? Nessuno lo sa con esattezza. Il dubbio sollevato dall’economista dell’Istituto Bruno Leoni, Carlo Stagnaro, è che sia un «un modo per mettere puntelli all’azione dell’Authority, cosa che la maggioranza ha tentato di fare più volte». Ma la tariffa di governo sarebbe, secondo Stagnaro, molto rischiosa: se fosse troppo alta potrebbe creare condizioni di rendita, se fosse troppo bassa condannerebbe il Paese al sottoinvestimento nelle infrastrutture energetiche. Non solo.  «Nel caso qualcuno non se ne sia accorto», spiega Stagnaro, «l’Italia è un paese lungo, stretto e montuoso, con un forte squilibrio tra alcuni poli produttivi e i siti dove è maggiore la domanda. In un paese simile i costi saranno sempre e comunque maggiori, a parità di tecnologia e perfino a parità di costo del capitale, rispetto a nazioni larghe e piatte. Quindi, chiedere all’Aeeg di far convergere le tariffe italiane verso le medie europee è semplicemente privo di senso».

Le tesi dell’economista sono condivise praticamente da tutti. Un simile provvedimento, sostengono in un comunicato congiunto le segreterie nazionali di Filctem-Cgil, Flaei-Cisl e Uilcem-Uil, «pregiudicando la stabilità del quadro regolatorio, produrrà effetti devastanti sulla capacità di Terna di reperire sul mercato i capitali richiesti per effettuare gli interventi sulla rete, condizione indispensabile per il contenimento del prezzo dell'energia, oltre che per garantire sicurezza ed efficienza del servizio elettrico». Il rischio immediato sarebbe quello di determinare il blocco degli investimenti per 7,5 miliardi di euro, previsti dal Piano di Sviluppo 2011 - 2020 di Terna, che avrebbe portato risparmi per i consumatori pari a 1,6 miliardi di euro all’anno e lavoro per le imprese. Come spiega l’ad di Terna, Flavio Cattaneo, «cambiare le regole in corsa farà fuggire investitori internazionali anche dalle aziende che funzionano, investono miliardi di euro e non gravano sul bilancio pubblico». In allarme c’è tutta la filiera legata all’energia. «Dopo gli interventi che già hanno destabilizzato più volte mercati nuovi come quello delle rinnovabili», dice il presidente di Confindustria Anie, Claudio Andrea Gemme, «ora si annuncia un altro provvedimento su uno dei pochi settori che, disponendo di un quadro regolatorio certo, stava realizzando investimenti  per la crescita e il recupero di competitività del nostro Paese».
Preoccupazioni e timori, infine, serpeggiano anche tra i consumatori che denunciano anche il tentativo di imbrigliare il regolatore. «L’intervento del governo», sostengono Adiconsum, Codici, Federconsumatori, Unione Nazionale Consumatori e Lega Consumatori, «mina l’indipendenza dell’Autorità».

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